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Alitalia: fuori rotta da vent’anni

Il fallimento di Alitalia arriva da lontano. Veti vari hanno impedito che funzionasse l’alleanza con Klm, specializzata sui voli internazionali. E dopo i soci privati hanno scelto di concentrarsi sul mercato domestico invece che sul lungo raggio.

L’errore fondamentale

Alitalia è da almeno un ventennio un vettore fuori rotta. Il suo guaio è stato rimanere sulla stessa rotta dei tempi del monopolio quando invece occorreva modificarla radicalmente, dopo la liberalizzazione europea del mercato, l’arrivo dei vettori low-cost e del treno ad alta velocità.

La concorrenza ha rivoluzionato il mercato aereo nei collegamenti di breve e medio raggio, generando turbolenze economiche che hanno indotto tutti gli altri vettori tradizionali a modificare profondamente la loro offerta. La mission di Alitalia è invece rimasta la stessa, volare dove volano gli italiani: poco sul lungo raggio, affidato in passato per il turismo outgoing principalmente ai vettori charter, abbastanza verso l’Europa e molto sulle rotte nazionali, in alternativa alla scomoda ferrovia. Tuttavia, ai tempi del monopolio poteva permettersi l’areo solo chi viaggiava per affari e chi, muovendosi per turismo o ragioni personali, aveva un’elevata capacità di spesa. A quei tempi, il trasporto low-cost era il treno e l’alta velocità era l’aereo, due modalità affidate a due grandi monopoli pubblici. La perfetta divisione dei compiti tra Fs e Alitalia è stata scompaginata dapprima dalla liberalizzazione aerea e in seguito dall’arrivo dell’alta velocità ferroviaria sulla dorsale italiana e poi anche della concorrenza sulla medesima. Ormai, per gran parte del territorio italiano, l’alta velocità è possibile a prezzi low-cost su entrambe le modalità e da anni si può viaggiare ad alta velocità a prezzi accessibili senza dover scegliere per forza Alitalia. La sua rotta storica è da molto tempo fuori mercato.

Cosa avrebbe dovuto fare la compagnia? Modificare il suo mix di offerta, riducendo i segmenti di breve raggio – messi in discussione dal treno e dai vettori low-cost -, cercando invece di resistere su quelli non interessati dal treno attraverso politiche low-cost e low-fare e ampliando l’offerta sul lungo raggio, non interessato da nessuna rivoluzione. Tutto ciò andava fatto almeno a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, ma l’Alitalia non ha neppure provato e non vi sarebbe riuscita da sola per i vincoli sindacali e politici alla gestione pubblica e per la scarsità di risorse finanziarie per gli investimenti sul lungo raggio.

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La quadratura del cerchio era la privatizzazione e integrazione internazionale con un gruppo già forte nel lungo raggio e assente nel domestico: era il progetto con Klm sostenuto da Domenico Cempella e affossato da veti politici e sindacali.
Dopo aver mancato altre due occasioni di integrazione internazionale con la meno interessante Air France, nel 2008 un’Alitalia in profonda crisi è stata finalmente privatizzata. Almeno i soci privati avrebbero dovuto fare ciò che era ovvio: disimpegnarsi dal sovradimensionato segmento domestico nella direzione del lungo raggio. Attraverso il piano Fenice hanno invece fatto esattamente l’opposto: si sono barricati nel mercato domestico, blindandolo attraverso l’integrazione del principale concorrente interno AirOne e neutralizzando con regole apposite i poteri dell’antitrust. Nel lungo raggio hanno invece tagliato rotte e flotta, che è scesa nel 2009 da 27 a soli 18 aerei e a meno di 5mila posti totali a bordo. A metà anni Novanta gli aerei a lungo raggio erano 35 e i posti a bordo 10mila, il doppio. Bisogna risalire al lontano 1985 per avere un numero così limitato di aerei a lungo raggio, ma anche allora i posti a bordo erano di più, circa 6mila. Eppure dal 1985 a oggi i passeggeri complessivi sulle rotte intercontinentali si sono quasi quintuplicati. La contrazione di Alitalia nel mercato in forte crescita dei voli internazionali, sia a lungo raggio che europei, è ben visibile nel grafico 1.

Grafico 1 – Passeggeri trasportati sui voli internazionali (milioni)

Fonte: elaborazioni università Bicocca su dati Enac.

Concorrenza sul mercato interno

Il calo dal lato della domanda riflette una drastica riduzione dal lato dell’offerta: alla metà del decennio scorso la vecchia Alitalia pubblica realizzava ogni anno oltre 130mila voli internazionali di medio raggio e 18mila di lungo raggio. Con la nuova Alitalia Cai si sono ridotti rispettivamente a meno di 70mila e di 10mila. Dal 2009 la domanda complessiva di linea sul segmento internazionale è invece aumentata di 31 milioni di passeggeri, dei quali 21 milioni sono stati trasportati sui cieli europei da vettori low-cost e altri 8, principalmente sull’intercontinentale, da vettori di tipo tradizionale diversi da Alitalia. In un mercato in forte crescita, il vettore nazionale ha visto la sua quota ridursi: da oltre il 20 per cento della gestione pubblica dei primi anni Duemila a sotto il 10 per cento nel 2016.

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Dinamiche del tutto differenti hanno invece riguardato il segmento domestico, sul quale il piano Fenice ha scelto di concentrare l’Alitalia privata. È stata conservata un’elevata quota di mercato, pari al 42 per cento nel 2016, tuttavia il segmento è stagnante per numero di passeggeri (30 milioni nel 2016 contro i 32 nel 2011, vedi grafico 2) e declinante in valore per effetto della crescente concorrenza (treno e compagnie low-cost) che ha drasticamente ridotto i proventi medi per viaggiatore (-40 per cento per Alitalia dal 2009 al 2015).

Grafico 2 – Passeggeri trasportati sui voli nazionali (milioni)

Fonte: elaborazioni università Bicocca su dati Enac.

In sostanza, la nuova Alitalia privata del 2009 ha sbagliato completamente rotta, puntando sul segmento più sfavorevole, e quella a gestione Etihad non la ha modificata. Chi la correggerà? I commissari straordinari, un acquirente straniero oppure i vettori che subentreranno a un’Alitalia messa a terra? Se sommiamo i due segmenti del domestico e dell’internazionale possiamo vedere come la compagnia rivesta ormai un’importanza marginale nel mercato italiano e come potrebbe essere facilmente sostituita, seppure non nella stagione estiva 2017, da altri operatori. La messa a terra di Alitalia avrebbe conseguenze gravi sul lavoro e anche sulle casse pubbliche, ma non sui collegamenti aerei.

Grafico 3 – Il mercato italiano del trasporto aereo (milioni di passeggeri trasportati)

Fonte: elaborazioni università Bicocca su dati Enac, Istat, Alitalia e Aea.

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  1. Piero Caracciolo

    Lessi, nel libro “Alitalia. Una privatizzazione italiana”, di Roberto De Blasi e Claudio Gnesutta, pubblicato da Donzelli (2009) che fu D’Alema ad opporsi alla conclusione dell’accordo con KLM, cosa che costò anche una lunga causa con la compagnia olandese, e segnò l’inizio della vera decadenza di Alitalia, che non si inserì, appunto, in un gruppo internazionale. Perché questo episodio non viene mai ricordato quando si parla di Alitalia?

  2. Lorenzo

    Sarebbe interessante fare qualche nome e cognome.
    Chi volle Malpensa (non è che duplicando gli hub si moltiplicano i clienti per la padania)?
    Chi affossò la vendita a Air France (il maestro del liberalismo all’italiana bravo con i soldi dello Stato a salvaguardarsi le sue aziende)?
    Prepariamoci come sempre ad arrenderci ai sindacati tanto paga sempre Pantalone.

  3. Umberto

    Tutti hanno straguadagnato con Alitalia negli ultim i 20 anni : dipendenti, soci, consulenti.
    Solo gli italiani ci hanno rimesso tonnellate di quattrini.

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