La quota riservata alle donne andrebbe calcolata sulla totalità dei componenti dei comitati nominati da ciascun consiglio di amministrazione delle società quotate. Si valorizzerebbe così il contributo di genere, senza rigidità o frammentazioni.

Il numero delle donne nelle società quotate

Le nuove regole sull’informazione non finanziaria impongono alle società quotate di dar conto, nella relazione di governance, delle politiche di diversificazione, quali l’età e il genere, seguite nella composizione degli organi di governo, gestione e controllo e di illustrare i percorsi formativi e professionali dei membri.

Per quanto riguarda la diversificazione di genere, la legge Golfo-Mosca, fissa a un minimo del 30 per cento la rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione. C’è però da chiedersi se una effettiva applicazione del principio di “diversità” debba riguardare il solo consiglio e non estendersi invece anche ai comitati (comitati controlli e rischi, remunerazione, operazioni con parti correlate e nomine – corporate governance), che di fatto rappresentano uno snodo fondamentale nell’articolazione del governo delle società.

Il Codice di autodisciplina delle società quotate suggerisce un numero minimo di tre membri per i comitati; ma richiedere una rappresentanza femminile obbligatoria di una su tre finirebbe con l’introdurre un eccesso di rigidità. Da un lato, considerazioni qualitative potrebbero suggerire altre composizioni dei comitati sulla base delle caratteristiche professionali e personali dei componenti dei cda; dall’altro, potrebbe essere opportuno, in alcuni casi, avere anche rappresentanze femminili di due su tre o di tre su tre.

Come garantire la varietà di approccio

Seguendo lo spirito della legge e operando sul piano della autoregolamentazione, si potrebbe allora optare per una misurazione percentuale più generale, vale a dire la quota di genere sulla totalità dei componenti dei comitati nominati da ciascun consiglio di amministrazione. Ad esempio, nell’ipotesi di quattro comitati di tre membri ciascuno, prevedere la percentuale minima del 30 per cento e quindi, arrotondando per eccesso, un minimo di quattro rappresentanti femminili su dodici, rimanendo però sempre nei limiti di percentuale calcolati per il consiglio di amministrazione. Si potrebbe così valorizzare il contributo di genere, dando allo stesso tempo la facoltà di allocazione ottimale nell’ambito dei comitati, senza rigidità o frammentazioni.

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Sulle caratteristiche personali e professionali dei singoli componenti, invece, il criterio guida dovrebbe essere, ovviamente, quello di background coerenti con la materia trattata: ad esempio, esperti di gestione di rischi nel comitato controlli e rischi o esperti di risorse umane nel comitato remunerazione, ma anche in questo caso è importante valorizzare la diversità per garantire una varietà di approcci e prospettive nell’azione dei componenti nel loro insieme. Una varietà che potrebbe venire meno in presenza di comitati interamente costituiti da cosiddetti “esperti”, con una visione troppo omogenea.

Per consentire una certa diversificazione di contributi tra i vari esponenti, si potrebbe anche ipotizzare una durata massima consigliabile di due mandati, il che permetterebbe di realizzare una forma di rotazione tra i singoli comitati, una volta maturata una buona conoscenza del contesto societario.

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