Un intervento del consigliere economico di Palazzo Chigi su questo sito e una sessione della Commissione Lavoro della Camera hanno voluto sminuire l’importanza delle stime del debito previdenziale implicito. Un atteggiamento pericoloso per un paese che continua a scaricare oneri sulle generazioni future.
Cos’è il debito implicito
Il debito pensionistico implicito misura il valore attuale del flusso di prestazioni pensionistiche future previste a legislazione vigente, al netto dei contributi che verranno versati. Nelle stime dell’Inps si guarda non solo agli attuali lavoratori e pensionati, ma anche alle generazioni future. È una misura importante perché guarda in avanti sintetizzando in un numero gli effetti di lungo termine di scelte di politica economica che contemplano trasferimenti fra generazioni diverse, come le riforme delle pensioni. Serve ad allungare l’orizzonte temporale di chi decide e permette un controllo democratico sull’operato dei governi perché misura la credibilità degli impegni che questi hanno preso nei confronti degli attuali e futuri contribuenti. Un governo che sostiene che il debito implicito è irrilevante ci sta implicitamente (scusate il gioco di parole) dicendo che la legislazione pensionistica verrà cambiata prima che le prestazioni (e i relativi contributi) oggi previsti si materializzino.
L’Italia vanta un debito pensionistico implicito relativamente basso rispetto ad altri paesi, in virtù della riforma che ha introdotto il sistema contributivo a metà degli anni ‘90. Più che un problema di sostenibilità il nostro paese ha un problema di equità intergenerazionale e il debito pensionistico serve proprio a mettere in guardia contro interventi che, pur avendo costi limitati nell’immediato, possono nel tempo far aumentare fortemente gli oneri che gravano sulle future generazioni. L’esempio tipico è quello delle baby pensioni, che hanno comportato costi contenuti nell’immediato per il bilancio pubblico, ma un impatto significativo sul debito implicito. Per anni abbiamo pagato decine di miliardi per prestazioni erogate a partire da contributi versati anche solo per 14 anni 6 mesi e un giorno. A tutt’oggi paghiamo circa 7,3 miliardi di euro, vale a dire circa mezzo punto di Pil, per prestazioni pensionistiche erogate con decorrenza al di sotto dei 50 anni di età. Quando le baby pensioni vennero introdotte il loro costo fu molto contenuto, ma ci hanno poi lasciato questa eredità.
La manovra sulle pensioni aumenta il debito pensionistico
Per tutti questi motivi trovo utile fare riferimento alla nozione di debito implicito, come peraltro si apprestano a fare la Commissione europea ed Eurostat. L’incertezza politica, che Marco Leonardi indica come motivo per ritenere il debito implicito un concetto accademico, pesa nel breve quanto nel lungo termine. Ad esempio un nuovo governo potrebbe decidere nel 2018 di estendere l’Ape sociale, cambiando quindi il profilo di spesa per gli anni immediatamente successivi.
Anche senza tenere conto della possibile estensione nel tempo dell’Ape sociale, la manovra varata dal governo con la legge di bilancio fa aumentare il debito pensionistico. Non si tratta, peraltro, di incrementi marginali.
La tabella qui di seguito, tratta dalla relazione tecnica depositata in Parlamento, riassume i costi dei diversi provvedimenti, i quali comportano una spesa complessiva di 22,7 miliardi nei primi dieci anni.
Effetti finanziari delle misure previdenziali introdotte con la legge di bilancio
Qui sotto vengono invece riportate le previsioni di spesa sui primi dieci anni degli interventi in tema pensionistico contenuti nella proposta Inps “Non per cassa, ma per equità” richiamata da Marco Leonardi in modo improprio (senza correzione attuariale delle pensioni anticipate, come nella proposta Inps). Il pacchetto prevedeva, inter alia, l’uscita flessibile a partire da 63 anni e 7 mesi con riduzioni attuariali applicate a tutti tranne che ai lavoratori precoci, contributo richiesto a chi riceve pensioni di più di 5 mila euro legato ad eventuale differenza fra pensione in pagamento e pensione pagata coi propri contributi e il ricalcolo contributivo dei vitalizi per cariche elettive.
Questi interventi hanno un costo, nei primi dieci anni, pari a 22,5 miliardi di euro. Successivamente, l’aggiustamento attuariale porta a risparmi crescenti, riducendo il debito implicito del 4 per cento. In altre parole la proposta Inps costa complessivamente di meno rispetto alla manovra varata dal governo sia nei primi dieci anni che nel lungo periodo. A differenza della manovra del governo, riduce il debito implicito sgravando di oneri le generazioni future.
Anche concentrandosi unicamente sulle proposte di flessibilità (escludendo quindi gli aggiustamenti previsti sulle pensioni in essere), questi interventi avrebbero ridotto il debito implicito del 2,35 per cento del Pil.
L’equità intra e intergenerazionale
Leonardi invita infine a discutere anche dell’equità delle misure del governo e di quelle proposte dall’Inps. Il principio di “Non per cassa, ma per equità” secondo cui chi va in pensione prima riceve una pensione più bassa risponde a criteri di equità attuariale. Permette di coniugare maggiore libertà di scelta su quando andare in pensione con il fatto di non fare aumentare il debito implicito. La proposta Inps prevedeva, inoltre, l’introduzione di un reddito minimo basato sulla prova dei mezzi (tenendo anche conto della presenza di familiari a carico con disabilità) e andava quindi incontro a chi ha i redditi (e patrimoni) più bassi senza dover definire nuove condizioni di accesso, spesso difficili da verificare e oggetto di contrattazione con le parti sociali. Lo faceva adoperando uno strumento già oggi in vigore, utilizzato da quasi 6 milioni di famiglie italiane a redditi bassi: l’Isee reddituale, abbinato a particolari requisiti patrimoniali. Infine riduce le asimmetrie di trattamento fra generazioni diverse, applicando un principio di equità intergenerazionale, prendendo il sistema contributivo come riferimento. La filosofia del pacchetto è accelerare la transizione al sistema che sarà in vigore fra 15 anni e costruire una rete di protezione a partire da chi ha oggi più di 55 anni.
Come si aiutano i più deboli?
Gli interventi di equità distributiva proposti dal governo invece non guardano alle condizioni reddituali e patrimoniali complessive delle famiglie. Marco Leonardi nel suo articolo sottolinea come gli interventi in materia previdenziale contenuti nella legge di bilancio siano volti ad aiutare le persone più deboli. Eppure il singolo intervento più oneroso del pacchetto, ovvero l’estensione della quattordicesima, nel 35 per cento dei casi va a famiglie che sono nel 50 per cento più ricco della popolazione. Sono tutte persone andate in pensione con regole più vantaggiose di quelle che sono riservate alle nuove generazioni. Queste si troveranno a pagare di più per le pensioni dei loro genitori sapendo di essere destinati a lavorare molto più a lungo di loro (anche in proporzione alla loro speranza di vita) e a ricevere pensioni molto più basse. Sono anche questi dati di fatto.
In conclusione trovo utile, come ci invita a fare Marco Leonardi, comparare le misure varate dal governo con quelle a suo tempo proposte dall’Inps. Questa comparazione ci svela proprio quanto sia importante il concetto di debito implicito. I due pacchetti hanno praticamente lo stesso costo nei primi dieci anni, ma mentre le misure del governo fanno aumentare il debito pensionistico, quelle dell’Inps lo riducono in modo significativo. La comparazione ci dice anche che ci sono modi certamente meno onerosi per raggiungere le persone maggiormente bisognose di aiuto di quanto contemplato dalle misure del governo, risparmiando risorse che potrebbero essere utilizzate nell’attuazione della legge delega contro la povertà che da troppo tempo giace in Parlamento.
*Tito Boeri, redattore in aspettativa de lavoce.info, è presidente dell’Inps
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Luca Fantolino
Le pensioni sono da sempre oggetto di interventi politici. Solitamente vengono motivati da ragioni di equità ma di fatto queste ultime misure del governo vanno nella direzione di accentuare la penalizzazione dei giovani che pagano più tasse, più contributi e ricevono meno servizi, godranno di una pensione inferiore e per molti meno anni. Perché interventi quale APE non vengono finanziati dalle generazione più fortunate? Si potrebbe fare un’opera di vera equità se venissero calcolate le pensioni in essere con metodo contributivo e si decurtassero almeno quelle che risultano fortemente in eccesso.
Silvestro De Falco
Caro Professor Boeri,
credo che lei si occupi troppo dei conti dello Stato e troppo poco degli scompensi che questo metodo a contributi definiti sta creando per la generazione di lavoratori post 1996.
Vittorio
Signor Boeri grazie di esistere.
AVV. ANIELLO SANDOLO
Caro prof. Boeri sulla base del rapporto INPS 2016 su 16 milioni di pensionati ne abbiamo 4 MILIONI CHE SUPERANO GLI 80 ANNI( aspettativa di vita).Questi RAGAZZI alla loro età , visto che si fanno i bisognini addosso, hanno bisogno e chiedono maggior ASSISTENZA e MINOR PREVIDENZA.
Allora, per fargli fare una buona vecchiaia, diamogli una miglior ASSISTENZA, anche di tipo domiciliare, ma in cambio a partire dalle pensioni nette di 1000 € AL MESE in su, iniziamo a fare delle ( modello IRPEF) ritenute mensili del 3% , del 6%, del 9%, del 12% – di sicuro non muoiono di fame – ma questo metodo soft, non fa macelleria sociale, e porta in modo STRUTTURALE nelle casse dell’INPS e altri ENTI RISPARMI x 47 MILIARDI e 472 Milioni di €. Per vedere se funziona E FUNZIONA BASTA PROVARLO.
AVV. ANIELLO SANDOLO