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La visione di Alesina e Giavazzi

In un articolo di ieri del Corriere della Sera (1), Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, analizzando la cosiddetta “Agenda Monti”, asseriscono come, a loro avviso, vi sia un problema nel finanziamento dell’università pubblica. In particolare, i due autori criticano il fatto che il bilancio delle università pubbliche pesi troppo sulla fiscalità generale. In particolare, dal momento che l’accesso all’istruzione universitaria non avviene uniformemente attraverso tutte le classi sociali e di reddito, il ricorso alle tasse (pagate da tutti i contribuenti) genera un trasferimento (inefficiente) di risorse dalle fasce meno abbienti ai ceti più ricchi. Tutto ciò aumenta la disparità sociale e rende la pressione fiscale (già enormemente alta nel nostro paese) ancora più iniqua. Per spiegare ciò, gli autori si rifanno al caso dell’università Bocconi, evidenziando come, pur non ricevendo sussidi pubblici, tale ateneo figuri ben posizionato nei ranking internazionali.

La visione di Francesco Coniglione e Francesco Sylos Labini
Francesco Coniglione e Francesco Sylos Labini, in un articolo apparso sul sito Return on Academic ReSearch (ROARS) (2), criticano l’analisi di Alesina e Giavazzi mostrando come l’università Bocconi abbia ricevuto un finanziamento pubblico di quasi 15 milioni di euro nel 2012.

Tuttavia, come mostrato dagli autori:
– 4,2 milioni figurano come compensazione del mancato gettito delle tasse e dei contributi universitari derivante dall’incremento degli esoneri totali riconosciuti nell’anno accademico 2011/2012 rispetto a quelli concessi nell’anno accademico 2000/2001;
– 1,8 milioni sono destinati a fini premiali.

La mia visione
Con riferimento alla prima voce di spesa, la compensazione del mancato gettito delle tasse e dei contributi universitari derivante dall’incremento degli esoneri totali riconosciuti sembra sacrosanta. Se un’università, sia essa pubblica o privata, é assoggettata a leggi e provvedimenti governativi che la privano di una parte delle proprie entrate, tale mancato gettito deve essere compensato.
Con riferimento alla seconda voce di spesa, tale contributo pubblico é efficiente se si pensa che:
– università pubbliche e private siano in competizione tra di loro;
– tale competizione (e quindi la premialità) avvenga sulla qualità della produzione scientifica.

A mio avviso, bisognerebbe cercare di riprodurre il “modello Alesina-Giavazzi” nel seguente modo:
1) incentivare le università pubbliche a reperire finanziamenti privati (così come fanno le università private) o a convertirsi in fondazioni;
2) garantire ad esse (da parte dello Stato) la massima autonomia nel bilancio e nel budget;
3) aprire il mercato della ricerca, in modo tale che qualunque università sia libera di contrattare lo stipendio nei confronti di chi assume (senza essere soggetta a vincoli statali su contratti e assegni di ricerca), aumentare la qualità dell’offerta formativa e quindi diventare un polo di attrazione di talenti nello scenario europeo e mondiale.

Il risultato di tutto ciò potrebbe essere un innalzamento delle rette universitarie. In questo caso si potrebbe optare per una soluzione “statunitense” in cui il ruolo dello Stato sarebbe quello di garantire aiuti finanziari (borse e voucher) per gli studenti più meritevoli in modo da alleviare, almeno in parte, le disparità tra classi sociali. In questo modello, lo Stato utilizzerebbe le risorse pubbliche per “premiare gli studenti migliori provenienti da famiglie meno abbienti” e non per “mantenere a galla università decotte”.
Infatti il problema attuale non é l’incidenza della spesa in educazione terziaria (Laurea triennale, laurea specialistica e dottorato di ricerca) sul PIL (si veda Tabella 1), bensì il ruolo e la funzione di tale spesa pubblica.
Bisogna puntare ad un modello fatto di “grandi campioni nazionali” (così come avviene in Svizzera e in Belgio ad esempio) che possano competere a livello globale e in cui i finanziamenti pubblici siano dati SOLO alle (poche) università meritevoli ed ESCLUSIVAMENTE sulla base del merito (track di pubblicazioni, capacità di attrarre personale qualificato, etc.). Per le restanti università che non eccellono nella produzione scientifica e nella capacità attrattiva, l’unico finanziamento pubblico garantito sarebbe quello finalizzato alla retribuzione del corpo docenti e all’erogazione della didattica. Ciò si tradurrebbe quindi in un taglio di circa il 30% dei fondi di finanziamento ordinario (FFO) per tali università, con un conseguente risparmio di risorse che innescherebbe il modello sopra descritto.

Tabella 1

UE-27

1,22

Belgio

1,47

Danimarca

2,41

Germania

1,34

Irlanda

1,54

Spagna

1,14

Francia

1,34

Italia

0,86

Olanda

1,63

Austria

1,57

Portogallo

1,07

Finlandia

2,16

Svezia

2,04

Regno   Unito

0,81

Norvegia

2,23

Svizzera

1,39

USA

1,24

Giappone

0,72

 

Legenda: rapporto tra spesa in educazione terziaria (laurea triennale, laurea specialistica e dottorato di ricerca; ISCED 5-6) e PIL nel 2009 (fonte: Eurostat).

Samuele Murtinu

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  1. Francesco

    Beh non sono un economista (almeno non in senso stretto) ma tanto per cominciare 15- ( 4,2+1,8) = 9 quindi ci sono 9 milioni di troppo per un’università, la Bocconi, che si vuole privata…e che per altro riguarda poche discipline (scienze economiche e sociali e un po’ di diritto) e non ha i costi di quelle scientifiche in senso stretto. Per altro è noto che la Bocconi risparmia sulle docenze attraverso contratti di insegnamento offerti a docenti altrove incardinati (nelle univ.pubbliche, quelle “inefficienti”) , che per arrotondare i soggettivamente magri stipendi si prestano a fornire servigi alla concorrenza. Poi discriminare in termini di atenei non ha alcun senso. Negli stessi atenei (quelli veri, con discipline che vanno da agraria fino a lingue, passando per fisica, scienze politiche etc.) possono benissimo convivere ottimi e pessimi dipartimenti. Insomma i principi sono anche condivisibili ma il “pulpito” è sospetto,il cieco e continuo sostegno dell’establishment a tale pulpito quanto meno irritante e la riflessione sull’implementazione ancora insufficiente.

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