La normativa che considera i titoli pubblici un’attività priva di rischio ostacola il completamento dell’Unione bancaria e la creazione di una assicurazione europea sui depositi. Ma l’introduzione di un limite è un obiettivo raggiungibile e auspicabile.
Perché le banche comprano titoli di stato
La forte crescita di titoli pubblici nei bilanci bancari europei, nel corso della recente crisi, ha suscitato grandi preoccupazioni. Numerosi lavori accademici hanno osservato come la tendenza sia più marcata nelle banche pubbliche dei paesi fragili, probabilmente perché sensibili ad azioni di moral suasion da parte delle autorità (qui e qui). Tuttavia a spiegare il fenomeno concorrono anche strategie di carry trade e risk shifting, incentivate dagli alti rendimenti dei titoli pubblici, accompagnati dall’abbondante liquidità fornita dalla banca centrale e dal crescete rischio di insolvenze sui prestiti privati. Sul fronte politico, molti hanno evidenziato il rischio che si formino circoli viziosi (crisi del debito sovrano-crisi delle banche). Altri, invece, hanno sottolineato il carattere stabilizzante di tali comportamenti sui mercati.
In un’Europa dove alcuni paesi non vogliono, forse giustamente, mutualizzare i debiti pubblici, il completamento dell’Unione bancaria, che dovrebbe prevedere un’unica assicurazione europea sui depositi, trova un forte ostacolo nella normativa: i titoli pubblici sono infatti considerati un’attività priva di rischio, che non assorbe capitale, favorendone pertanto l’accumulo.
Due proposte per ridurli
Due proposte sono oggi sul tappeto. La prima prevede che i titoli pubblici, al pari degli altri attivi, vengano ponderati in base ai rating e quindi alle probabilità di default. Ciò significherebbe che il debito di paesi come la Germania, Francia e Olanda continuerebbero a godere di un coefficiente di ponderazione pari allo 0 per cento, l’Italia e la Spagna passerebbero al 50 per cento, mentre i titoli portoghesi si attesterebbe al 100 per cento. Una proposta particolarmente penalizzante per le banche dei paesi deboli dell’Europa, le quali, in base ai dati Eba del 2015, vedrebbero ridotto il loro Tier 1 ratio (patrimonio di qualità primaria) di oltre l’1 per cento.
Tabella 1 – Assorbimenti di capitale con una ponderazione delle esposizioni sovrane in base ai rating
La seconda proposta prevede di applicare ai titoli pubblici un limite di concentrazione proporzionale al capitale versato. Oggi, per gli impieghi privati, il limite sui grandi debitori è pari al 25 per cento del capitale. Tuttavia, nel caso di titoli sovrani, si potrebbero applicare percentuali più alte, quali il 50 o il 100 per cento. Sempre utilizzando i dati Eba del 2015 si osserva come, se il limite di concentrazione fosse pari al 100 per cento del capitale, le banche portoghesi dovrebbero liquidare circa 7 miliardi di titoli pubblici, quelle italiane 63, mentre quelle francesi e tedesche rispettivamente 75 e 114 miliardi. Cifre non enormi se paragonate allo stock di debito pubblico (meno del 4 per cento per l’Italia), specialmente se il raggiungimento dell’obiettivo venisse esteso su più anni. Se poi consideriamo che negli ultimi anni l’esposizione verso il rischio sovrano, nei paesi più deboli dell’Unione, è nettamente diminuita, mentre la dotazione di capitale delle banche è destinata ad aumentare ovunque, il raggiungimento di un vincolo di concentrazione non troppo stringente sarebbe facilmente conseguibile – e forse auspicabile – al fine di tutelare il sistema bancario.
Anche a livello di singola banca italiana, la situazione appare abbastanza gestibile. Infatti, solo il Monte dei Paschi di Siena e, dall’altro alto, la Popolare di Sondrio mostravano un’esposizione al rischio sovrano particolarmente alta in relazione al loro capitale. Per le altre banche, invece, una strategia di rientro graduale dai titoli di stato italiani non appare troppo costosa e forse sarebbe apprezzata dal mercato.
Tabella 2 – Eccesso di esposizione al rischio sovrano dovuto all’imposizione di diversi limiti di concentrazione (dati in milioni di euro)
Tabella 3 – Eccesso di esposizione al rischio sovrano dovuto all’imposizione di un limite di concentrazione (dati in milioni di euro)
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Marcello Romagnoli
Se avessimo una banca centrale vera e non la BCE non ci sarebbe rischio di fallimento per gli stati. Il Giappone ha il doppio del PIL come debito, ma non si parla di fallimento. Gli USA hanno un debito superiore al proprio PIL, il dollaro sta perdendo terreno come moneta di riferimento negli scambi internazionali. Il debito totale (pubblico+privato), ma non si parla di fallimento….perchè? Forse hanno una vera banca centrale???!
Maurizio Cocucci
La BCE è una vera banca centrale, non si comprende perché non lo debba essere. Il default di un governo è dato dalla sua impossibilità di procurarsi denaro sui mercati indipendentemente dal livello raggiunto del debito, sia in termini assoluti che, specialmente, in rapporto al PIL generato. Sia la Federal Reserve che la Bank of Japan non possono acquistare direttamente dai rispettivi governi le obbligazioni che questi emettono, ergo entrambi (come la BCE) possono farlo solamente verso i titoli già collocati, quindi sul cosiddetto mercato secondario. Se Stati Uniti e Giappone non sono al momento a rischio default non ha nulla a che vedere con le prerogative della propria banca centrale che sono poi quelle della BCE con l’aggiunta di una attenzione anche all’andamento dell’occupazione.
Marcello Romagnoli
Mi riferivo a questo
L’art. 104 recita “È vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della BCE o da parte delle Banche centrali degli Stati membri, a istituzioni o organi della Comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della BCE o delle Banche centrali nazionali”.