Il fact-checking de lavoce.info passa al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca alle affermazioni di Maria Elena Boschi sul rapporto dell’Istat sulla disuguaglianza.
Secondo Istat lo stato diminuisce le disuguaglianze
Post e tweet euforici degli esponenti Pd (e non solo) hanno tempestato i social mercoledì 21 giugno, giorno in cui l’Istat ha pubblicato una simulazione sulla redistribuzione del reddito in Italia. Nel documento, l’istituto di via Balbo stima quanto l’intervento pubblico, ossia la somma dei trasferimenti e dei prelievi fiscali, abbia influenzato nel 2016 la distribuzione del reddito e i livelli di disuguaglianza.
La metodologia usata nella simulazione è la seguente: si prende in considerazione il sistema economico prima dell’intervento dello stato e se ne stima la disuguaglianza. Poi, la si confronta con quella che è osservabile a seguito dell’intervento pubblico, per comprendere se l’azione compiuta dallo stato abbia diminuito, aumentato o lasciato invariato il grado di disuguaglianza presente nel sistema.
I risultati dello studio ci dicono che l’azione dello stato ha effetti rilevanti in termini di una più equa distribuzione del reddito. Solo nel 2016 l’indice di Gini – la misura più utilizzata per calcolare le disuguaglianze, che varia da 0, eguaglianza, a 100, massima concentrazione dei redditi – è diminuito di 15,1 punti (da 45,2 a 30,1) a seguito dell’intervento pubblico.
Oltre a sottolineare nel dettaglio quali siano le categorie di reddito e di età più avvantaggiate dall’azione dello stato, il rapporto prende in considerazione anche gli effetti di tre misure adottate nel triennio 2014-2016: il bonus di 80 euro, l’aumento della quattordicesima per i pensionati e l’implementazione parziale del sostegno di inclusione attiva (Sia, una misura sperimentale contro la povertà ora sostituita dal reddito di inclusione). Anche in questo caso sembrerebbe che tutte e tre le misure abbiano svolto un ruolo importante nella lotta contro le disuguaglianze e la povertà. Così infatti recita il documento diffuso dall’Istat:
“Le principali politiche redistributive del periodo 2014-2016 (bonus di 80 euro, aumento della quattordicesima per i pensionati e sostegno di inclusione attiva), hanno aumentato l’equità della distribuzione dei redditi disponibili nel 2016 (l’indice di Gini è passato dal 30,4 al 30,1) e ridotto il rischio di povertà (dal 19,2 al 18,4%)”
Cosa ha detto la Boschi
Questa notizia, come facilmente prevedibile, ha suscitato la reazione entusiasta di numerosi esponenti della maggioranza che sostenne tali provvedimenti e, in particolare, del Partito Democratico. Per esempio, ecco cosa ha pubblicato sul suo profilo facebook il Sottosegretario di Palazzo Chigi Maria Elena Boschi:
Tuttavia, nel post ci sono tre punti su cui è utile fare qualche precisazione.
Per prima cosa la Boschi dichiara che l’Istat avrebbe pubblicato dei dati. Come sappiamo, in realtà, lo studio in questione non si basa su un’analisi empirica, vale a dire su una valutazione di dati osservati nella realtà, quanto piuttosto su una microsimulazione teorica.
Non che questo sia un punto debole per il report dell’Istat, le microsimulazioni sono anzi utilizzate in tutta Europa per valutare l’efficacia delle policy. Al contrario di un’analisi empirica infatti, dove ogni elemento è il risultato dell’azione di molti fattori, le microsimulazioni riescono a isolare gli effetti dei singoli provvedimenti, controllando così l’azione esercitata dalle altre variabili. È molto difficile ottenere questo risultato quando ci si approccia a dei dati reali ed è per questo che i modelli teorici possono essere molto utili anche nel dibattito politico. Tuttavia, è importante sottolineare la differenza tra delle simulazioni teoriche e delle analisi di contabilità nazionale. Ed è lo stesso Roberto Monducci, direttore del dipartimento per la produzione statistica dell’Istat, che in un’intervista al Fatto smorza l’eccessivo entusiasmo che alcuni esponenti Pd avevano mostrato a seguito del report:
“Si tratta di esercizi, di un modello zeppo di ipotesi che stiamo sfruttando anche a fini informativi. Ma non è contabilità nazionale, non è una statistica. Lo riteniamo interessante anche per restituire un quadro informativo, anche in alcuni altri Paesi come la Francia lo fanno… però va preso per quello che è”.
Come a dire: è vero che parliamo di modelli molto affidabili e largamente usati in tutta Europa, ma va comunque ricordato che restano modelli, ossia strumenti che replicano la realtà senza una pretesa di completezza. Le informazioni che ne possiamo trarre sono quindi utili, ma necessitano di una contestualizzazione approfondita per non incappare in conclusioni politiche troppo affrettate.
Il secondo elemento su cui la Boschi commette alcune imprecisioni riguarda la scomposizione degli effetti redistributivi delle tre misure adottate. Lo studio infatti non specifica quanto i provvedimenti abbiano influito singolarmente sulla diminuzione dell’indice di Gini e del rischio di povertà. E anche il post della Boschi si riferisce alle tre misure come se fossero una sola, alimentando non poca confusione sull’efficacia individuale dei provvedimenti. Confusione a cui mette ordine lo stesso Monducci, il quale arricchendo le informazioni fornite dallo studio rivela sempre al Fatto:
“Il bonus degli 80 euro “ha ridotto la disuguaglianza dal 30,4% al 30,2% e il rischio di povertà dal 19,2% al 18,5%”. Invece, aggiunge, “la quattordicesima ai pensionati riduce lievemente solo il rischio di povertà (dal 19,2% al 19,1%) e il Sia, entrato in vigore solo nella seconda metà del 2016, al momento non sembra aver prodotto effetti significativi”.
(Ansa)
Va ricordato che il Sia non nasce con l’obiettivo di diminuire l’indice di Gini o la diffusione della povertà, relativa o assoluta che sia, quanto con quello di limitare l’intensità della povertà assoluta (obiettivo su cui sembrerebbe aver raggiunto risultati considerevoli). Proprio per questo motivo, la diminuzione dello 0,3 dell’indice di Gini è imputabile principalmente al solo bonus degli 80 euro, e non all’insieme delle tre misure, come trapelerebbe invece dal post della Boschi. A sua discolpa, bisogna comunque far notare che le dichiarazioni di Monducci sono state rilasciate dopo la pubblicazione del post del Sottosegretario, che comunque non ha rilasciato alcuna dichiarazione per precisare o rettificare il contenuto del suo post.
Una valutazione troppo affrettata
Un terzo punto che merita di essere analizzato è quando la Boschi scrive che il report di Istat certifica il successo delle tre misure. Nel dettaglio, il post recita:
“Oggi però #Istat pubblica dei dati che ci dicono che le principali politiche redistributive del periodo 2014-2016 hanno funzionato”.
In questa breve frase, Maria Elena Boschi considera positive le tre politiche attuate nel triennio 2014-2016 nella misura in cui queste abbiano diminuito la disuguaglianza del sistema. Il Sottosegretario cioè utilizza il solo parametro dell’efficacia redistributiva per valutare la bontà delle policy: in altri termini, maggiore è l’azione perequativa e migliore sarà per la Boschi la valutazione.
Tuttavia le sue dichiarazioni suscitano un altro interrogativo: se le tre politiche vengono interpretate in chiave redistributiva, e vengono valutate positivamente perché hanno reso più eguale la nostra economia, è lecito chiedersi se a costi invariati si sarebbe potuto raggiungere un risultato migliore. Possiamo cioè chiederci se con le risorse utilizzate per i tre provvedimenti si sarebbe potuto attuare una policy alternativa che avrebbe generato risultati più soddisfacenti.
Prenderemo come controesempio il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle. Ovviamente sono misure diverse, nate con obiettivi differenti: il bonus degli 80 euro vuole infatti aiutare le famiglie con redditi medio-bassi, mentre la proposta pentastellata le famiglie più povere. Tuttavia noi qui adotteremo esclusivamente il metro utilizzato dalla Boschi nel suo post, senza svolgere analisi su parametri aggiuntivi: valuteremo migliore la proposta che riduce maggiormente la disuguaglianza.
Il costo complessivo degli 80 euro, dell’aumento della quattordicesima e del Sia ammonta a 10,72 miliardi di euro e ha ridotto l’indice di Gini di 0,3. La proposta pentastellata, già al centro di un nostro fact-checking, prevede l’erogazione di un sussidio che colmi il divario tra il reddito percepito e il livello di povertà. L’Istat ha stimato che nel 2015 questa misura sarebbe costata 14,9 miliardi e avrebbe ridotto l’indice di Gini di 1,8.
A fronte quindi di un 39 per cento di costi in più si sarebbe ridotto l’indice Gini per un valore pari a 6 volte la variazione prodotta dai tre provvedimenti, con una differenza quindi del +500%.
Sebbene queste stime si riferiscano a due anni diversi (i costi e gli effetti delle tre misure sono relativi al 2016, mentre le stime sul reddito di cittadinanza riguardano il 2015), emerge una chiara differenza tra i risultati.
Il Reddito di Cittadinanza riuscirebbe con una cifra vicina a quei 10,72 miliardi utilizzati per i tre provvedimenti a diminuire la disuguaglianza in maniera significativamente più rilevante.
È ovvio che tale comparazione non ha l’ambizione di trarre conclusioni definitive su quale provvedimento sia il migliore. Tuttavia se adottiamo esclusivamente il metro valutativo utilizzato dalla Boschi, i risultati sono abbastanza evidenti.
Nonostante gli effetti positivi evidenziati, sembra dunque che l’entusiasmo suscitato dal documento dell’Istat sia stato probabilmente eccessivo.
Tornando alla dichiarazione di Maria Elena Boschi, il giudizio non può essere però eccessivamente negativo. Il Sottosegretario del Governo sbaglia nel chiamare dati ciò che non lo è, e nel considerare come una sola cosa i tre provvedimenti. La dichiarazione di Maria Elena Boschi è quindi QUASI VERA. L’errore di valutazione politica, che quindi esula dal fact-checking, è semmai quello di misurare l’efficacia di una policy esclusivamente sul parametro dell’efficacia redistributiva, che, come abbiamo dimostrato, si presta a paragoni che non dovrebbero lasciare del tutto soddisfatti gli esponenti Pd.
Ecco come facciamo il fact-checking
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Emilio Roncoroni
Ottimo lavoro, molto corretto l’approccio della rendicontazione che tuttavia richiede una buona dose di tecnicismo. Una piccola osservazione al vostro ottimo articolo: affermare che 14,9 md € sia una cifra quasi vicina a 10,7 md € mi pare un po eccessivo. Auguri e continuate a “contare”
Henri Schmit
Ottima analisi che termina purtroppo con conclusioni troppo gattopardate. La differenza teorica netta fra dati e modelli, è poco rilevante. Qua si tratta di distinguere fra misure fiscali razionali, strutturali, che possano durare nel tempo, a favore delle fasce più deboli definite in qualche modo, e misure mirate a clientele elettorali, che agiscono più sull’immaginazione che non sulla situazione effettiva dei più deboli. I dati crudi sono solo un primo aspetto del fact-ckecking, il secondo è la verifica dei concetti che dietro dati veri possono celare messaggi fuorvianti, e infine il giudizio complessivo, l’elemento più difficile e più importante della verifica. Il trionfalismo della Boschi è pessima propaganda che occulta la verità dei fatti nel loro insieme.
Antonio Triola
Concordo al 100% con il commento di Henri Schmit, al quale poco o nulla è consentito aggiungere. Per la proposta dei 5 Stelle, il calcolo mi sembra alquanto approssimativo e probabilmente sottostimato. Distinguiamo i fatti dalle opinioni, specie quando sono interessate e sbagliate.
Marco Di Marco
L’Istat in realtà ha spiegato chiaramente che il bonus da 80 euro va a beneficio non soltanto di una parte dei poveri, ma anche (e in misura consistente) delle famiglie con redditi medio-alti e alti. La riduzione della disuguaglianza complessiva è quindi dovuta soprattutto alla riduzione delle differenze di reddito fra i più ricchi e le famiglie del ceto medio, senza escludere una parte di quelle meno abbienti.