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Tap, la via del gas per una lunga transizione

Il Tap non riuscirà a risolvere la questione della dipendenza europea dal gas russo. E l’investimento è molto ingente. Ma nella transizione verso un’energia libera da fonti fossili, il gas è necessario. Così come le infrastrutture che lo trasportano.

Cos’è il Tap

Quando si parla di energia, l’Europa deve fare i conti con due grandi temi: il riscaldamento globale – e il suo contributo di riduzione delle emissioni – e la dipendenza energetica. Per il proprio fabbisogno, infatti, importa oltre il 90 per cento di petrolio e il 66 per cento di gas. Di quest’ultimo, poi, il 35 per cento proviene dalla Russia.
Tutto ciò vale ancora di più per il nostro paese che dipende dall’estero per il 76 per cento e importa il gas da paesi come Russia (45 per cento), Algeria (20 per cento), Libia (9 per cento) e Qatar (8 per cento).
Per ridurre le importazioni di energia, la modalità principe è, da un lato, contenere i consumi e, dall’altro, prodursela da sé, ovvero potenziare le fonti rinnovabili, segno e simbolo di una transizione energetica-ambientale ormai globale e irreversibile.
Tuttavia, durante la transizione il gas è necessario, anche perché è la fonte fossile più pulita. Il rischio associato alla dipendenza energetica si può dunque ridurre diversificando geograficamente le importazioni.
Per trasportare il gas servono infrastrutture: terminali di rigassificazione per la materia prima liquefatta trasportata via nave e gasdotti che la portano dal paese d’estrazione a quelli di destinazione, varcando parecchie frontiere.
Per i gasdotti, a parte gli aspetti tecnici, ci sono da considerare alcuni fattori rilevanti: un costo così ingente che richiede la formazione di consorzi, una domanda attesa di gas per i prossimi trenta anni che giustifichi l’operazione, la stabilità politica dei paesi attraversati, l’opposizione delle popolazioni locali – l’ormai nota “sindrome Nimby (Not in my backyard).
E qui entra in scena il Tap. Il Trans Adriatic Pipeline è un gasdotto che trasporta il gas naturale dall’Azerbaijan all’Italia, un viaggio lungo 878 chilometri di cui poco più di 105 in mare. Dopo aver attraversato Grecia e Albania si connette al Tanap turco (1850 chilometri) e all’Scp (South Caucasus Pipeline) che passa da Georgia e Azerbaijan fino al Mar Caspio. L’intero corridoio ha un costo stimato di 45 miliardi di euro, un decimo dei quali per il solo Tap, e una capacità di trasporto di 10 miliardi di metri cubi l’anno. L’avvio dei lavori è stato celebrato il 17 maggio 2016 a Salonicco da Alexis Tsipras. Sbarcato in Puglia, a Melendugno, il Tap percorrerà sottoterra gli ultimi 10 chilometri per permettere l’aggancio con la dorsale nazionale. Gli azionisti del Consorzio Tap sono Snam (Italia), la britannica BP e l’azera Socar, tutti con un controllo del 20 per cento. Completano la compagine la belga Fluxzys (19 per cento), la spagnola Enagas (16 per cento) e la svizzera Axpo (5 per cento).

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Infrastruttura europea

Evidentemente il Tap è una infrastruttura pensata per servire il mercato europeo e, provenendo da Est, trova in Italia uno sbarco adeguato. Trasporta sicuramente gas non russo (ma al legame azeri-russi bisognerebbe dedicare maggiore attenzione) e dunque alleggerisce la posizione di dipendenza europea da Mosca, seppure con valori davvero trascurabili: 10 miliardi contro gli oltre 300 miliardi di metri cubi di gas russo importati nella UE. Ma è un segnale positivo e così va salutato anche se i toni, a tratti salvifici, del consorzio Tap andrebbero presi con la dovuta cautela.
Le dinamiche dell’aumento della domanda di energia nei paesi UE, tuttavia, non paiono incoraggiare enormi investimenti. Secondo l’ultimo World Energy Outlook pubblicato dalla Iea, la domanda di gas naturale nei paesi europei dovrebbe aumentare al tasso dello 0,3 per cento l’anno nel periodo 2014-2040. Significa, però, una crescita di 34 miliardi di metri cubi e dunque il Tap andrà a competere con altre proposte per aggiudicarsi questa fetta di mercato.
Sempre che la Iea ci veda giusto, i consumi di gas hanno raggiunto nel 2014 il livello più basso dai primi anni Novanta. Ciò ha indotto alcuni a chiedersi se sia ora il momento giusto per dare il via a questa onerosa operazione. Il gas che arriverà dovrà essere venduto e perché ciò accada sia il livello di attività economica che i prezzi della materia prima dovranno essere congruenti. La recente esperienza suggerisce che fare previsioni sui prezzi di petrolio e gas può rappresentare un esercizio quanto mai complicato.
Su tutto questo poggia l’aspirazione velleitaria della politica nazionale di fare dell’Italia un hub del gas per il Sud Europa, un obiettivo esplicitamente dichiarato nella vecchia Strategia energetica nazionale del 2013, ma parzialmente rivisto nella bozza Sen 2017.
Tuttavia, quello che accade in questi giorni in Puglia non è spiegabile se non con la buona dose di cinismo che caratterizza la politica nazionale a tutti i livelli. Il Tap è lontano dall’essere la soluzione al nostro problema di troppa dipendenza dal gas russo, ma allo stesso tempo è una piccola infrastruttura, che va messa laddove è stato deciso che vada messa. Una scelta non certo improvvisata, ma che ha superato controlli e richieste di ogni genere.

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Figura 1 

 

Tabella 1 – Domanda di gas nel 2000 e nel 2014 e previsione 2014-2040
(dati in miliardi di metri cubi)

Fonte: World Energy Outlook – Iea

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  1. Cincera

    Che fino hanno fatto i 5 miliardi di metri cubi e virgola Che l’ENI ha trovato nel mare d’Egitto?

  2. massimo di nola

    Un gasdotto che costasse 45 miliardi di dollari per trasportare 18 miliardi di m3 anno di gas (attualmente, grosso modo: 2 in Georgia, 6 in Turchia e 10 in Italia) farebbe fallire anche Paperone. La cifra riportata dall’articolo comprende anche la messa in opera della fase 2 del giacimento di Shah Deniz nel Caspio. Il dato relativo al gasdotto dovrebbe essere molto meno della metà: 3 mld di dollari tratto caucasico (SCGP), 8-10 miliardi tratto turco (TANAP)e 5 miliardi TAP. Quanto al “… legame azeri-russi a cui bisognerebbe dedicare maggiore attenzione” sarebbe utile ricordare che il boom economico dell’Azerbaijan è iniziato proprio grazie alla scelta dell’ex presidente Alyiev di aprire una via alternativa alla Russia nel trasporto del petrolio dall’Asia Centrale (oleodotto Baku-Tbiklisi-Cehyan) fortemente osteggiato dalla Russia a suo tempo. Alyiev junior ha semplicemente ripetuto l’operazione con il gas (suscitando l’ira di Gazprom che si è inventata l’ipotetico Southstream che per ora non ha clienti e non sarebbe in grado di finanziare).

  3. Aldo

    Curioso che si ritenga un miglioramento dipendere dalle forniture e dai diritti di passaggio di azeri e turchi rispetto alle forniture russe.

  4. Michele

    Dall’articolo se ne deduce che si tratta di un progetto che non riduce la dipendenza dalla Russia e che comunque dipende da altri paesi con forte rischio politico. Tuttavia è un’opera che “va messa laddove è stato deciso che vada messa”. Credo che questo sia il miglior modo per alimentare al massimo immaginabile la sindrome nimby. In una situazione dove la classe politica, gli esperti e la classe dirigente in genere godono, grazie agli oggettivi risultati raggiunti, di un discredito generalizzato, immaginare imposizioni dall’alto invece che una condivisione delle soluzioni è la ricetta sicura per esasperare i problemi.

  5. Francesco Colafemmina

    Mi domando solo dove sarebbe il problema della “dipendenza” dal gas russo? La Russia è forse meno stabile democratica e civilizzata di paesi come l’Algeria, la Libia e il Qatar? E poi andrebbe aggiunto che per ora la TAP va a sopperire al calo del gasdotto olandese e del Green Stream (passato a soli 4 miliardi di m3 nell’ultimo anno), ma è un gasdotto pensato per una futura vendita del gas proprio attraverso il gasdotto olandese. Vogliamo il gas? Beh da qualche parte dovremo pur prenderlo. Ora, perché questo accanimento nei riguardi della “dipendenza russa”, come se la dipendenza dai paesi del Golfo o dallo stesso Azerbaijan… sicuramente un paese meno “democratico” della stessa Russia.

  6. Matteo P.

    La diversificazione delle fonti aumenta, di per sé, la sicurezza energetica. Senza stilare classifiche di “civilizzazione” tra i nostri partner energetici, l’opera non diminuirebbe la dipendenza assoluta dal gas russo, ma quella relativa: in questo senso certamente il TAP/TANAP migliorerebbe la posizione negoziale europea nei confronti della Russia.
    Un ulteriore elemento da tenere in considerazione è, in ottica strategica e medio/lungo, la possibilità di import di gas Iraniano, secondo Paese al mondo per riserve di gas naturale, ad oggi largamente non sfruttate. Il disegno è di Medio/lungo perchè le riserve di gas sono concentrate nel Golfo persico (giacimento South Pars), e l’Iran manca ancora dell’infrastruttura per trasportare gas al confine azero. Il mosaico geopolitico è complesso, ma il potenziale impatto iraniano sui mercati energetici eurasiatici è notevole. Anche perchè, in alternativa, il gas iraniano verrà esportato solo verso Cina e Asia meridionale (India), di fatto spingendo il baricentro della politica estera ed energetica iraniana ad oriente.

  7. Vittorio

    La distanza da Melendugno, il punto di approdo sulla terra ferma in territorio italiano, a Mesagne, quale punto di interconnessione alla rete nazionale (Snam) è di 40 Km e non 10. E’ stato scelto di far approdare il gasdotto Tap in un punto ad altissima vocazione turistica, con importanti zone marine interessate da “popolazione” protetta di poseidonia anzichè farla approdare in zona già altamente industrializzata, tipo Cerano, in prossimità imminente al tubo di interconnesione…con costi notevolmente più ingenti. Il chè “puzza” di marcio e fa sorgere i soliti dubi-tubi su scelte che richiamano ad intrecci lobbistici tra banche-politica-multinazionali.

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