Alitalia è un vettore fuori rotta economica. Sui viaggi intercontinentali può ancora stare sul mercato, ma con la sua struttura dei costi non può sostenere la concorrenza dei low-cost sul breve-medio raggio. La soluzione potrebbe essere proprio quella di trasformarla in una compagnia a basso costo.
Una crisi chiamata concorrenza
Alitalia è nuovamente in una condizione di grave crisi, come già avvenne nel 2007-08 e nel 2013-14. La crisi ha un nome semplice: si chiama mercato, anzi concorrenza.
Le tre Alitalia che abbiamo conosciuto – quella a controllo statale, dominata dalla politica e da un eccessivo potere sindacale, quella privata dei capitani coraggiosi italiani e quella con azionista principali Etihad – hanno una cosa in comune: non essere state in grado di affrontare la competizione crescente che si è manifestata sui cieli italiani con il completamento della liberalizzazione europea.
A partire dai primi anni Duemila, i vettori low cost hanno progressivamente intaccato due dei tre segmenti chiave in cui opera Alitalia: prima i voli internazionali infracomunitari e poi quelli domestici. Sono rimasti fuori solo i voli intercontinentali, soggetti in gran parte ad accordi bilaterali tra paesi – e dunque sottratti alla liberalizzazione dell’Unione Europea -, sui quali il modello low cost può mettere molto meno in discussione il paradigma tradizionale.
Il loro successo si basa infatti su tre fattori chiave: 1) far volare su rotte brevi aerei più grandi rispetto alle compagnie di bandiera; 2) riempirli molto di più grazie a strategie di prezzo aggressive e a un’elevata differenziazione tariffaria; 3) farli volare più ore al giorno, incrementandone la produttività. I tre fattori non sono replicabili sul lungo raggio perché già i vettori tradizionali operano storicamente con un elevato rapporto tra passeggeri trasportati e posti offerti e fanno volare gli arei molte ore, utilizzando la fascia notturna che non è invece commercializzabile nel breve raggio.
La diffusione dei vettori low cost in Europa ha creato problemi alle compagnie tradizionali. Tuttavia i tre gruppi maggiori (Air France-Klm, British-Iberia e Lufthansa) si sono preparati per tempo, cosicché il lungo raggio rappresentava mediamente attorno il 70 per cento della loro offerta totale (misurata in posti-km), mentre in Alitalia era il breve-medio raggio a pesare per circa il 70 per cento. Dunque, l’effetto della concorrenza su Alitalia è stato molto più dirompente.
La nostra compagnia nazionale non si è mai espansa nel lungo raggio per ragioni differenti nel tempo: a fine anni Novanta si pensò di acquisire il lungo raggio attraverso il matrimonio con un vettore specializzato come Klm. Fallito il tentativo, l’azionista pubblico non aveva le risorse per gli ingenti investimenti necessari a creare una flotta a lungo raggio adeguata. Altrettanto si può dire dei successivi azionisti privati italiani. Etihad ha presentato nel 2014 un piano d’impresa in cui finalmente si dichiarava di puntare al lungo raggio, ma il cambio di modello è stato troppo lento e tardivo e non in grado di compensare le crescenti perdite sugli altri segmenti.
Tre soluzioni
Ancora più che in passato Alitalia è oggi un vettore fuori rotta economica. I vettori low cost hanno ormai più del 50 per cento del mercato e la rotta più ricca, la Milano-Roma è stata sottratta dalla concorrenza tra il Frecciarossa e il treno Italo. Dal punto di vista della sostenibilità aziendale dovremmo parlare di due Alitalia distinte. Da un lato, quella del lungo raggio intercontinentale, sicuramente sostenibile pure sulle dimensioni attuali, ma che richiede una flotta limitata: per ogni aereo a lungo raggio ne è probabilmente sufficiente solo un altro di breve raggio che garantisca voli nazionali di feederaggio (il trasporto dei passeggeri dagli aeroporti periferici). Dall’altro lato, l’Alitalia del breve-medio raggio, nazionale ed europeo, non sostenibile dalla compagnia data la sua attuale struttura di costo. Per questo segmento, da cui è stimabile arrivi la totalità delle perdite, vi sono solo tre soluzioni: chiuderlo, venderlo o rivoluzionarlo.
Nella prima ipotesi, si conservano solo i voli nazionali necessari al feederaggio degli intercontinentali. La soluzione richiede una flotta aziendale composta complessivamente da una cinquantina di aerei nell’immediato e da una sessantina tra alcuni anni, di cui circa metà a lungo raggio. Si tratterebbe di più che dimezzare la flotta attuale e con essa il personale. Di conseguenza, gli esuberi non sarebbero i milleseicento o duemila di cui si è parlato in questi giorni, ma probabilmente cinquemila. Ovviamente gli spazi di mercato lasciati liberi verrebbero rapidamente occupati dall’allargamento dei vettori low cost esistenti.
Nella seconda ipotesi il segmento viene venduto a un vettore low cost, che è in grado di riorganizzarlo secondo il suo modello. Nella terza ipotesi si trasforma esso stesso in un low cost, non spinto come Ryanair ma più moderato, come EasyJet e Vueling. Ipotesi di fanta-aviazione? Irrealizzabile? Può darsi. Però sarebbe anche la migliore delle tre, del tutto equivalente alle prime due dal punto di vista del mercato aereo, ma indubbiamente preferibile dal punto di vista dei costi sociali.
Dopo la liberalizzazione è il mercato che decide. E i consumatori hanno deciso col loro portafoglio che sui cieli italiani vi è posto solo per compagnie low cost. L’unica incertezza riguarda se tra esse vi sarà anche un’Alitalia rivoluzionata o se Alitalia non esisterà più.
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bellavita
ho paura che si cerchi una soluzione di tipo RAI: il pubblico preferisce la 7 per la politica e Mediaset per i film, ma deve pagare il canone per una RAI che ascolta solo in casi eccezionali. Non sarebbe “aiuto di stato”?
Henri Schmit
Preciso.
Rino Impronta
Presumo che con lo sciopero dei tassisti, Alitalia, commercio, ambulanti, sia stato toccato il fondo. Oltre alla pessima immagine che spendiamo verso il turismo e la mobilità degli uomini d’affari, che si muovano sul territorio del nostro Paese, aggiungerei la scarsa sensibilità degli scioperanti nei confronti di chi ha voglia o necessità di muoversi sul territorio. La difesa dei diritti di talune categorie, non può annullare o negare i diritti di altri soggetti. Se è in atto uno sciopero ed ho necessità o voglia di andare a lavorare, nessuno dovrebbe impedirmi di poter scegliere liberamente cosa fare. Certo è che, in queste circostanze, i disagi e i diritti degli altri lavoratori non contano niente. E’ vero che l’art. 40 della Costituzione prevede e tutela il “diritto di sciopero” da parte di lavoratori. Nel pieno rispetto dei principi contenuti nel predetto articolo e non disconoscendo la possibilità di reclamare i propri diritti in manifestazioni tipo lo sciopero e similari, ritengo non giusto che talune categorie di lavoratori, per difendere i propri diritti, possano offendere o danneggiare i diritti di altre categorie di lavoratori. Mi sembra proprio una guerra tra poveri. Un po’ di buon senso non guasterebbe! Purtroppo ci sono leggi di mercato che per Alitalia non lasciano spazio ad alcuna trattativa: dovrà necessariamente arrendersi alla concorrenza delle compagnie che praticano voli low cost (che non rientra nella cultura aziendale Alitalia).
Henri Schmit
Lo sciopero dei taxisti mostra quanto serve qualcosa come Uber, regolamentato in qualche modo, ma concorrente loro. Lo sciopero Alitalia invece mostra quanto siano incapaci i manager, i politici e i sindacati ivi coinvolti. Tutti meritano il peggio. Purtroppo a pagare saranno solo alcuni dipendenti e …. i contribuenti. Ma loro hanno votato.
Henri Schmit
Mi domando: ma era evitabile questa evoluzione disastrosa se entrava Air-France-KLM? Come mai il business plan fatto al momento dell’ingresso di Ethiad ha potuto sbagliare così drammaticamente? Manager, imprenditori e la maggior parte dei commentatori sono incapaci. Chi invece fra responsabili pubblici (politici) e fiancheggiatori privati nel 2008 hanno cacciato i Francesi dovrebbero pagare i danni causati o almeno essere individuati come reaponsabili. Purtroppo non si capisce nemneno più chi è la vittima: La compagnia? I contribuenti? Povera Alitalia! Povera Italia!
Amegighi
Ci aggiunga il fatto che il Governo (meglio i Governi tutti) ha chiaramente manifestato incapacità schizofrenica. Quale modello di trasporto integrato sviluppare ? No si capisce come si possa avere contemporaneamente una compagnia di bandiera (Alitalia), il monopolio delle ferrovie (FS, allora si chiamavano così quando fu fatta l’alta velocità MI-Roma) e le Autostrade (la A1 in particolare) e pensare che tutte e tre possano svolgere in modo competitivo il trasporto MI-Roma e viceversa. Eravamo ben lungi dall’esplosione del federalismo (anni 90). Ci aggiunga che questo ha portato ulteriori sfaceli con la scellerata decisione di creare la mega Malpensa, ed il gioco (con i nostri soldi), è fatto.
Non vorrei arrivare a questo, ma facevano molto meglio i disastrati stati europei oltrecortina prima del crollo del muro…..il che è tutto dire….
bob
….i vorrei sapere dove sono finiti i soloni
i del federalismo e della devolution…coloro che dopo aver fatto un aeroporto a Trieste a Venezia a Verona a Brescia a Milano Linate volevano farne uno a Vicenza ..per non parlare di Albenga, Siena, etc
La ricreazione è finita….nessuno ha il coraggio di dirlo. È solo l’ inizio di una crisi che ci cancellerà questo Paese
debris
sentite: capisco che vi convenga volare a sbafo, e che se le regioni vi pagano il biglietto con le low cost la cosa vi va anche bene (da bravi italiani il vostro orizzonte temporale e di 10 minuti, e non capite cosa sia il bene del paese, cioè il vostro, nemmeno se vi fanno un disegnino. In Francia e Germania lo sanno bene, ed infatti Ryanair li non ricava un nichelino, chissà come mai…li non c’è libero mercato???). Pazienza! ma cianciare di libero mercato sull’altare del quale sacrificare Alitalia è proprio ridicolo. Ma tanto non avrete compreso nulla di quanto scritto…..
Gio
In Gemania volano Eurowing e Germanwing (che sono di Lufthansa) che sono praticamente delle low cost
shadok
In Italia ci sono diversi aeroporti che fanno utili con le low cost, e altri che accumulano passivi anno dopo anno, questi ultimi con una gestione che ricorda quella di Alitalia…
Giusepp Brandmayr
Non condivido molto di questo articolo. La narrazione che la Ryanair abbia guadagnato il mercato italiano per capacità tecniche di efficienza e creatività è da sfatare completamente. Nessuna Ryanair sarebbe venuta ad operare in Italia se avesse dovuto sottostare allo statuto dei lavoratori italiani. Nessuna Ryanair sarebbe venuta in Italia se non fosse stata sovvenzionata da una serie di piccoli aeroporti, sempre in perdita, dei quali gli azionisti di riferimento (sempre nel pubblico) non avessero usato i denari del contribuente per crearsi piccoli feudi per il loro consenso politico. Nessuna Ryanair avrebbe potuto espandersi in presenza di un governo tipo quello francese o tedesco attenti allo stato delle proprie aziende. Nessuna Rayanair avrebbe potuto fare il bello e il cattivo tempo se Agenzia delle Entrate, INPS, INAIL e quantaltri non si fossero tappati occhi, orecchie e bocca di fronte alla palese illegalità di comportamenti nel trattamento del personale. Se vogliamo fare una sintesi possiamo dire che è stata l’insipienza della nostra classe politica e governativa ad avere provocato la deindustrializzazione del trasporto aereo italiano. Alitalia dovrebbero chiuderla, vendere quello che c’è di buono al miglior offerente e lasciare che gli stranieri facciano trasporto aereo per noi (cosa che peraltro stanno già facendo con Ethiad, Volotea, Easy Jet, Rayanair etc). Noi non ne siamo capaci e quindi non ci meritiamo altro.
Valerio
Se sui viaggi intercontinentali può ancora stare sul mercato, ma con la sua struttura dei costi non può sostenere la concorrenza dei low-cost sul breve-medio raggio, perché la soluzione potrebbe essere proprio quella di trasformarla in una compagnia a basso costo?
Risposta ovvia: così si comprimono i salari, qualcuno è contento e magari ci scappa anche un bell’incarico pubblico.
Sandro Crestani
Un articolo spietato ma chiarissimo… su una situazione che – molto probabilmente – ancora una volta e nonostante tutto – troverà la politica disposta ad orientarla verso la soluzione peggiore.
Ringraziamenti e complimenti all’Autore
saverio vendola
E’ ora di finirla con la tragica telenovela di Alitalia che è costata milirdi agli Italiani. Si mette in liquidazione si crea una nuova compagnia con soci esteri, lo hanno fatto tempo fa anche gli Svizzeri con la ex grande Swissair. E si riassume solo chi è necessario alla nuova società E arcinoto che da decenni una grande responsabilità della tragedia Alitalia è dei sindacati e di una cultura dei dipendenti che ritengono di avere solo diritti e non doveri. Saverio Vendola
bob
MEDIOCRAZIA di Alain Deneault
Giuseppe Sciascia
Ho sempre seguito con grande attenzione le vicende di Alitalia, essendo grande appassionato di aviazione e un passeggero abituale.
Ci sono alcuni problemi che si correlano alla vicenda del “nostro” vettore di bandiera e che forse meriterebbero un approfondimento ulteriore. In primo luogo, la questione delle infrastrutture: il traffico aereo italiano, e le potenzialità di trasporto di Alitalia, in che misura risentono dell’inadeguatezza infrastrutturale che connota i collegamenti tra le città e le aerostazioni?
In secondo luogo, la questione della concorrenza: siamo davvero sicuri che la concorrenza delle low-cost sia una “concorrenza vera”? Sono note le sperequazioni nel trattamento del personale che connotano l’operato di Ryanair; altrettanto noti sono i modi in cui quest’ultima ha sviluppato il proprio network, specie in Italia, approfittando delle elemosine degli enti territoriali, e in assenza di una coerente regia nazionale. In terzo luogo: la questione della flotta. L’analisi svolta è corretta, ma un problema che a mio parere rimane centrale è quello della manutenzione; Alitalia ha aerei molto diversi tra loro, il che provoca elevati costi in termine di gestione, sebbene in parte limitati dall’utilizzo del leasing (tutti gli aerei con marche EI-, per intenderci). In quarto luogo, il tema low cost: il progetto di integrazione di AirOne era nato come tale, ma poi è naufragato nel 2014, non si sa bene perché; siamo davvero sicuri che sia un’opzione in agenda?
Federico Leva
Ma in concreto, se si vendesse Alitalia a 1 € a Lufthansa o AirFrance o chi altri, lasciando loro smantellare quella metà di rotte inutili, quali sarebbero i danni? A meno che la gente smetta all’improvviso di volare, o che i vettori concorrenti spremano enormemente di piú i dipendenti, i posti di lavoro dovrebbero solo spostarsi, no? (O qualcuno sogna ancora un impatto occupazionale di Fiumicino o Malpensa?)
Non si fa prima allora a immaginare dei sistemi per facilitare il transito dei lavoratori piú deboli ad altre compagnie, chiudendo una volta per tutte questo inutile lusso antieconomico e antiecologico della flotta di aerei “nazionali”?
And
chiudetela, missione impossibile….troppi poteri e troppe bocche da sfamare!