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L’ora dei bilanci per le quote rosa in cda*

Le quote di genere nei consigli di amministrazione delle società quotate italiane ne hanno migliorato la qualità. E ne hanno beneficiato anche i risultati di impresa, quando la presenza femminile è stata rilevante. Perché la diversità aiuta a creare valore.

Proroga in vista per la legge Golfo-Mosca?

Si avvicina il momento in cui sarà possibile fare un bilancio complessivo della legge 120/2011 (legge Golfo-Mosca), ossia della previsione secondo la quale nelle società quotate e a controllo pubblico almeno un terzo dei componenti degli organi sociali deve appartenere al genere meno rappresentato (si veda anche qui, qui e qui). La disciplina si applica per i tre rinnovi degli organi sociali successivi all’agosto 2012 (un periodo solitamente pari a nove anni) e a fine 2018 ha cessato di esplicare i suoi effetti – o è in procinto di farlo – per 34 società quotate.
All’approssimarsi del momento in cui gli effetti della legge si esauriranno, pur rimanendo in vigore per le società di nuova quotazione (sempre a partire dal primo rinnovo successivo all’ingresso sul mercato e per tre rinnovi), il dibattito politico è tornato a riaccendersi. Lo scorso gennaio è stato presentato al Senato il disegno di legge 1095, che propone di prorogare le quote per altri tre rinnovi. È dunque indispensabile fare il punto sui risultati prodotti finora.

Lo studio della Consob

È indubbio che, stante l’obbligatorietà della legge e la previsione di sanzioni per la sua violazione, la percentuale di donne sia aumentata: da una presenza di amministratrici donne di circa il 7 per cento nel 2010 si è passati a giugno 2018 al 36 per cento, con la quasi totalità di emittenti con almeno una donna nel Cda. Ma questo non è l’unico effetto: sono anche cambiate le caratteristiche dei consigli di amministrazione e si sono registrate ricadute sui risultati aziendali.
È quanto si evince da un recente quaderno di finanza della Consob, che analizza l’impatto delle quote di genere sulla qualità dei board e sui risultati delle imprese italiane quotate per il periodo 2008-2016. In seguito all’ingresso delle nuove amministratrici, in particolare, si è ridotta l’età media dei consiglieri, è aumentata la diversità in termini di età e background professionale, è cresciuto il livello medio di istruzione.
Quanto agli effetti sui risultati lo studio specifica la relazione tra diverse misure di performance (Roe-return on equity, Roa-return on assets e Roic-return on invested capital) e la presenza femminile mediante un modello dinamico, utilizzando lo stimatore Arellano-Bond GMM in differenze prime e diverse variabili strumentali.  Le stime evidenziano che la presenza delle donne incide positivamente a patto che superi una soglia critica, oscillante tra il 17 e il 20 per cento (figura 1). Considerando che nelle società quotate i consigli di amministrazione sono composti in media da circa dieci membri, gli effetti positivi sulla redditività si manifestano quando vi siedono almeno due donne.

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Figura 1

Il risultato è in linea con la cosiddetta critical mass theory, in base alla quale la minoranza femminile può arricchire il dibattito consiliare e favorire una gestione più profittevole delle società solo se raggiunge un peso minimo.

Come alimentare la diversità

La diversità di genere, dunque, premia ed è nell’interesse delle società preservarla (insieme ad altre forme di diversità) in una misura sufficientemente elevata. Il Comitato per la Corporate governance di Borsa italiana ha modificato il Codice di autodisciplina lo scorso luglio proprio per salvaguardare gli effetti positivi della legge, raccomandando agli emittenti di applicare criteri di diversità, anche di genere, per definire la composizione sia del consiglio di amministrazione sia del collegio sindacale. Nel concreto, come emerge dal criterio applicativo della raccomandazione, l’obiettivo di diversità di genere è identificato nel mantenimento della quota di un terzo del genere meno rappresentato.
Saranno sufficienti l’autodisciplina e le forze di mercato per garantire che non si torni indietro, vanificando gli effetti della legge? I dati oggi disponibili non permettono di dare una risposta conclusiva. Solo sei società non sono state più tenute a rispettare la legge nel loro ultimo rinnovo, avendo esaurito i tre previsti. Di queste, cinque hanno mantenuto una quota di amministratrici superiore a un terzo. È evidente che sarà necessario continuare a monitorare.
Quel che è certo, però, è che da sole le quote rosa nei consigli di amministrazione non possono essere considerate un toccasana, poiché limano solo la punta dell’icerbeg del divario di genere. Un segnale in tal senso si evince dall’aumento dell’interlocking femminile (ossia della percentuale di amministratrici che siedono in più consigli di amministrazione), che potrebbe riflettere il fatto che il pool di manager e professionisti da cui si attinge non cresce di pari passo (anche se non si può escludere che il fenomeno sia trainato dalle scelte delle società). È indispensabile uno sforzo corale per eliminare attriti e soffitti di cristallo da parte di tutti gli attori coinvolti, dalle istituzioni politiche alle imprese e passando per le stesse donne, in particolare quelle ‘di successo’, che devono promuovere il valore (prima di tutto etico ma non solo) della diversità. Si tratta di un passaggio obbligato, che renderebbe finalmente superflui gli interventi coercitivi.

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* Ufficio studi economici, Consob. Le opinioni espresse sono personali e non impegnano in alcun modo l’Istituzione di appartenenza.

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  1. Gianna

    Buongiorno,
    Purtroppo anche leggendo dal Paper in questione, non sono riuscito a capire se è stato inserito un controllo per quanto riguarda le new-entry in cda. Infatti mi pare logico inizialmente pensare che il livello competitivo e le conseguenti decisioni varino positivamemte più per la la presenza di nuovi consiglieri, soprattutto se con un livello di istruzione migliore, indipendentemente dal genere.

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