Lavoce.info

Irpef: come ritrovare l’equità perduta

Riformare l’Irpef è urgente. Anche per una questione di equità, visto che il sistema ha perso ormai ogni razionalità e di fatto i redditi di lavoro sono gli unici che oggi pagano aliquote progressive. Qual è la perdita di gettito con un’aliquota unica.

Sistema ormai privo di razionalità

Il recente contributo di Massimo Baldini, Silvia Giannini e Alessandro Santoro sottolinea l’urgenza di un intervento su aliquote formali e detrazioni Irpef, volto alla riduzione delle aliquote effettive, marginali e medie, sui redditi medio-bassi. E ciò, come rilevato poi da Francesco Daveri, anche per ragioni contingenti: contrastare il rialzo dell’inflazione, che rischia di penalizzare i consumi dei lavoratori dipendenti.
Si possono però aggiungere ulteriori ragioni a sostegno di un ripensamento dell’attuale assetto dell’imposta sul reddito, centrati sul profilo dell’equità.
Il ridisegno dell’Irpef progressiva si impone anche per esigenze di ribilanciamento di un sistema impositivo che si è molto allontanato dal paradigma teorico complessivo dell’imposta personale sul reddito.
Il comparto è oggi regredito a una congerie di imposte reali sulle singole categorie di reddito, tassate con aliquote proporzionali, accanto a un’imposta speciale progressiva sui redditi di lavoro, secondo un disegno privo di ogni razionalità.
È infatti arduo ravvisare nell’ordinamento italiano i tratti dell’imposizione “duale”, sperimentata nei paesi scandinavi, che prevede un’imposta progressiva sui redditi di lavoro e un’unica aliquota proporzionale sui redditi di capitale, allineata all’imposta sui redditi societari e alla più bassa aliquota applicabile ai redditi di lavoro.
In Italia, invece, la maggior parte dei redditi di capitale è tassata in modo sostitutivo e proporzionale, con aliquote differenziate: proventi finanziari, capital gain, canoni di locazione, plusvalenze immobiliari, pagano aliquote diverse l’una dall’altra, a loro volta disallineate rispetto all’aliquota Ires, quando non vengono del tutto esentati (si pensi alla detassazione delle plusvalenze ultraquinquennali sugli immobili o sull’abitazione principale, o alla recente esenzione per le plusvalenze del risparmio investito nei piani individuali di risparmio – Pir).
Non bastasse, alcuni redditi con preponderante componente lavorativa scontano miti aliquote proporzionali (autonomi minimi) o sono esentati (imprenditori agricoli).
Quanto ai redditi di impresa individuale o società di persone, l’Iri (imposta sul reddito imprenditoriale) consente di tassare gli utili con la stessa aliquota dell’Ires: è vero che si tratta di una tassazione interinale, fino al momento del prelievo, ma sono forti i rischi di un’elusione della progressività, ad esempio mediante un utilizzo degli utili per consumi finali senza formale “prelievo” dai conti dell’impresa.
D’altra parte, i postulati della dual income taxation appaiono oggi molto discutibili: favorire l’investimento in capitale fisico, mediante un aumento del costo-opportunità dell’istruzione ottenuto con aliquote progressive sui soli redditi di lavoro, appare un controsenso in un’epoca in cui le nuove macchine stanno sostituendo i lavori meno qualificati e addirittura si ipotizzano “tasse sui robot”.
Anche se i singoli micro-sistemi sostitutivi hanno una loro ragion d’essere (la concorrenza internazionale su redditi “mobili”, l’incentivo a far emergere quelli facilmente occultabili, e così via), il quadro d’insieme assomiglia a un miscuglio che viola il principio di equità orizzontale e attua una discriminazione qualitativa alla rovescia, in genere penalizzando i redditi di lavoro – dipendente e autonomo – rispetto a quelli fondati sul capitale.

Leggi anche:  È sempre tempo di concordato in Italia

Meglio la flat tax?

In un contesto del genere, la riduzione delle aliquote effettive sui redditi di lavoro si giustifica anche per diminuire la distanza rispetto ai livelli di tassazione operanti per altri redditi di pari – se non superiore – ammontare: la stessa progressività, attuata su un sottoinsieme dei redditi individuali, rischia di mancare l’obiettivo dell’equità verticale, in quanto uguali importi, ancorché elevati, scontano un diverso carico impositivo, solo perché appartenenti a diverse “categorie”.
Ci si potrebbe dunque chiedere se il passaggio a una progressività per deduzione, con aliquota unica applicabile a tutti i redditi ed esenzione universale di quelli minimi, accompagnata da un’imposta negativa per aumentare gli effetti redistributivi, non sia un modello cui guardare senza pregiudizi, pur nella consapevolezza dei vincoli di bilancio. Ad esempio, un’aliquota al 25 per cento, con reddito base a 8mila euro e imposta negativa darebbe un minor gettito di circa 25 miliardi, a parità di base imponibile complessiva (senza incorporare nello scenario alcun recupero di efficienza che pure avrebbe in qualche misura luogo), con accettabili effetti distributivi.
In ogni caso, anche senza considerare l’ipotesi estrema della flat tax, è evidente che una riduzione del peso fiscale sui redditi di lavoro, di fatto gli unici che oggi pagano aliquote progressive, appare davvero un obiettivo imprescindibile cui ogni ipotesi di riforma dell’Irpef dovrebbe tendere.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Si fa presto a dire "global minimum tax"

Precedente

Il Punto

Successivo

L’euro e il principio di autorità

  1. Carlo

    Mi sembra perlomeno singolare che l’articolo IGNORI il problema italiano. n.1, ossia l’evasione fiscale. SOno 110 miliardi di redditi sottratti al fisco ogni anno, e sono anche redditi che rientrerebbero nella fascia minima (colf, badanti, idraulici, giardinieri, insegnanti di sostegno, bar, trattorie, …..basta guardare i dati sui redditi di settore)

  2. Michele

    Nel guazzabuglio generale del fisco mettiamo anche la famigerata pex (participation exemption) che di fatto azzera la tassazione su i capital gain derivanti da cessioni di partecipazioni. Cosa incomprensibile e iniqua rispetto alla tassazione del lavoro e dei capital gain dei piccoli risparmiatori. La pex di fatto spinge l’imprenditore a vendere l’azienda e diventare un rentier. E ancora ci si domanda perché questo paese non cresce più?

  3. Michele

    Ultima chicca di un sistema che ha perso ogni speranza di razionalità: la nuova normativa per la tassazione di favore del carried interest dei fondi di private equity, del tutto in contrasto con la tassazione invece punitiva delle stock options. Perché? Qual è la ratio di una simile disparità? Il clamore mediatico e la capacità di lobby?

  4. Non c’è dubbio che la prestazione lavorativa (in qualunque forma svolta) subisce, oggi, una tassazione iniqua. Negli ultimi anni vi è stata una vera e propria legiferazione schizofrenica, ove si sono introdotte esenzioni, tassazioni forfetarie o proporzionali sulle rendite (fondiarie e di capitale), mentre sul lavoro non si è fatto altro che dibattere di “cuneo” (contributivo e fiscale), senza fare nulla che riequlibrasse seriamente il nostro sistema fiscale. Tutto ciò evidentemente ci ha portato a perdere competitività, oltre che a ridurre le disponibilità dei lavoratori, finanche a non incidere significativamente sulla elevata disoccupazione.

  5. ugo

    Il sistema fiscale italiano è impostato soltanto in teoria sulla progressività in quanto ormai quattro categorie su cinque subiscono prelievi con imposta sostitutiva o con aliquote fisse (redditi di capitale, fabbricati, societari, catastali terreni). in pratica la progressività e il conseguente obbligo della dichiarazione sono appannaggio dei soli redditi di lavoro. Domanda: è ancora opportuno conservare un ipocrita ossequio ad una teorica progressività a costo di rendere sostanzialmente del tutto inefficaci i controlli, in quanto il sistema della dichiarazione costringe l’ufficio ad arrivare all’accertamento dopo 3/4 anni cioè dove ormai le tracce dell’evasione sono completamente disperse? o non sarebbe più saggio ripristinare il sistema fondato su imposte reali e non personali, consentendo di arrivare dopo pochi mesi dalla conclusione dell’esercizio sul “pezzo da controllare”. Non è l’unica riforma: le altre, mutuabili dalle relazioni OCSE dovrebbero essere pedissequamente applicate per integrarci veramente al sistema Europa: allontanare la gdf dai controlli fiscali e unificare sotto l’Agenzia entrare la funzione di tutti i controlli; filtrare adeguatamente le richieste di apertura partite IVA inibendole a chi ha precedenti di frode o a soggetti fittizi; riportare l’amministrazione finanziaria al centro del sistema finanziario con norma antielusiva generale in campo iidd e iva (disconoscere srl fittizie e dirottare i controlli sugli interponenti, ecc.)

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén