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Lavoro: ricambio generazionale messo in moto dall’Ape

L’anticipo pensionistico potrebbe essere un valido strumento per favorire il ricambio generazionale della forza lavoro del nostro paese. Bisogna però convincere i possibili beneficiari a usufruire dell’Ape. Intanto, però, manca il decreto attuativo.

Perché nasce l’Ape

In principio (1992) fu la riforma delle pensioni Amato, poi c’è stata una lunga serie di altri accorgimenti più o meno restrittivi, conclusasi con la riforma Fornero del dicembre 2011. Durante questi venti anni si è tentato spesso di migliorare la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico italiano, limitando la “generosità” delle prestazioni previdenziali e aumentando periodicamente l’età necessaria per ritirarsi dalla fase attiva.

Si può discutere della loro maggiore o minore capacità di ridurre il peso della spesa pensionistica nel Pil nazionale, considerate anche le avverse dinamiche demografiche ed economiche, ma un aspetto è fuor di dubbio: le politiche restrittive hanno avuto tutte le stesse “vittime”, ossia i lavoratori. Pertanto, nella legge di bilancio per il 2017 si è deciso di venire incontro a coloro ai quali è stato impedito di ritirarsi dal lavoro a causa dell’innalzamento dell’età pensionabile. In particolare, il parlamento ha introdotto l’anticipo finanziario a garanzia pensionistica o, più semplicemente, l’Ape volontaria, che andrà ad affiancarsi alla cosiddetta pensione anticipata, già prevista dalla riforma Fornero.

In attesa del necessario decreto e del regolamento attuativo, l’Ape volontaria non è stata attivata il 1° maggio 2017, come originariamente pattuito, nonostante la fine della sperimentazione sia comunque prevista per il 31 dicembre 2018. La misura ha come principale obiettivo quello di rendere l’età pensionabile più flessibile, permettendo di anticipare la pensione tramite prestito bancario a tutti i lavoratori (dipendenti pubblici e privati, autonomi e iscritti alla gestione separata) con almeno 63 anni di età, 20 anni di contributi e a non più di 3 anni e 7 mesi dalla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia. Ai requisiti di accesso si aggiungono altre due condizioni: non essere titolari di pensione diretta o di assegno ordinario di invalidità; avere un importo della futura pensione mensile, al netto della rata di ammortamento per il rimborso del prestito richiesto, pari o superiore a 1,4 volte il trattamento minimo dell’assicurazione generale obbligatoria (Ago).

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Chi sono i beneficiari

Una simulazione sui micro-dati IT-Silc (componente italiana dell’indagine European Statistics on Income and Living Condition) per l’anno 2015 mostra che l’Ape volontaria, nel corso dei due anni di simulazione previsti, ha una platea potenziale di circa 900mila individui, appartenenti a poco più di 600mila famiglie. Rappresentano circa il 23 per cento dei soggetti inclusi nella classe d’età cui la politica si rivolge. I destinatari tipo si concentrano prevalentemente nelle coorti 1952-1955, in famiglie senza figli a carico, sono per la maggior parte uomini (61 per cento) e residenti nel Nord Italia (46 per cento). La platea di beneficiari dell’Ape volontaria ha in media un reddito annuale da lavoro superiore a 27mila euro e vive in nuclei familiari con un reddito disponibile totale pari a 48mila euro circa.

Confrontando questi valori con quelli rilevati mediamente tra individui della stessa età, i potenziali destinatari risultano essere più benestanti, con un’incidenza della povertà relativa del 2,1 per cento, contro il 15,4 per cento del totale della coorte. Ciò non stupisce, dato l’importo minimo richiesto all’assegno pensionistico al netto della rata del prestito bancario. Al contempo, per permettere l’anticipo pensionistico alle famiglie meno abbienti è stata introdotta anche l’Ape sociale, la quale però, a differenza di quella volontaria, reca con sé la problematica di gravare molto di più per le finanze pubbliche.

Benché al momento l’Ape volontaria sia soltanto un progetto sperimentale, non devono essere sottovalutati il suo “costo (quasi) zero” per lo stato e i suoi prevedibili effetti sull’abbassamento dell’età di uscita dal mercato del lavoro. Quest’ultimo, in particolare, favorirebbe la creazione di maggiori opportunità di entrata per i più giovani, rendendo l’Ape un valido strumento per incentivare quell’auspicato ricambio generazionale della forza lavoro che, nel nostro paese, non riesce ancora a concretizzarsi. Chiaramente se, e solo se, si sarà in grado di incrementare e promuovere con efficacia l’anticipo pensionistico, ovvero se una parte significativa dei possibili beneficiari deciderà di fare domanda.

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Figura 1

Tabella 1

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  1. Pellegrini Massimo

    L’articolo, seppur interessante, non prende in considerazione il risvolto economico della soluzione.
    Sarebbe di interesse un approfondimento in tal senso, dato che, nonostante la potenziale platea, ritengo che ben pochi, a queste condizioni, saranno interessati ad usufruirne.

  2. Massimo

    Più che altro, bisogna convincere i possibili beneficiari ad accettare penalizzazioni economiche dell’ordine del 20% sull’assegno pensionistico, in caso di di Ape volontaria. Non mi sembra così scontato.

  3. Lo strumento proposto con le finalità indicate è claudicante, scarica sui beneficiari tutto il peso, non riequilibri, neppure con qualche beneficio fiscale, la scelta.
    Si scarica sui singoli lavoratori le esigenze delle imprese che premono per un ricambio e lo stato sta a guardare.
    E’ necessario un cd combinato disposto che intervenga su diversi fronti per favorire questa scelta, Così non è !

  4. Grazia

    E’ troppo costosa, visto che si parla delle fascie medio alte, è meno oneroso licenziarsi dopo aver maturato l’anzianità contributiva e nel periodo di attesa della durata della finestra, chiedere un prestito in banca con interessi sicuramente più bassi di quelli che propone l’Inps.

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