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L’euro e il principio di autorità

Il principio di autorità non è mai un argomento convincente, ed è stupefacente che venga usato proprio da tanti economisti (che si vantano di essere costituzionalmente dissacratori) nel dibattito sull’euro. Men che meno autorizza a usare i dati in maniera superficiale ed errata.

Pochi giorni fa un gruppo di 25 premi Nobel ha pubblicato sulle pagine di Le Monde un appello pro-euro. Al di là e al di qua delle Alpi, per molti quell’appello fu sufficiente per chiudere il dibattito: “ipsi dixerunt”, e questo deve bastare. Eppure, tutti sanno che tra quei premi Nobel alcuni non hanno la benché minima conoscenza di macroeconomia, e altri non si sono mai occupati di questioni europee (e qualcuno, sospetto, non saprebbe nemmeno indicare il Belgio sulla carta geografica). Le istanze degli euroscettici, per quanto in certi casi presentate confusamente, esprimono un disagio reale: meritano una trattazione meno superficiale.  Da quando tra gli economisti (che si vantano di essere costituzionalmente dissacratori) vige il principio di autorità? Con le dovute proporzioni, questa situazione rischia di ricordare la Riforma protestante: a furia di ipse dixit, anatemi e scomuniche, gli scolastici, pur con tutti i loro titoli accademici e le loro cariche ecclesiastiche, si ritrovarono spazzati via da Lutero e Calvino.

L’ Argentina nel 2002: non tutto è così ovvio

Senza scomodare i premi Nobel, lo stesso atteggiamento condiscendente si ritrova anche nel dibattito nostrano. Un esempio è il modo in cui alcuni pro-euro citano spesso l’esperienza dell’Argentina, che nell’inverno del 2002, abolì il currency board (una specie di unione monetaria con il dollaro) e svalutò pesantemente.

Una svalutazione riduce il prezzo in euro delle esportazioni italiane, aumentando così la domanda di prodotti italiani e l’occupazione; ma aumenta anche il prezzo in lire delle importazioni, riducendo così il potere di acquisto dei salari e di tutti i redditi. I no-euro, sostengono i pro-euro, “la fanno facile” perché non rendono mai esplicita questo secondo effetto delle svalutazioni, che può portare a una riduzione della domanda, del Pil pro-capite, e della occupazione.

Non ci sono verità rivelate in questo campo: alla fine è una questione empirica. I pro-euro citano spesso due dati. Il Pil reale (cioè la quantità di beni e servizi prodotta nell’economia argentina) cadde nel 2002 del 12 percento, una recessione terribile. Ma omettono spesso un altro dato: subito dopo, dal 2003, il Pil cominciò a aumentare al ritmo dell’8 percento per ciascuno dei cinque anni successivi. Nel 2004 era tornato ai livelli del 2001, e dal 2005 era ben superiore. Un no-euro potrebbe, altrettanto a ragione, concludere da questi dati che la svalutazione ha funzionato.

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Questo non vuole negare l’enorme sconvolgimento sociale che avvenne in quegli anni in Argentina, con un fortissimo aumento della povertà e altre drammatiche manifestazioni di malessere.  Ma è ragionevole attribuire tutto questo all’abolizione del currency board?  L’economia argentina sotto il currency board  stava già implodendo: nei tre anni precedenti il 2002 il Pil era già sceso del 10 percento. Il currency board era semplicemente insostenibile. Se tolgo un coperchio da una pentola che bolle, il fumo che ne esce non è stato causato dalla mia azione di togliere il coperchio: anzi, posso dire di avere evitato una esplosione peggiore.

Il salario reale argentino: una clamorosa caduta …di stile

La condiscendenza è pericolosa e controproducente perché porta a trattare con superficialità argomenti complessi. In questi giorni è circolato sui social un grafico (da un lavoro di Stephanie Schmitt-Grohé e Martin Uribe, della Columbia University) che, secondo i pro-euro, chiuderebbe definitivamente la questione. Eccolo qui sotto. Rappresenta il (presunto) salario reale argentino immediatamente dopo la svalutazione: una caduta del 70%!

Cosa c’è di sbagliato nella interpretazione che è stata data di questo grafico?  Una riduzione del salario reale del 70% in un anno dovrebbe immediatamente fare insospettire: neanche durante le invasioni barbariche si assistette a un simile scempio. Infatti questo grafico non mostra il salario reale nel senso di evoluzione del potere di acquisto di un salario medio argentino negli anni della svalutazione, ma il salario argentino espresso in dollari. Dopo la fine del board, il peso si svalutò di un fattore pari a quattro, il che spiega la riduzione del salario in dollari di circa il 70 percento.

Ma per calcolare il potere di acquisto del tipico salario argentino non dobbiamo usare il tasso di cambio, bensì il prezzo in pesos del tipico paniere di beni e servizi acquistati dal tipico salariato argentino, cioè l’indice dei prezzi al consumo.  A quel tempo, l’Argentina era un paese abbastanza chiuso, con una incidenza delle esportazioni e importazioni sul Pil di circa il 10 percento. Il prezzo della maggior parte dei beni e servizi non aumentò certo in proporzione della svalutazione.

Non è facile trovare dati attendibili sui salari argentini prima del 2002. L’istituto di statistica argentina pubblica però il valore totale dei salari pagati ogni anno, il numero di salariati, e le ore lavorate. L’unica serie storica abbastanza lunga sui prezzi al consumo è quella dei prezzi al consumo nella grande Buenos Aires. Con questi dati, si può ricostruire il salario reale medio, sia per lavoratore che per ora lavorata. Entrambe le variabili rivelano una riduzione del 20 percento complessivo nel 2002 e 2003: fortissima e socialmente dirompente, ma ben lontana dal 70 percento del grafico. E interamente recuperata entro il 2006.

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La Svezia nel 1993 e l’uso selettivo dei dati

L’economia Argentina del 2002 era molto diversa da quella italiana odierna, così come diversi furono i motivi per entrare nell’unione monetaria. Un esempio forse più interessante per l’Italia è quello della Svezia. Nel 1993, nel mezzo di una forte e prolungata recessione, la Svezia svalutò la corona rispetto al marco di oltre il 30 percento. Il Pil continuò a scendere nel 1993 del 2 percento, ma dal 1994 e per i successivi sei anni aumentò al ritmo di quasi il 4 percento annuo. Naturalmente tante altre cose avvennero in Svezia nello stesso periodo, e è difficile attribuire il rilancio dell’economia interamente alla svalutazione. Ma questo dato suggerisce che, quando si parla di fenomeni controversi, non ci sono scorciatoie: l’affermazione “una svalutazione riduce sempre drammaticamente il salario reale” non diventa automaticamente vera solo perché viene ripetuta spesso senza aver guardato i dati.

L’alterigia accademica

Personalmente credo che l’uscita dall’Euro sarebbe un disastro per l’Italia, e che il modello svedese non sia riproducibile in Italia. Ma questo è irrilevante: il mio intervento ha un intento metodologico. Come in tutte le questioni economiche (e non solo), niente autorizza a usare i dati in modo superficiale, errato e controproducente, solo perché si ritiene che l’argomentazione sia così ovvia che non vale la pena perderci tempo con persone meno qualificate accademicamente, e tutto è consentito perché il dibattito dovrebbe essere stato chiuso da un gruppo di 25 premi Nobel.

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49 commenti

  1. Giuseppe Gargiulo

    Ottimo contributo, come di consueto

  2. Giovane Arrabbiato

    Attento che la scomunicano Perotti. Non faccia notare poi che i Britannici stanno ancora aspettando quella recessione del 2016 in caso di Brexit, pronosticata da altrettanti premi Nobel.

    • Andrea Ferrero

      Sta arrivando, caro giovane arrabbiato: http://uk.mobile.reuters.com/article/idUKKBN1870WF

      Keep calm and wait for it

      • Giovane Arrabbiato

        0.5% di riduzione quando l’Italia (grazie all’Euro) ha perso il 25% ? Ok.

        • General Grievous

          E questa affermazione (falsa) con che dati la giustifichi?
          Dove avresti preso questi dati?

          • Giovane Arrabbiato

            http://www.repubblica.it/economia/2016/09/23/news/investimenti_produzione_industriale_crisi-148365722/

            ”Affermazione falsa”. Tanto finchè quattro disonesti ottengono una sedia a Bruxelles, chi se ne frega se l’Italia non si riprende più. Il Sud Europa dentro l’Euro è destinato a diventare una gigantesca questione meridionale. Saremo i terroni d’Europa. Ma non importa. L’importante è potersi sedere alla BCE e portar l’acqua ai tedeschi.

          • Al

            Per esempio il 25% dell’industria italiana ha chiuso sotto l’Euro, il debito ha raggiunto il 130%, e il PIL è in discesa continua (il dato non lo so a memoria ma l’ISTAT è facilmente consultabile). Il dato UK citato è un episodio; altri dati trimestrali UK hanno mostrato un aumento delle assunzioni e della produzione interna (per rimpiazzare quello che è e sarà un minore import dall’UE). L’UK è al momento un importatore netto (ci dà da mangiare) con 100mld netti l’anno: hanno solo da guadagnare.

        • Luciano Zanfrini

          Ah, beata ignoranza giovanile…
          E’ colpa dell’euro o del doppio choc creditizio? Dell’euro o della doppia recessione mondiale-europea-italiana? Dell’euro o della composizione della domanda interna? Dell’euro o della strabordante evasione fiscale (e mi fermo qui, perché il discorso poi si allarga…)?

  3. Giovanni

    Bell’articolo! Si infatti non si capisce neanche com’è che questi il cui lavoro è appunto lo studio dell’economia, si perdano (volutamente?) in dettagli che non sfuggono a me che di economia ne so pochissimo. Comparare la svaluzione argentina (mi sembra di capire che è stata del 70%) a quella probabile italiana (differenziale d’inflazione accumulato nei confronti della Germania dall’ingresso nell’euro, quindi attorno al 20%) porta a conclusioni fuorvianti.

  4. andrea goldstein

    d’accordo sull’impostazione, va però sottolineato che dal 2004 l’Argentina si beneficiò di uno schock esterno unico e favorevolissimo, il boom delle sue esportazioni agricole (e minerarie) grazie all’esplosione della domanda cinese. difficile immaginare qualcosa di simile nei paesi dell’€zona.

    • Pierluigi Molajoni

      Esattamente quello che avrei osservato anch’io – tell it like it is, Andrea!

    • L’Argentina è un Paese agricolo con scarsa produzione industriale. Un Paese industriale con la potenzialità di essere la 5a economia del mondo (lo eravamo con Banca d’Italia dipendente dal Tesoro e nostra moneta, cioè fino ad Aldo Moro) si risolleva assai prima ed assai meglio, perché sostituirà le importazioni riavviando la produzione interna, questo significherà più occupazione, più soldi che girano, e più acquisti di merce prodotta internamente (visto che grazie al riequilibrarsi del cambio le cose importate dalla Germania ritornano ad essere care come devono essere).

  5. Di Fabrizio Aldo

    Prof. Perotti, vorrei capire una cosa: se l’Italia esce qual è lo scenario probabile? Secondo lei non vale il modello di economia internazionale svalutazione-inflazione, pass-through del tasso di cambio, ecc. Allora quale modello si puo’ applicare?

  6. Antonio

    Caro professore non mi intendo di finanza ma di economia domestica si. Se il mio cambio con la mia moneta rispetto al dollaro crolla, quanto mi costerà la tecnologia avanzata che compro dall’estero? E di quanto si svaluterà il mio potere di acquisto? Questo è maggiormente vero in Argentina dove non hanno alte tecnologie e dove la spesa anche su internet è contingentata.
    Secondo punto. Perchè questa analisi si ferma al 2007 e non ci spiega perchè questo paese continua a viaggiare con l’infrazione a due cifre ed un tasso di cambio che nei due anni passati dal 2015 al 2017 al cambio USD/ARS da 8 a 15? Grazie

    • IO

      Il punto è che se l’Italia esce dall’€uro la valuta italiana non si svaluta rispetto al Dollaro ma si svaluta rispetto alla valuta tedesca.

    • Christian Caiumi

      Caro Antonio, quindi dal tuo punto di vista il problema dell’Italia non è quello di avere il 15% di disoccupazione (ufficialmente) ma quello di “non poter comprare le tecnologie estere” (leggi l’ultimo modello di telefonino). Prima di tutto sono contento per te perchè hai visto un bel mondo (e non devi avere grossi problemi economici), secondariamente, vista la tua presumibile posizione di tranquillità economica, non ti preoccupare: l’Iphone potrai comprarlo ancora…

  7. Michele

    Che la svalutazione del cambio migliori in modo strutturale la competitività di una nazione è una favola per bambini: 1) l’unico “beneficio” (temporaneo) riguarda i costi locali i.e. per un paese trasformatore come l’Italia solo la componente costo del lavoro (mediamente 10/20% sul fatturato, cioe se la svalutazione è del 20% il beneficio temporaneo è del 2/4% sul fatturato = irrilevante ai fini della competitività) 2) chi paga la svalutazione sono principalmente i lavoratori a reddito fisso, che se riescono (una volta, ora non più) a recuperare potere d’acquisto generano nuova inflazione locale che preannuncia un’altra inutile svalutazione del cambio. Se invece i lavoratori non recuperano potere d’acquisto rimangono semplicemente impoveriti con riflessi negativi. sulla domanda interna. Questa è la storia dell’Italia negli anni 70-90. 3) il beneficio sul debito pubblico è anch’esso temporaneo, l’aspettativa di inflazione viene ben presto incorporata in tassi ben più alti che in breve erodono ogni beneficio in conto capitale. Morale: non esistono scorciatoie facili e indolori a una rigorosa e severa gestione delle cose pubbliche e private, altro che uscita dall’euro.

    • Non è vero. Per prima cosa il costo delle materie prime è trascurabile nella maggior parte delle lavorazioni (infatti le materie prime trattano in dollari, e l’Euro -alla faccia della stabilità della moneta forte- si è svalutato da $1.50 a $1.05 senza che ce ne siamo accorti; idem per il petrolio che è oscillato da $150 a $30 senza che il consumatore italiano sentisse abissali variazioni).
      Per seconda cosa stai trascurando l’effetto della rivalutazione dei beni esteri: passando alla NuovaLira il prezzo dei beni italiani rimane perlopiù costante (ho appena fatto il discorso sulle materie prime) mentre i beni esteri diventano molto più cari. Questo spinge il consumatore verso i beni italiani, le industrie italiane vendono di più, gli operai lavorano e incassano stipendi e a loro volta possono comprare di più (sempre prodotti italiani perché quelli esteri sono troppo cari).
      Insomma a noi andrebbe molto ma molto bene. Il problema di questo approccio è che si vendono meno Volkswagen e quindi chi davvero comanda non vuole che lo facciamo.

  8. John Wells

    Caro professore, perche secondo lei ITEXIT sarebbe un disastro? Sotto quali condizioni l’Italia potrebbe rimanere vantaggiosamente nell’€? Queste condizioni sarebbero consistenti con la nostra Costituzione? Grazie per l’attenzione. Cordiali saluti.

  9. Gianluca

    In caso di Italexit di quanto svaluterebbe la nuova lira rispetto al dollaro?
    Alcuni studi che ho trovato sostengono che la svalutazione sarebbe solo di pochi punti percentuali (3/4%), mentre l’euro rimanente (ovvero il marco tedesco) si rivaluterebbe di circa il 20%, riequilibrando i conti con l’estero della Germania. Quello che farebbe ripartire l’economia quindi sarebbe l’assenza degli attuali vincoli europei imposti dalla Germania.
    Siamo veramente sicuri che l’Italexit sarebbe un disastro?

  10. Savino

    Mi preme ricordare al Prof. Perotti che:
    – l’Euro è molto più che una moneta unica, bensì un presupposto per un’unione politica vera e propria;
    – l’economia italiana non cresce in maniera dignitosa da quasi un quarto di secolo e per ragioni strutturali e rudimentali ben diverse dalla svalutazione monetaria.

    • L’Euro piuttosto è quella cosa che sta facendo naufragare qualsiasi sogno di unità politica.
      La povertà, la deflazione e la disoccupazione provocata dal mercantilismo tedesco non più frenato dalla rivalutazione del Marco Tedesco manderà gambe all’aria tutta l’Eurozona esclusi i soliti satelliti della Germania.
      L’unico modo per salvare l’Euro sarebbe introdurre trasferimenti fiscali come si fa negli USA per mantenere il dollaro nonostante la difformità dei vari stati, solo che i trasferimenti dovrebbero essere molto più grandi visto che la difformità per l’UE è anche politica e amministrativa. Ora glielo dici tu alla Germania che deve pagare? E’ dal 1978 (il buon Giorgio Napolitano nel suo discorso alla Camera contro lo SME cita un telegramma tedesco pieno di promesse mai attuate) che promettono che faranno qualcosa. Credici.

  11. Giuliano

    Temo che le sue considerazioni non abbiano preso in esame cosa succederebbe, in caso di svalutazione a piccoli risparmiatori (si tratterebbe temo di un esproprio mascherato) ed ai pensionati (sarebbe forse il modo di tagliare, silenziosamente attraverso la svalutazione, il loro assegno.

    • Ma mi spieghi chi vieta ai piccoli risparmiatori di comprare dollari americani (o canadesi australiani ecc), franchi svizzeri, sterline o titoli azionari e mettersi così al riparo dall’inflazione?
      Io l’ho già fatto.
      Per la cronaca anche solo i semplici BOT hanno sempre messo al riparo dall’inflazione, senza tante storie, quindi questa storia della svalutazione che espropria è una bella storia.
      A meno che tu non sia un piccolo mafioso o un piccolo evasore e tu abbia tanti contanti (ok mafiosi ed evasori in effetti vengono colpiti. Poverini)

      Restando nell’Euro i tagli ai pensionati li fa, già adesso, l’Europa (citofonare Grecia: sono ormai sotto i 200 euro al mese… oramai si leccherebbero le orecchie se tu gli ridessi le dracme che prendevano una volta).

      Vedo poi che hai evitato saggiamente di parlare di tagli agli stipendi… che qualcuno avrebbe potuto chiedere quali stipendi? ci saranno ancora stipendi? Con le nuove regole Eurostat sei occupato anche se lavori solo un’ora a settimana, e con queste regole la disoccupazione è del 10% (ovvero la disoccupazione reale è del 20%… e non parliamo di quella giovanile, o della Spagna dove siamo a 20 -> 40%).

  12. Sergio Ascari

    Mi piace soprattutto l’incipit dell’articolo, sul principio di autorità. Forse meriterebbe un dibattito a parte. Purtroppo leggo e soprattutto sento (in radio e TV) spesso economisti – spesso in là con gli anni – che pontificano su argomenti di cui evidentemente sanno poco, avendo acquisito forse meriti e competenze in altri campi.
    Sul merito ovviamente non entro, non è mia competenza. Tuttalpiù di Argentina conosco la storia dei prezzi del gas.
    Grazie.

  13. Maurizio Cocucci

    Si potrebbe anche osservare al nostro caso quando uscimmo (temporaneamente) dallo SME nel 1992. Nel 1993 il PIL calò ma poi ci fu una ripresa nel biennio 1994 e 1995 con un tasso di poco superiore al 2% annuo. Le esportazioni sono cresciute più della media precedente e le importazioni per contro meno andando così a migliorare la bilancia commerciale portandola in attivo. Tutto bello? Sì, se non si considera – come fanno i sostenitori del ritorno alla lira – l’andamento dell’occupazione. Nel 1993 si persero 300 mila posti di lavoro. Un costo dovuto al calo del PIL ma limitatamente a quell’anno, qualcuno potrebbe pensare dato che poi nel biennio successivo il PIL come scritto prima ha ripreso a salire. Ebbene no, nel 1994 si sono persi altri 400 mila posti di lavoro e nel 1995 ulteriori 150 mila. Solo nel 1996 (anno di rientro nello SME) l’occupazione ha ripreso a salire (o forse a stabilizzarsi): + 60 mila posti. In quel periodo il tasso di disoccupazione era del 11%, non diverso da oggi, e gradualmente è andato riducendosi fino a toccare il 6% nel 2007, quindi in piena era euro. Sotto il profilo del commercio estero le esportazioni sono costantemente cresciute tranne l’anno della crisi. Nel 2016 l’export è aumentato del 1,2% e nella ripartizione geografica vediamo come nel meridione l’export è cresciuto del 8,5% (senza uscire dall’euro!). La bilancia commerciale tra l’altro è in attivo dal 2013. Non è che la causa della ‘fiacchezza’ della nostra economia sia interna?

    • Nel tuo discorso le assunzioni rispondono istantaneamente… non è proprio così. Nel 1996 probabilmente ci fu il primo aumento serio dell’occupazione dovuto all’uscita dallo SME e al conseguente aumento degli ordinativi dovuto al minore costo dei prodotti italiani e al maggiore costo dei prodotti esteri.
      Riguardo ai primi anni di Euro, in tutti i Paesi che l’hanno adottato i primi anni di Euro sono ovviamente positivi: infatti grazie ai prestiti facili (le banche del Nord non ti prestavano Pesetas, Dracme o Lire, perché con l’inflazione ne avrebbero avute indietro meno, ma ora ti prestano allegramente Euro – troppo allegramente) tantissime imprese incominciano la loro attività a debito, drogate dal credito facile. Poi però le vendite scarseggiano, perché i consumatori avendo in tasca in pratica Marchi Tedeschi possono acquistare più facilmente prodotti che prima non erano nemmeno alla loro portata (x questo possiamo anche ringraziare una italica esterofilia). Ultimamente non parliamo solo di BMW ma persino di torte (mi è capitato guardando un’etichetta in un noto supermercato). Insomma l’Euro avvia una bolla del credito, che poi si sgonfia e termina in licenziamenti e disoccupazione. Pure la “virtuosa” Finlandia sta scoprendo adesso di “vivere al di sopra dei propri mezzi”; mentre nella vicina Svezia (che come UK è uscita dallo SME senza rientrare) che ha un’economia del tutto analoga le cose vanno bene, e hanno una disoccupazione che in Italia ci sogniamo.

  14. Marco

    Solo un appunto all’incipit dell’esimio Perotti: vero che alcuni Nobel siano evidentemente meno preparati di altri in macroeconomia, ma questo ragionamento prevederebbe che allora solo i davvero pochissimi più preparati al mondo (o addirittura il solo unico più preparato?) nei vari campi dovrebbero decidere rispetto a tutto. Questo in un mondo istituzionale che pone le sue basi nel suffragio universale, lo stesso che decide in maniera preponderante di avallare o avversare grandi progetti pubblici a seconda dell’endorsment di Francesco Totti, in uno dei casi ancora meno irrazionali. Io credo che, evangelizzazioni cattoliche di quanto il tale afferma a parte, quanto persone di questo tipo indicano sia da tenere in considerazione. La guerra civile tra persone di cultura non credo faccia del bene a nessuno, se si avvera una dichiarazione lo si faccia con gli altri e non “poisoning the well”.

  15. Pier Francesco Veronica

    Pur essendo digiuno in materia, devo pensare che, con un certo margine di variabilità, gli economisti abbiano un quadro abbastanza chiaro degli effetti che si produrranno con l’eventuale passaggio dall’euro alla lira.Il mio impalpabile spunto di riflessione non è quindi sulle ricadute economiche ma su quelle psicologiche. Faccio solo un esempio. Oggi, questo non vale per tutti, ci siamo abituati all’idea che un quotidiano costi 1,5 euro, l’entrata ad un museo 10, un libro 18, un concerto 25. La reintroduzione della lira, cioè nello specifico pagare un quotidiano 3.000 lire o 36.000 un libro, potrà avere delle ricadute negative sulla propensione all’acquisto di questi beni? Se così fosse, l’impoverimento culturale del Paese , oltre che per i settori economici coinvolti, non dovrebbe essere considerato tra gli eventuali “effetti collaterali” derivanti dall’abbandono dell’euro? Mi scuso per avere,certamente, abbassato il livello del dibattito. Grazie!

    • Maurizio Cocucci

      Nell’ipotesi di un ritorno alla lira il tasso di conversione sarebbe presumibilmente alla pari ma non certo 1:1936,27 come fu da lira a euro e questo perché tale passaggio avveniva tra una valuta indipendente ed un paniere di esse. Altra cosa sarà la successiva quotazione sui mercati da cui si avrà il cambio con le altre valute. In ogni caso qualsiasi dovesse essere il rapporto di conversione (cioè anche diverso da 1:1 con l’euro), questo non influirà sul potere di acquisto.

      • NO EURO non mi piace, preferico il $

        Basterebbe parcheggiare in USD, per chi puo’ farlo ovviamente.
        Oppure, fare un accordo con TRUMP potrebbe esserci utile, a noi e lui, con il $ a 1,5?

        • NO EURO non mi piace, preferico il $

          Uscire dall’euro per Entrare ovviamente in $ a 1,5 e attendere l’assestamento della nuova Lira Italiana.

    • Lorenzo

      Da questo punto di vista il problema non si pone: non ha alcun senso fare una conversione a 1936,27 lire per euro. Se mai dovesse esserci l’uscita dall’euro il tasso sarà 1 NuovaLira per 1 Euro, per poi lasciar fissare al mercato valutario il tasso di cambio appropriato ( probabile svalutazione, ma di quanto è difficile dirlo). Quindi anche considerando un aumento dell’inflazione dovuto alla svalutazione, l’ordine di grandezza dei prezzi rimarrebbe lo stesso di adesso.

  16. Paolo

    E il debito italiano che fine farebbe?

    • per la cosiddetta Lex Monetae (art. 1278 cc) il debito contratto sotto legge Italiana (il 95% del ns. debito pubblico) passerebbe semplicemente da Euro a Nuova Lira. Diventando molto più facile da pagare.
      Ovverossia da un debito in valuta controllata dalla BCE (con un Euro che è stato gestito come fosse oro e non la cartaccia che è – grazie Bundesbank! grazie Merkel!) a un debito in valuta controllata dalla Banca d’Italia (ritornando alla gestione di Banca d’Italia come ai tempi di Aldo Moro – che non a caso è stato fatto fuori – la BdI provvede a fissare i tassi ed acquistare eventuale invenduto facendo politica monetaria – ovvero usando come si deve il denaro a corso forzoso).
      Idem i mutui.
      Tutto questo darebbe una gran bella fregatura alle banche europee, che difatti tramite i giornali che possiedono fanno in modo che tutto questo non si sappia.
      I greci invece sono ormai stati fregati per bene perché gli si è obbligati (dopo il salvataggio farlocco) ad emettere il nuovo debito sotto legge Inglese (quindi o pagano Euro, o dovranno fare default – be’ se erano furbi non si lasciavano “salvare”…).

      • Maurizio Cocucci

        L’applicazione della clausola Lex Monetae sarebbe la via per il disastro finanziario. Questo perché vi sarebbe una ondata di vendite da parte dei possessori stranieri che certamente non vogliono perdere sulla quasi certa svalutazione della lira rispetto alla propria valuta. Ma anche i possessori italiani venderebbero per la ragione inversa, ovvero preferendo titoli di Paesi la cui valuta si apprezzerebbe sulla neo lira così da lucrare sul cambio. Naturalmente questo coinvolge in primo luogo gli investitori istituzionali ma poco dopo seguirebbero anche i piccoli risparmiatori. Il calo dei prezzi dei titoli di Stato costerebbe molto alle banche che alla voce “attività” vedrebbero una perdita, dato che a bilancio vengono iscritti al prezzo di mercato. Per questa ragione anche le banche venderebbero i titoli in loro possesso. Per un periodo non breve ben pochi acquisterebbero i titoli, sarebbero soprattutto speculatori quando i prezzi avranno raggiunto a loro avviso il punto minimo. Nessun governo farà quindi un passo del genere, meglio lasciare il debito in euro (se sopravvive) e procedere a trattative per allungare le scadenze grazie alla clausola CAC (Clausola di Azione Collettiva) in vigore dalle emissioni del 2013.
        Ma è solo teoria, di uscire dall’euro sono sempre in meno a crederci ed a chiederlo.

        • Christian Caiumi

          Caro Maurizio… Le tue opinioni sono ben note… Ma non ti dispiacerà se noi ci preoccupiamo un po’ di più del destino dell’economia reale e un po’ meno di quello delle rendite??? Innanzitutto la maggior parte del debito italiano risiede in Italia, e i risparmiatori italiani avrebbero minor necessità di acquistare titoli stranieri, visto che non si prevede un’inflazione poderosa o una svalutazione elevata, in quanto i nostri partner commerciali non potrebbero permetterla, pena distruggere la propria bilancia commerciale…
          Ciò detto, l’Italia con cambio flessibile si presenterebbe immediatamente come un paese con prospettive di crescita, e quindi in grado di garantire rendimenti ai propri titoli, situazione che l’Italia nell’Euro NON AVRA’ MAI. L’Italia sopravvive nell’Euro solo grazie alla svalutazione competitiva di Draghi, altrimenti l’Euro crollerebbe il giorno dopo.
          Il tuo è un conservativismo di retroguardia, pauroso, passatista e incapace di guardare alla realtà di una moneta insostenibile. Per la serie, restiamo aggrappati a ciò che l’Euro ha garantito (solo ad alcuni!), sperando che il disastro avvenga il più tardi possibile…
          Tutto terrorismo, se permetti oggi come oggi, ormai inaccettabile.
          Non si tratta di “credere o meno di uscire dall’Euro”, si tratta di farlo coordinatamente o di DOVERLO FARE PER FORZA, che è molto peggio. Perchè sul fatto che la moneta unica non funzioni ormai non ci piove.

        • Stefano Cocchi

          forse Le sfuggono due cose: la Lex Monetae c’è per un motivo ed il ritorno alla valuta Italiana è uno dei motivi. Secondo, e fondamentale, è che non si tratta solo di ridenominazione della valuta del debito pubblico italiano ma del ritorno alla gestione nazionale della politica economica e valutaria, che contempla il fatto che la Banca Centrale può acquistare titoli del debito pubblico senza limiti se non quelli fissati negli obiettivi di politica economica dal governo italiano. In altre parole si cancella il divorzio tra Stato e Banca Centrale, d’altro canto il QE della BCE fa esattamente questo: si mette in pancia titoli di stato (dati in garanzia dalle banche) in cambio di liquidità, l’unico particolare è che per l’ Italia il QE non consente la flessibilità del cambio e scelte autonome di politica economica e quindi non serve alla nostra economia che invece beneficerebbe enormemente da un ritorno ad una politica economica autonoma con una propria moneta.

      • Luciano Zanfrini

        No. Tutto il debito italiano emesso dal 2013 non può essere convertito in (nuove) Lire, pena default.

  17. Henri Schmit

    La proposta dei no-€ non è una svalutazione spot, tattica, ma di tornare a una politica durevole, strategica di cambio variabile e debole (attraverso l’aumento della massa monetaria per finanziare i deficit) con i principali partner commerciali. La Brexit è un allontanamento dall’€ ma senza politica di cambio debole, più paragonabile alla CH; rischia lo stesso di perdere numerosi investimenti esteri, proprio a causa del rischio FX. Figuriamoci allora le conseguenze di un Italexit ….

    • ma insomma, non ci ricordiamo di cosa è successo all’Irlanda (drogata di investimenti esteri) con la crisi? L’investimento estero non è beneficienza, è un impiego di capitale che desidera un ritorno. Questo ritorno viene estratto che l’economia vada bene o che vada male, con le buone o con le cattive. Come abbiamo visto per l’Irlanda, l’investitore estero in caso di crisi, se ha bisogno di soldi a casa sua, non sta tanto a guardare per il sottile, e drena il capitale a manetta (proprio nel momento in cui il capitale servirebbe al Paese, che è già anche lui in crisi). L’investimento estero è come l’ombrello che la banca presta quando fa sole e poi lo rivuole indietro quando piove.

  18. Roberto Bellinazzi

    Solamente: grazie!

  19. Giorgio Agrini

    Ottimo contributo metodologico, poi chiaramente c’è da dibattere sulla conclusione ma è appunto l’appello a un dibattito sereno e scientifico che va ampiamente apprezzato. Ciò posto, una sola nota storico-filosofica: paragonare un Lutero o un Calvino con la scuola scolastica, fondata da un titano del pensiero razionale come Tommaso d’Aquino, è quantomeno temerario eh… La vittoria locale del protestantesimo ha più a che fare con la cupidigia dei nobilastri locali, impossessatisi dei beni della Chiesa, che con una presunta superiorità intellettuale.

  20. Marco Esposito

    Nel tema euro/non euro e svalutazione/moneta-forte a volte ci si dimentica che il punto centrale non è cosa accadrà all’economia (economisti titolati o meno ne hanno già sbagliate troppe di previsioni) quanto cosa accade alla distribuzione della ricchezza. Di per sé una moneta, quale che sia, non produce valore e neppure lo distrugge. L’euro (o una moneta forte) tutela i risparmi, i redditi fissi e anche le rendite immotivate. Per esempio un baby pensionato da 2500 euro al mese resta un privilegiato anche dopo vent’anni. Una moneta fragile e ballerina favorisce i ceti più dinamici della società e colpisce i più deboli. In qualsiasi società e contesto, l’importante è trovare dei correttivi. Io sono per la moneta forte e, però, per un ripensamento sui “diritti acquisiti” quando socialmente producono una persistente iniquità.

    • Marcello Romagnoli

      L’euro impone tagli ai servizi pubblici quindi a una diminuzione di fatto del potere di acquisto perchè ora bisogna comprare quello che prima era fornito come servizio, pagandolo con le tasse.

      • Luciano Zanfrini

        La sua affermazione è metodologicamente molto errata, ahinoi. Correlation is not causation.

  21. George Dernowski

    Ma perché si deve continuare a dire che l’Italia (o qualsiasi altro paese) farebbe bene ad uscire dall’Euro!!
    Da soli è improponibile, ma insieme con gli altri paesi (PIIG), che non hanno niente in comune dal punto di visto storico, culturale, economico ma soprattutto agroalimentari, con i paese del Nord Europa, e creare una moneta laterale in qualche modo!!
    E’ fantascienza? Non possiamo stare a traino della Germania che ha un’altra agenda!! Saluti.

  22. Stefano Cocchi

    leggendo l’appello su Le MOnde dei 25 premi Nobel mi sembra che non si parli solo di Euro ma di vari argomenti (pace, emigrazione, ecc…) e lo scopo è di prendere le distanze da Marine Le Pen che ha menzionato dei loro articoli per sostenere le sue tesi sul fallimento della UE, insomma non vogliono apparire come sostenitori della Le Pen. Mi sembra che desumere da questo la fine del dibattito sullo stato della UE e dell’ Euro ce ne passa. Pessimo servizio hanno fatto i media a presentarlo in questa veste, in quell’appello non c’è un argomento ma solo enunciazioni senza un briciolo di argomentazione, e non essendo state scolpite nella pietra del Monte Sinai dal Padreterno valgono come opinioni di 25 illustri signori, troppo illustri per lasciarsi associare ai paria destrorsi odiati dai benpensanti.

  23. Giorgio

    Ho apprezzato l’articolo, il tono, lo sforzo esemplare di capire la parte migliore degli argomenti altrui (l’unica che conta). Stavo cercando di capire quali studi ha fatto Perotti (quali corsi ha frequentato al MIT, l’argomento della tesi, il titolo degli insegnamenti che ha tenuto a Columbia) ma in rete non li trovo: potrebbe pubblicare questi dettagli per favore? Aiuterebbe a capire meglio chi è qual è il suo capitale umano SPECIFICO, e a valutare meglio certi argomenti che usa. Grazie mille Roberto se lo fai.

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