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Se Ryanair si comprasse Alitalia

I tre commissari Alitalia dovrebbero definire quella strategia industriale che manca da quindici anni. Puntando sul lungo raggio, com’è nell’interesse del paese e scegliendo con attenzione le alleanze. Anche il governo dovrebbe avere un ruolo più attivo.

Strategia cercasi

La non inaspettata esplosione del “caso Alitalia” ha riacceso i riflettori sulla compagnia, come ormai accade ogni due-tre anni. Tra i commentatori è grande il risentimento verso i dipendenti per aver affondato un piano che avrebbe riportato Alitalia al tavolo delle potenze mondiali dell’aviazione civile. Sono invece convinto che se il referendum fosse passato, fra due anni saremmo stati di nuovo daccapo, cosicché il suo fallimento ha avuto almeno il merito di scoprire il bluff del piano.
Ora tocca ai commissari ed è sperabile che arrivi da loro quella strategia che manca da oltre 15 anni. Partendo dall’analisi di come Alitalia si posiziona oggi sul mercato.
L’azienda è in sostanziale ma precario pareggio sui collegamenti di breve raggio, dove è forte la concorrenza low-cost ma dove ancora mantiene qualche storico presidio. Il medio raggio è invece una voragine di perdite, sempre a causa della concorrenza low-cost a cui però si somma quella dei grandi vettori che fanno crescente feederaggio dai tanti aeroporti italiani verso i propri hub. Sul lungo raggio sembra avere qualche ritorno positivo, nonostante i perversi effetti delle sue alleanze e nonostante la scarsa attrattività di un’offerta poco diversificata per destinazioni e per numerosità delle frequenze. Non è una condizione nuova, ma da 15 anni il management ha di fatto ridimensionato il ruolo di Alitalia sul lungo raggio, “appaltandolo” in buona parte ai suoi alleati e ricevendone indietro briciole.
È da queste considerazioni che si deve avviare una riflessione che abbia un senso di prospettiva. Sui collegamenti di lungo raggio le prospettive di mercato esistono e sono ancora buone: lo sono tanto più per i voli diretti dall’Italia, se si considera che, in rapporto agli abitanti, il nostro paese è penultimo un Europa, seguito dalla sola Grecia. Aggiungo che l’interesse del paese – degli utenti leisure ma soprattutto del mondo degli affari, che è quello che rende – è di avere collegamenti diretti di lungo raggio e non collegamenti che passano da hub di paesi concorrenti con noi sul mercato internazionale di beni e servizi, con il rischio che si propizino per i nostri acquirenti incontri d’affari durante i transiti, per poi (magari) proseguire per l’Italia a trattare sui prezzi.
L’identikit del partner ideale ne disegna evidentemente uno forte, ben attrezzato finanziariamente e nella gestione, interessato a sviluppare il lungo raggio dall’Italia integrandosi con Alitalia e perciò senza competere con essa. Dunque, sgombriamo subito il terreno da Lufthansa (la soluzione più spesso richiamata oggi), che avrebbe solo interesse a trasferire altro traffico verso Francoforte, Monaco o Vienna. Lo stesso vale per Air France-Klm che questa inclinazione l’hanno già messa in atto come “alleati”.

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Alleanze low-cost

Se così è, non ci vuole molta fantasia per arrivare alle maggiori compagnie low-cost: offrendo loro di subentrare nel feederaggio, soprattutto sul medio raggio, il che permetterebbe ad Alitalia di uscire da un mercato che le pesa come un macigno e con il ricavato della vendita di aerei e slot investire in un paio di dozzine di aerei di lungo raggio. Il mondo degli affari, però, è popolato da pochi scrupoli e l’esperienza mostra che in questo le compagnie low-cost non sono seconde a nessuno. Affinché siano davvero motivate a impegnarsi e a mantenere gli impegni, anche finanziari, è essenziale che diventino in forze azionisti, anche (perché no?) di riferimento, ed eventualmente co-azionisti dello stato italiano, del cui reingresso non mi scandalizzerei se fosse in un’ottica (per una volta) industriale: magari riuscirebbe anche a salvare qualcosa dell’ultimo prestito ponte e a risparmiare un po’ sugli ammortizzatori sociali.
Dunque, in prima battuta, Easy Jet o Ryanair, ammesso che la situazione permetta di scegliere. Rispetto a Ryanair, Easy Jet ha un modello di business meno dissimile da Alitalia, è più presente sugli aeroporti maggiori, utilizza aerei più omogenei con i suoi, segue relazioni industriali meno aggressive e dunque farebbe intravvedere minori resistenze sindacali; i suoi limiti sono una redditività più bassa e in questo momento non brillanti andamenti di borsa. Dal canto suo, Ryanair ha già dichiarato un certo interesse per Alitalia, è più dinamica ed è alla ricerca di nuovi mercati oltre il tradizionale point-to-point (già si sta attrezzando sull’hubbing), ma non è interessata a mettersi in proprio sul lungo raggio; infine, la sua stessa presenza su città italiane “non hub”, ma dalle quali è maggiore (e in rapida crescita) l’esodo verso hub europei, consentirebbe meglio di valutare la convenienza di attivare voli di lungo raggio anche da lì.
Mi auguro che i commissari qualche pensierino al riguardo lo stiano facendo. Certo, fra gli ostacoli da superare vi sarebbe anche quello frapposto da Skyteam, perché uscire dall’alleanza costerebbe ad Alitalia una penale “mostruosa”; è però un problema che si dovrebbe affrontare con qualunque soluzione diversa dal fallimento, salvo ci si incammini verso Air France, strada che ha già dato frutti avvelenati. E poi è materia che potrebbe entrare all’interno di una trattativa fra stati. Sarebbe il caso che il governo italiano battesse un colpo e non si limitasse a fustigare le parti interessate, a osservare impotente il disastro che si preannuncia nell’indotto, a erogare un prestito ponte a perdere, pomposamente dichiarato “a condizioni di mercato”.

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14 commenti

  1. andrea goldstein

    Irrealistico temo pensare che le low-cost vogliano modificare un business model consolidato che li impegna soltanto a trasportare pax, con minimi carichi di valigie in stiva, senza preoccuparsi delle coincidenze di pax e di annessi bagagli; il rischio è troppo grande di passare troppo tempo a terra e nn risucire più ad ottimizzare l’utilizzo degli aeromobili

  2. Daniele Nepoti

    I modelli industriali full service e low cost sono molto differenti. L’alimentazione del lungo raggio dei full service richiede tempi di sosta in aeroporto degli aerei di corto-medio raggio che le low cost non possono permettersi. Ma soprattutto, il lungo raggio dall’Italia ha senso se collocato a Nord (ragionevolmente a Milano che è il bacino di gran lunga più ampio), altrimenti la maggior parte dei passeggeri ivi collocati avranno convenienza a fare scalo in un hub europeo e non a Fiumicino perché i voli per i due principali mercati di lungo raggio (Nord America e area Asia Pacifico) seguono rotte geodetiche che passano da nord e fare scalo a Fiumicino significherebbe allungare il viaggio di due ore. Non è un caso se tanto KLM (quando in Alialia c’era Cempella) che Alitalia in versione “stand alone” (con Maurizio Prato), quanto Lufthansa dopo il de-hubbing Alitalia 2008 volevano l’hub a Malpensa. Solo che, per le dimensioni di mercato di Milano (che non è Londra, né Parigi), un hub a Malpensa non poteva funzionare senza limitare fortemente l’attività su Linate, almeno temporaneamente come a Parigi o Stoccolma. Non lo si è voluto fare e l’esito non poteva essere che la ritirata di Alitalia a Fiumicino (autocondannandosi al fallimento), la fuga degli olandesi come dei tedeschi, poi dei francesi e infine persino degli emiratini. Sic rebus stantibus, l’accessibilità intercontinentale dell’Italia è per lo più appaltata a hub e compagine europee, c’è poco da fare.

    • bob

      ..si vada a leggere i numeri riguardo Fiumicino e Malpensa altrimenti si contraddice in termini ritenendo che proprio questo becero campanilismo abbia creato danni non solo all’Alitalia ma anche al Paese

      • Daniele Nepoti

        Non c’entra nulla il campanilismo, c’entra il mercato e, segnatamente, la collocazione della domanda di trasporto aereo, in particolare per collegamenti diretti di lungo raggio. Il confronto non va fatto tra Fiumicino e Malpensa ma tra i due sistemi aeroportuali (FCO+CIA e MXP+BGY+LIN) , al netto dei transiti, computando anche le merci ed espresso prima di tutto in termini di valore e non di volume. Qualcosa di un po’ più complicato che “leggere i numeri” sul sito di Assaeroporti. Alcuni anni fa un dossier riservato Alitalia finì sulle pagina de La Stampa e i numeri che la stessa compagnia dava rispetto la consistenza del mercato in Italia in valore per ripartizione geografica e per principali catchment area erano questi: Nord 62% (area di area di Milano da sola 34%), Centro 25% (Roma da sola 18%), Sud e Isole 13%. Non c’è ragione di pensare che queste proporzioni siano molto cambiate, dal momento che la domanda di trasporto aereo è funzione principalmente delle dimensioni demografiche di un territorio, della sua ricchezza e del livello di internazionalizzazione del suo sistema economico (import/export, IDE, ecc.) e sociale. A questo si aggiunga (ed è cruciale) la geografia, come ho accennato prima: in mancanza di un volo diretto, nessun passeggero del Nord Italia diretto verso i principali mercati di lungo raggio (Nord America, Estremo Oriente) farà mai scalo a Roma, non per campanilismo, ma perché significa impiegarci due ore in più rispetto a fare scalo in un hub europeo.

    • bob

      …il campalinismo Milano /Roma è stato il colpo di grazia. “un hub a Malpensa non poteva funzionare senza “….infatti a Roma forse si. Si veda i numeri

  3. Michele

    1) il ruolo dei commissari non è ridisegnare la strategia, ma trovare uno o più acquirenti per l’azienda o i singoli assets. Altrimenti ci vorrebbero anni e molti più capitali 2) mitica l’idea di far fare solo voli diretti in Italia agli acquirenti di prodotti italiani perché altrimenti incontrano concorrenti negli hub nemici… Perché non ci abbiamo pensato prima?

  4. Marco

    La soluzione migliore per la collettività è senza dubbio l’asta dei singoli asset (maestranze comprese per comparti, se ad asta deserta: a casa) per cercare di ristorare il più possibile i creditori. Quanto prima vi si arriva tanto minore il danno, dato che ogni ulteriore giorno di attività provvisoria erode ulteriormente il capitale residuo. Come nel frattempo si gestisce la continuità aziendale può essere interessante in linea teorica per consumare il meno possibile il prestito prededucibile dello Stato ma dovrebbe rimanere secondario rispetto a quanto la legge impone ai commissari prima di tutto il resto: ristorare quanto più i creditori. Credo che legalmente l’unica via consentita sia di iniziare le aste il prima possibile, verosimilmente avrebbero potuto già iniziare ad oggi per i beni di più semplice stima, ma siamo in Italia purtroppo (per i contribuenti che non fondano i loro guadagni su rapporti attivi con le finanze pubbliche, i fornitori il loro bel mark-up sapendo di operare con un cliente de facto insolvibile da tempo già se l’erano fatto riconoscere).

  5. Savino

    Se i lavoratori choosy di Alitalia da domani si andassero a cercare un lavoro, come tutti gli altri disoccupati da aziende dismesse……

  6. Umberto

    La compagnia aerea più sexy del pianeta è morta.
    Solo iene e avvoltoi ne potranno approfittare.

  7. Pier Doloni Franzusi

    No, no, no.
    Basta Governo, basta strategie, basta parlare di interesse nazionale.
    Chiudetela.

  8. Michele

    1) sulla base della legge il compito dei commissari non è ridisegnare le strategie, ma vendere la società intera o a pezzi 2) originale l’idea di avere collegamenti diretti con l’Italia per evitare che l’utenza d’affari estera faccia incotri d’affari durante i transiti per poi venire in italia a trattare i prezzi…più agguerrita si immagina…

  9. Alessandro Pagliara

    Vi prego…siamo già passati da AirOne…..Basta!

  10. M

    Ho apprezzato le osservazioni di Sebastiani. Personalmente, però, sono contrario all’investimento di altri soldi pubblici in questo pozzo senza fondo.
    Sarebbe una buona cosa se Alitalia riuscisse a cogliere l’opportunità di allearsi con una delle compagnie low cost suggerite nell’articolo e credo che l’iniziativa, portata avanti con spirito imprenditoriale e non assistenziale, porterebbe buoni frutti di cui si potrebbe giovare anche il nostro Paese.
    Affinché si possa sperare in una possibilità di successo, però, è indispensabile che lo Stato italiano si tenga in disparte e che i sindacati vengano messi in condizione di non nuocere, sebbene con l’ultimo referendum abbiano contribuito, finalmente, a fare qualcosa di utile per sbloccare la situazione.

  11. cosimo basilico

    Ma e’ proprio necessario avere una compagnia aerea di bandiera in un mercato ormai globalizzato il cui servizio viene efficacemente offerto da altri vettori?

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