Le imprese italiane non crescono, frenate dalla proprietà familiare. E il vecchio sistema bancario non ha usato il proprio potere per spingerle ad adeguarsi ai tempi. Le aziende hanno bisogno di un mercato dei capitali ampio, liquido ed efficiente. È anche nell’interesse delle banche.
Così cambia il sistema bancario
Le nostre imprese non crescono, frenate dalla proprietà familiare. Bisogna riflettere sul ruolo di un sistema bancario che non ha usato il proprio potere per spingerle ad adeguarsi ai tempi. La Mediobanca di Enrico Cuccia lo usò, ma per proteggerle in un campo trincerato, piegandole ai comodi di chi le controllava, per lo più con soldi altrui. L’approccio “dominicale” contribuì alla perdita di peso delle nostre imprese nel mondo; i domini le vedevano come private proprietà, dimentichi delle loro esigenze di sviluppo. Senza accesso a denari e a capacità di gestione esterne a famiglia – e famigli – declinarono.
Il mercato finanziario allora era un’ancella, che portava acqua al mulino di via Filodrammatici. La responsabilità fu di chi controllava le imprese, ma le banche abdicarono volentieri al ruolo, essenziale ma scomodo, di ottimale allocatore delle risorse finanziarie.
Il metodo di lavoro delle banche è poi peggiorato. Non era inevitabile che la banca universale (a metà degli anni Ottanta) “tagliasse” la capacità, propria degli istituti a medio termine, di studiare a fondo le esigenze tecniche e finanziarie delle imprese, subordinando spesso i crediti a nuove dotazioni di capitale fresco. Quell’approccio resta però necessario: l’alto livello dei crediti dubbi nei bilanci è frutto anche di troppe decisioni errate, non solo di una lunghissima crisi. Questa ha distrutto molte imprese, già prima gravate da troppi debiti. Per erogare loro altri denari bisognava imporre nuovi apporti di capitale. È mancata la forza di farlo.
In questa fase, che durerà a lungo, la vita delle banche “commerciali” che raccolgono soldi e finanziano le imprese è complicata da un turbinio regolamentare volto a evitare nuove crisi. Faticano a finanziarsi, non potendo promettere i rendimenti dell’8-10 per cento richiesti, nonostante i bassi tassi d’interesse, dagli investitori. Questi perciò le valutano una frazione dei mezzi propri.
La presenza capillare di filiali non serve più e non è ancora chiaro cosa avverrà con smartphone dalle prestazioni ancora superiori alle attuali. La banca vecchia non c’è più, quella nuova non c’è ancora.
L’intreccio banche-aziende
Ciò ha grosse conseguenze in Europa, dove ai due terzi delle necessità finanziarie delle imprese provvedono le banche e solo un terzo è coperto dal mercato dei capitali. Negli Usa i pesi sono ribaltati, con i due terzi coperti dal mercato. La maggior rapidità nella reazione americana alla crisi è legata anche a questo fatto, che rende quelle imprese più resilienti. Chi acquista sul mercato obbligazioni di un’impresa, può sempre venderle: scendono di valore (e in prospettiva il costo del debito sale), ma senza che di per sé ciò metta nei guai l’impresa. Come accade, invece, se la banca le chiede di rimborsare un grosso prestito. Nel primo caso l’azienda non ha uscite di cassa, nel secondo sì.
Se dieci imprese debitrici non ripagano i debiti sul mercato dei capitali andando in default, i creditori perdono soldi, ma il danno è circoscritto. Nessuno penserà che tutte le obbligazioni siano “a rischio”. L’insolvenza degli stessi dieci debitori può far “saltare” una banca; il danno sistemico è molto maggiore, innescando nei creditori, anche di banche solide, timori che possono “autoavverarsi”. Come il presidente della Bce, Mario Draghi, ha detto a un convegno dello European Systemic Risk Board: “Nei paesi banco-centrici la crescita dopo una crisi riprende più tardi rispetto a quanto avviene in paesi con sistemi finanziari più equilibrati”.
Le banche lo sanno bene: in un’intervista al Corriere della Sera del 22 febbraio, Flavio Valeri, amministratore delegato di Deutsche Bank in Italia, elenca le cinque aree essenziali per le banche nel futuro: in quella lista, il credito alle medio-grandi imprese non c’è proprio. È forse il caso di prenderne atto e rimediare.
La disciplina dei mercati è più efficace di quella delle banche per spingere le imprese ad aggregarsi, aprendosi a mezzi e a competenze manageriali esterne. In Italia abbiamo alle spalle decenni di inani tentativi in materia; un’eredità di cui non riusciamo a liberarci, un caso di chiaro fallimento del mercato. Imprese, banche e investitori se ne danno l’un l’altro la colpa, ma il problema non si risolve cantando le lodi dell’impresa familiare: mentre le banche faticosamente cambiano pelle, abbiamo bisogno di un mercato dei capitali ampio, liquido ed efficiente.
È anche interesse delle banche indirizzare le imprese su questa strada: incasseranno commissioni che permetteranno di sostenere una redditività oggi insufficiente. In tempi di crisi come gli attuali il mercato deve crescere. I soldi ci sono, vanno messi a frutto; e a rischio, certo. Si chiama capitalismo.
Il controllo di tante nostre imprese sta passando in mani estere, il che di per sé non è un male. Può diventarlo se, come conseguenza del passaggio di mano, anche la testa dell’impresa emigra, impoverendo il paese. Un sistema bancario conscio dei doveri insiti nel proprio ruolo ha un compito arduo. Purché abbia voglia svolgerlo.
*Le opinioni espresse in questo articolo sono personali e non impegnano in alcun modo imprese e istituzioni in cui l’autore riveste cariche
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fatti neri
non sono per niente convinto che i mercati migliorano il rapporto banche cittadini…. i mercati PREZZANO le aziende, poi emotività e speculazione determinano le oscillazioni laterali dei prezzi.
storicamente le piccole realtà vicine alla popolazione operanti sul territorio hanno fatto bene, poi……… a forza di seguire i mercati hanno perso quel ruolo ergo non credo che la via sia il solo accorpare, utile per difendersi da opa magari, ma non NEL FINE: bisogna separare le funzioni bancarie.
Henri Schmit
Il sistema bancario fa parte di un contesto istituzionale più ampio. Gli anni 80 sono preistoria: le banche italiane finanziate da quelle estere operavano protette sotto lo scettro onnipotente delle autorità italiane. Solo dal 30 maggio 1990 il sistema commincia ad aprirsi ai mercati esteri permettendo ai residenti di aprire senza autorizzazione ministeriale conti all’estero. In pochi anni gli operatori e i regolatori sanno dotarsi di strutture in linea con la concorrenza internazionale: informatica, prodotti finanziari, controlli interni. Con il nuovo millennio le banche sono pronte per l’euro, ma non il sistema paese, forse peggiorato rispetto a prima di tangentopoli: il sistema politico e legislativo ora è meno credibile, meno professionale, meno prevedibile; la giustizia non è cambiata molto; il rispetto delle regole da parte degli operatori, privati e purtroppo pure bancari, è scarsissimo; le furbizie, gli inganni, lo sfruttamento dei più deboli, le truffe a danno di altri privati e dello stato, il ricatto fra privati o della politica nei confronti dei cittadini, tutto mirando alla conservazione del potere e all’arricchimento occulto e rapido di pochi, sono all’ordine del giorno adesso più di 30 anni fa. I vizi del sistema bancario (irregolarità e inefficienze) non sono che un pallido riflesso di un sistema più ampio, profondamente marcio, incapace di rigenerarsi. E meno male che non è passata la grande riforma che avrebbe solo accentuato i vizi più profondi.
Piero
La gestione pesantemente clientelare del credito è dovunque (non solo in Italia). Ovunque pure gli intrecci Politica Banche ed Imprese (Macron ? Il marito della May ? I ministri di Trump ? le Lobby che sostenevan la Clinton ? Barrogo e Grilli dove lavorano ora ? Draghi è un Tecnico od è anche Altro ? etc).. La sottocapitalizzazione (e quindi minore internazionalizzazione e minore innovazione) è invece più grave in Italia. La massa crescente dei debiti pubblici e privati, finance non finance and household, ha raggiunto livelli tali che un bimbo capirebbe che non verranno mai restituiti. Al di là della buona volontà è semplicemente impossibile. Ed invece politici esperti banchieri economisti plurimasterizzati mercati sembrano non vedere questa banalità. Mistero della fede (di massa).