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Regno Unito al voto: una decisione dettata dal cinismo

Con smisurato cinismo, Theresa May chiama il Regno Unito al voto. Il suo obiettivo è distruggere il partito laburista e quel che resta del cameronismo nei tory. Lo raggiungerà, ma il significato della Brexit non diventerà più chiaro.

Il cinismo di Mrs May… 

La motivazione data da Theresa May per la sua decisione di indire un’elezione anticipata è che le trattative del governo con la UE per ottenere il miglior risultato per il paese sono rese difficili dai partiti di opposizione. Faccio fatica a immaginare una motivazione più balzana. L’esperienza del referendum deve averla convinta che gli elettori si possono abbindolare con frottole straordinarie, come la promessa di 350 milioni in più alla settimana per il sistema sanitario nazionale, purché attribuibili alla perfidia dei pro-europei.
In realtà, l’opposizione alla Brexit è davvero debole. Esprimere dubbi e perplessità sull’uscita dall’Europa attira veementi accuse di sabotaggio anti-democratico: il popolo ha deciso, indietro non si torna. Se le accuse non fanno un baffo al veterano Kenneth Clarke, il solo deputato tory a votare contro l’articolo 50, che ha dichiarato ghignando di aver seguito la politica ufficiale dei tory nei quaranta anni precedenti il 24 giugno, molti deputati laburisti hanno invece ubbidito all’ordine di Jeremy Corbyn di votare con il governo a favore dell’articolo 50, per “adeguarsi alle preferenze dei loro elettori”. I nazionalisti scozzesi e i liberal-democratici si sono sì opposti, ma insieme arrivano a malapena al 10 per cento dei parlamentari. La Camera dei Lord si rifiuta di dare carta bianca al governo, ma è semplicemente il suo compito, e in ogni caso Downing Street può bellamente ignorare le sue opinioni.
Il vero motivo dell’arrogante voltafaccia di Mrs May, che solo in marzo aveva negato per l’ennesima volta di avere intenzione di indire le elezioni, è la convinzione di avere a portata di mano un trionfo elettorale senza precedenti. Convinzione basata sia sui sondaggi elettorali, che danno fino a venti punti percentuali di vantaggio al suo partito, sia su risultati ufficiali: nella recente elezione in un collegio dove il deputato si era dimesso, i tory hanno strappato il seggio ai laburisti che lo detenevano dal 1935. È rarissimo per il governo espugnare un collegio dell’opposizione: l’ultima volta era successo nel 1982, negli anni d’oro di Margaret Thatcher. Numerosi anche i seggi regionali dove i laburisti sono sconfitti dai tory. I conservatori potrebbero dunque arrivare a 400 deputati, livello che nemmeno Thatcher raggiunse mai, avvicinandosi al record del primo trionfo di Tony Blair, che ne ottenne 418.
Oltre a un posto sicuro nella storia elettorale, penso che Madam May abbia anche calcolato che diluire l’ala più fanaticamente brexitista dei tory in un brodo di neo-deputati che le devono un inaspettato ingresso in parlamento possa renderle la vita più facile, evitandole di dover continuamente preoccuparsi della Camera dei comuni nelle trattative con l’UE. E c’è chi sostiene che May sia seriamente preoccupata dagli effetti che la prospettiva di una Brexit dura comincia ad avere sull’economia. Nonostante il linguaggio truculento, potrebbe essere un presagio che la Brexit si ammorbidirà. I mercati finanziari sembrano condividere questa opinione e la sterlina si è rivalutata rispetto ad altre valute all’annuncio delle elezioni. Durerà?

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… e quello di Mr Corbyn

Per la prima volta da quando era assessore nel municipio londinese di Haringey, Jeremy Corbyn ha dovuto prendere una decisione con conseguenze pratiche. La riforma costituzionale imposta da David Cameron fissa in cinque anni la durata della legislatura. In passato il primo ministro poteva semplicemente chiedere alla regina di sciogliere il parlamento; dal 2010, invece, è necessaria una maggioranza di due terzi dei deputati. Se i laburisti avessero votato contro, l’elezione non si sarebbe potuta tenere. Corbyn ha giustificato il suo appoggio al governo dichiarando che il paese avrà finalmente la possibilità di eleggere lui come primo ministro, ma nemmeno nei suoi sogni più fantastici il leader laburista può pensare davvero di varcare la soglia del numero 10 di Downing Street il 9 giugno. È infatti difficile immaginare un partito più diviso, demoralizzato e guidato da una leadership di più straordinaria incompetenza. Di Brexit Corbyn non parla nemmeno, e al di là di fatue tirate demagogiche contro il capitalismo e la disuguaglianza, le idee concrete del governo-ombra per rivoluzionare il paese si possono riassumere nelle proposte di alzare il sussidio a chi accudisce genitori anziani a casa, aumentare di 2,50 sterline il salario minimo orario e nazionalizzare le case di riposo che non passano l’ispezione.
Ritengo invece che la sua decisione di votare come Mrs May gli ha chiesto di fare sia dovuta al desiderio di liberarsi di alcuni deputati scomodi, quelli che si trovano in collegi brexitisti pur favorendo l’appartenenza all’Europa o quelli che potranno essere accusati di blairismo. L’obiettivo di Corbyn sembra dunque quello di rimanere alla guida di un piccolo drappello di fedeli fanatici più interessati alla purezza ideologica che a costituire un’efficace opposizione al governo più dispotico e illiberale della storia del Regno Unito.

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15 commenti

  1. Marcomassimo

    Corbyn e Sanders non sono due demagoghi; sono due seri tentativi di riformare quel capitalismo finaziarizzato che è nato nei paesi anglosassoni, che ha fatto gli interessi di pochi a scapito dei più, e che ha provocato squilibri sia sociali che politici ed una crisi della democrazia che sono sotto gli occhi di tutti.

    • alessandro sebastiani

      Buongiorno Marcomassimo, pieno rispetto per le idee altrui, ma Corbyn quando parla a favore delle idee marxiste, a mio parere segue due linee: o ci crede (quindi e un ignorante della storia) o è un imbonitore alla ricerca di voti. Io propendo per la seconda ipotesi. Scusa se mi sono permesso una risposta provocatoria.

      • Marcomassimo

        Caro Alessandro, nessuna provocazione; Sanders e Corbyn pongono problemi concreti che sono sotto gli occhi di tutti; diseguaglianze sempre più abissali; finanza e commercio sregolati, precarietà lavorativa ed esistenziale, retribuzioni stagnanti ed insufficienti per larghi strati, carenze della assistenza sanitaria (in america), condizionamento della politica, della cultura, dei media da parte dei poteri forti, concentrazioni oligopolistiche nella propietà dei media. Non sono estremisti, sono dei borghesi moderati, i veri estremisti sono i pochi che di tutto questo beneficiano

  2. amorazi

    siete sicuri che la regina may riuscirà nel suo intento? le urne possono sorprendere!

  3. Methodologos

    E’ proprio vero: per rimediare al cinismo della May e di Corbyn bisogna tornare al rigore etico, alla onestà morale e alla nobiltà di intenti di Blair.

    • Marcomassimo

      Methodologos, tutto si può dire ma parlare di rigore etico di Blair è assolutamente irrazionale; dopo che si è ritirato dalla politica attiva è diventato milionario; gli stessi poteri finanziari che ne hanno favorito la politica e usato come “proxy” l’hanno ricoperto d’oro tra conferenze ed incarichi improbabili

      • Methodologos

        Davvero il mio paradosso non era abbastanza trasparente? Mi dispiace. Quando nella newsletter de Lavoce l’articolo veniva presentato con questa frase: “Manca un Blair a sparigliare gli opposti cinismi.” mi è venuto spontaneo sottolinearne quella che mi è parsa un’obiettiva sconcertante assurdità…

  4. tommaso

    Dunque ora sappiamo che in DEMOCRAZIA è CINICO chiamare i cittadini a esprimersi su un passaggio importante che tante conseguenze avrà sulle loro vite
    Dunque, di converso, ne ricaviamo che ad es. Lukashenko, per dire, è probo, equilibrato e riguardoso e niente affatto cinico
    Io penso che all’origine di questo delirante commento ci sia la sindrome del “nuncevonnostà” (come si dice a Roma) che colpisce l’autore (non solo in questo post) e molti altri commentatori: non hanno saputo prevedere l’esito del referendum sull’uscita, il risultato non gli piace, e ora non sanno a cosa appigliarsi
    Sul perché molti politici e commentatori non sono riusciti a prevedere il voto sulla Brexit (ma anche Trump) e poi a prenderne atto, fino ad arrivare a rinnegare in sostanza i fondamenti democratici (sognando l’aristocrazia e il governo degli ottimati) ci sarebbe da riflettere, perché gran parte dei problemi si annidano proprio qui (ma la farei lunga e mi fermo)

    ps x Methodologos: lucido, sintetico, impeccabile: sottoscrivo!

    • Methodologos

      Grazie, Tommaso, lei ha capito quello che intendevo.

    • Gianni De Fraja

      Non è cinismo chiedere agli elettori di confermare decisioni importanti. Ma non è questa la dichiarata intenzione di Madam May. Ha infatti dichiarato che il popolo ha parlato il 23 giugno, che quindi non occorre consultarlo più sulla questione dell’appartenenza all’UE. Ha invece dichiarato che non vuole opposizione interna quando tratta con Bruxelles, e che quindi intende zittire, o almeno cercare di diminuire il ruolo dei deputati e dei partiti che intendono farsi portavoce del 48% della popolazione che ha votato Remain, e di quelli che hanno cambiato idea dal voto. Il fatto che la situazione politica sia tale che indire oggi un’elezione inutile (è inutile perché non c’è di fatto opposizione in Parlamento e quella nella società civile è minima), per massimizzare il numero di deputati attesi e per massimizzare il danno all’opposizione laburista è, a mio modo di vedere, cinismo.

    • Francesco

      No, rinnovare il parlamento a proprio piacimento, solo perché non è costituito all 100% dai propri più fedeli sodali, non è ‘democrazia’. Theresa May non chiede ai cittadini di esprimersi su nessuna questione di merito (Brexit non è in discussione). Bensì vuole solo utilizzarli per avere più strumenti per perseguire i propri scopi. Così come fece Cameron con il referendum, che l’aveva progettato come uno spauracchio per ricattare l’UE. È come se Renzi, sulla scia del successo delle elezioni europee del 2014, avesse sciolto il parlamento italiano e indetto nuove elezioni per prendere la stessa percentuale voti che aveva preso in quelle elezioni (40,81%).
      È quello che si definisce un “colpo di mano”, che di democratico non ha nulla.

  5. Henri Schmit

    Il sentiment anti-UE in UK ha 2 cause, l’inefficienza UE in campo politico, giuridico e fiscale e la minaccia combinata fra libera circolazione e immigrazione incontrollata. Preso in tenaglia fra UKIP e frange anti-UE del suo stesso partito Cameron ha pensato fare l’interesse del suo paese e del suo governo provando di far tacere entrambe le minacce attraverso un referendum. Ha perso la sommessa. Con lui hanno perso i remain. Perdendo l’UK perdiamo tutti. Perde l’UE che ha trattato con il governo Cameron concedendo ulteriori eccezioni, dannose per l’Unione; perdono i Tories che prima erano per il ‘remain’ e adesso guidano il negoziato per un hard exit; perdono i liberali e i pochi labouristi pro-UE che (contrariamente al SNP) non sono capaci di unirsi elettoralmente in un partito pro-Europa; perdono infine i paesi dell’UE che contavano su ‘una sempre più stretta unione’ per mettere in comune i debiti nazionali e che ora devono fare i conti con uno scenario futuro di stati molto più attenti ciascuno alla gestione del proprio debito. Il referendum è solo il pretesto per una rivoluzione di palazzo: ma invece di marginalizzare gli anti-eurpei consegna il potere proprio a loro. Prima fingono di piegarsi al verdetto solo consultivo, poi decidono di sciogliere il parlamento per sfruttare i momento positivo a favore di una maggioranza più solida a sostegno di una Brexit nel miglior interesse del paese. Da manuale. L’unico rischio è il SNP e secondo un 2° referendum sozzese.

    • Amegighi

      Condivido l’analisi. Se permette ci aggiungerei il pensiero di T.Jefferson (1743-1826) quanto mai attuale, benchè espresso 350 anni fa. Secondo lui, infatti, occorreva e bisognava istruire il più possibile il popolo, perchè questo potesse essere pienamente in grado di controllare, verificare e giudicare le scelte dei suoi rappresentanti eletti al Parlamento.
      Ecco, mi dà l’idea che in questa era di Internet in cui tutti possiamo facilmente (molto più facilmente di 30-40 anni fa) accedere al fonte primaria dei dati, analizzarli e capirli (sulla base dell’elevata scolarizzazione raggiunta) siamo invece più proni a farci abbindolare da promesse inesistenti o impossibili, da progetti irrealizzabili, o peggio, da dati assolutamente falsi costruiti ad arte.
      La mia impressione è che forse siamo noi che non riusciamo con il nostro dibattito critico a costruire e modellare una classe politica realmente capace di affrontare i gravi problemi della nostra società e (soprattutto) a proporre delle credibili soluzioni. Preferiamo tutto sommato lasciar stare affidandoci al primo “santone” di turno e coltivando il nostro “piccolo orto” personale. Ne risultano situazioni paradossali come il “gravissimo” problema dei voucher (uno zero virgola delle ore lavoro totali, mentre nessuno sembra seriamente affrontare la disoccupazione giovanile) o quello dei vaccini (problema per gli umani, ma, a quanto pare, non per i possessori di animali domestici).

      • Henri Schmit

        Sono d’accordo con il suo commento. Aveva ragione Jefferson, ma è un lavoro da Sisifo e quindi non dobbiamo farci troppe illusioni. Più facile perché più circoscritto sarebbe il compito di sanzionare (corregere o escludere) le persone pubbliche che dicono intenzionalmente il falso (per vantaggiarsi). Il compito spetta ai giornalisti (…) e al mondo accademico che non è innocente se non interviene e correge. Detto ciò il referendum sull’UE è stato un’operazione di palazzo travestito in strumento democratico. Il distinguo è nell’iniziativa, i governanti o qualsiasi minoranza. Cameron sperava far tacere i suoi avversari di partito – dopo aver umiliato i poco corragiosi (poco convinti!) dirigenti europei con le nuove deroghe. Se vinceva il Remain, altri paesi emulavano l’UK; quindi meglio così. La scommessa non ha funzionato e gli avversari di partito ne hanno approfittato per prendere loro il comando. Se il referendum partiva da un’iniziativa dell’UKIP, tutta la ‘dialettica’ sarebbe stata diversa ed immagino che il Leave avrebbe perso. La mia conclusione è che (per sradicare gli accessi, risolvere certe situazioni di stallo: la legge elettorale, l’euro) serve uno strumento d’iniziativa popolare a condizioni severe, con dibattito in parlamento, che si conclude se necessario con un verdetto popolare.

  6. Massimo Matteoli

    May come Cameron va al voto solo per calcoli di bassa bottega politica.
    Spero faccia la solita fine

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