Se più mamme lavorano, più bambini vanno all’asilo nido. Con quali effetti sul loro sviluppo? Migliorano le abilità cognitive di chi proviene da situazioni di svantaggio. Ma durano di più le ripercussioni positive sulle capacità non cognitive.
Abilità cognitive e non cognitive
L’aumento della frequenza di asilo nido e scuola d’infanzia ha da anni stimolato l’attenzione di scienziati sociali e politici sugli effetti di diverse modalità di accudimento dei bambini, alternative alle cure materne. Se all’inizio il focus è stato sullo sviluppo cognitivo dei bambini e sui risultati scolastici durante la scuola elementare, in un nostro lavoro ci interroghiamo sull’esistenza di ripercussioni su diversi aspetti persistenti fino all’età adulta.
In generale, valutazioni empiriche dei programmi di cura dei bambini dimostrano come abbiano avuto effetti positivi e significativi sulle abilità cognitive – come quoziente intellettivo, abilità linguistiche e motorie, risultati nei test scolastici – soprattutto per quelli che vivevano in condizioni di svantaggio, mentre hanno avuto poco o nessun effetto su quelli provenienti da contesti più ricchi.
I primi programmi di investimento nella prima infanzia diretti specificatamente a bambini di famiglie svantaggiate furono introdotti negli Stati Uniti negli anni Settanta e hanno avuto effetti positivi nel breve periodo, ma ne hanno avuti di importanti anche di lungo periodo. Uno dei più noti è il Carolina Abecedarian Project. Caratteristiche peculiari del progetto erano il fatto di rivolgersi a bambini molto piccoli (a partire dai 4-5 mesi), provenienti da famiglie svantaggiate, e la sua intensità: 8 ore al giorno, cinque giorni alla settimana. La valutazione dimostra che rispetto a coloro che non avevano preso parte al programma, i bambini che vi avevano partecipato hanno una probabilità più alta di terminare la scuola secondaria, una probabilità più bassa di ripetere l’anno scolastico e una maggior probabilità di frequentare l’università a 21 anni.
In alcuni casi, però, l’impatto positivo sulle abilità cognitive si attenua nel lungo periodo, talvolta fino a scomparire, instillando dubbi sull’utilità di investimenti cospicui in questo settore. Per esempio, una recente ricerca che ha valutato un programma in Tennesse ha trovato risultati positivi della frequenza della scuola dell’infanzia a 4 anni su esiti scolastici a 5 anni. Tuttavia, gli effetti scompaiono a 6 anni e a 8 anni i bambini che hanno frequentato il programma hanno risultati scolastici addirittura peggiori del gruppo di controllo.
Tempi, modi e qualità
Come è possibile riconciliare questi risultati apparentemente contrastanti? Possibili spiegazioni riguardano l’età dei bambini al momento dell’intervento, la sua intensità e durata, la qualità dell’esperienza e la mediazione delle abilità non cognitive. In primo luogo, gli investimenti cruciali per lo sviluppo cognitivo avvengono nella fase in cui le menti sono più malleabili, cioè da zero a tre anni. In secondo luogo, la durata e l’intensità del programma sono fondamentali, sia per le ore erogate che per il periodo di tempo lungo cui si svolge: mentre i primi programmi erano estremamente intensi e di lunga durata, i più recenti sono di più breve durata e con orari più limitati.
Anche la qualità dell’asilo nido sembra essere un elemento determinante per l’impatto sullo sviluppo dei bambini in sostituzione alla cura familiare (prevalentemente della mamma o dei nonni). Per quanto riguarda l’Europa, dove prevalgono nidi pubblici di qualità elevata e omogenea, la valutazione di una riforma introdotta in Spagna mostra che la scuola dell’infanzia per bambini di tre anni ha un effetto positivo sui risultati scolastici fino all’età di 15 anni. In Danimarca la frequenza dell’asilo nido all’età di due anni ha un effetto positivo sia sui rendimenti scolastici sia su abilità non comportamentali fino all’età di 16 anni.
Infine, un’ipotesi è che l’azione positiva dell’asilo nido perduri nel tempo proprio grazie al suo effetto sugli aspetti non cognitivi. Un ricco filone di ricerca che unisce letteratura economica, sociologica e psicologica, ha mostrato come proprio le abilità non cognitive (come auto-controllo, autostima, motivazione) abbiano ricadute positive sui risultati scolastici e nel mercato del lavoro, oltre che su altri aspetti della vita, come salute e rischio di attività criminale. Questo ha portato a teorizzare la presenza di un effetto “mediatore” delle abilità non cognitive. Un risultato che indica l’importanza di ulteriori ricerche future.
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Gianpiero Dalla Zuanna
Cara Daniele e cara Enrica. Credo che la varietà dei risultati possa dipendere sia dalla qualità del nido, sia dalla qualità delle misure alternative. Magari a Bologna ci sono bravi nonni… Difficile saperlo e misurarlo. E comunque il risultato di Bologna getta ombre importanti sull’effetto positivo universale del nido sulla “qualità” dei bambini. Importante cobtinuare a studiare e a raccogliere dati empirici su questo tema.