Un convegno organizzato dall’ambasciata italiana e dall’Association of Italian Scientists in the UK ha discusso gli effetti della Brexit sull’accademia britannica e sugli scienziati stranieri che vi lavorano. Rimarcando le differenze tra Italia e Regno Unito.

Quale futuro per i ricercatori italiani in UK?

Nel Regno Unito lavorano circa 5mila ricercatori italiani nelle scienze fisiche e ingegneristiche, biomediche, sociali e umane. Quattrocento di loro si sono incontrati al King’s College London il 30 giugno, in un convegno organizzato dall’ambasciata e dall’Association of Italian Scientists in the UK (Aisuk).

La conferenza degli accademici e ricercatori italiani nel Regno Unito è iniziata con una sessione moderata da Ian Preston (economista di Ucl-University College London) e dedicata all’impatto della Brexit sull’accademia britannica. Julie Maxton, direttore esecutivo della Royal Society, ha ricordato come il 16 per cento di tutti i ricercatori e accademici nel Regno Unito provengano da altri paesi dell’Unione Europea e quasi il 3 per cento dall’Italia. Il Regno Unito è ancora più importante per la formazione delle giovani generazioni di scienziati: quasi uno su sei degli 81.130 studenti di PhD arriva da altri paesi dell’Unione Europea.

Graeme Reid (professore di politiche della ricerca a Ucl), spesso consulente della Camera dei Lord sulle relazioni scientifiche con l’UE, ha illustrato i preoccupanti effetti della Brexit sulle opportunità di finanziamento della ricerca nel Regno Unito. Nel dibattito, numerosi partecipanti hanno chiesto quali misure il governo e la dirigenza accademica britannici intendessero prendere per minimizzare l’impatto della Brexit sulle prospettive di ricerca di tutti gli scienziati, europei e non. Nel complesso, domande e discussione rimandavano l’idea che la comunità accademica abbia il dovere di difendere energicamente i diritti degli scienziati europei e la prominenza internazionale della scienza britannica.

La scienza in Italia e Regno Unito

Questa prominenza era stata illustrata in precedenza da uno di noi, Antonio Guarino, presidente dell’Aisuk, giovane associazione che raccoglie già quasi 400 ricercatori italiani nel Regno Unito.

Guarino ha evidenziato l’asimmetria tra Regno Unito e Italia come sedi in cui svolgere ricerca, usando come esempio l’assegnazione dei prestigiosi finanziamenti europei dell’Erc-European Research Council. Nel periodo 2007-2013, per 54 ricercatori italiani che hanno usato questi fondi in istituzioni britanniche, vi sono stati solo due britannici che lo hanno fatto in istituzioni italiane. Se, per semplicità, si standardizza per la popolazione del paese, si scopre che, in dieci anni, dal 2007 al 2016, i ricercatori di nazionalità italiana hanno ottenuto circa 11 assegnazioni di fondi per milione di abitanti; i francesi circa 12, i britannici circa 14 e i tedeschi circa 15. Quando, invece, si considera la nazionalità della istituzione in cui il ricercatore lavora, si trova che l’Italia ha ottenuto appena poco più di 6 finanziamenti per milione di abitanti, la Germania e la Francia un po’ più di 13 e il Regno Unito oltre 23.

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Le forti differenze sono conseguenza della mobilità dei ricercatori. Il Regno Unito trattiene l’88 per cento dei finanziamenti di ricercatori britannici e l’Italia solo il 54 per cento. E mentre circa metà delle borse Erc del Regno Unito sono ottenute grazie a cittadini non britannici, il corrispondente numero per l’Italia è circa il 10 per cento. Purtroppo, l’Italia non è una meta ambita dai ricercatori.

Valutazione della ricerca

L’asimmetria dei paesi riguardo alla ricerca è stata anche enfatizzata da Roberto Di Lauro, addetto scientifico dell’ambasciata italiana a Londra. Di Lauro ha sottolineato la forte differenza di finanziamenti messi a bando per i progetti di ricerca disponibili nei due paesi. Un’altra differenza riguarda la valutazione della ricerca, tradizionale strumento per l’assegnazione dei fondi nel Regno Unito e introdotta solo di recente, e a fatica, in Italia. Nella sessione sulla valutazione, un altro di noi, Gianni De Fraja ha presentato un lavoro teso a comprendere la relazione tra lo stipendio pagato ai docenti e la qualità della loro ricerca. Di seguito, Susanna Terraccini, ha illustrato il sistema di valutazione italiano coordinato dall’Anvur; la differenza principale con il sistema britannico è il peso relativo, maggiore in Italia, di indicatori bibliometrici, rispetto al peer review prevalente in UK. Un aspetto della valutazione assente in Italia è quello dell’impatto al di fuori della comunità accademica. L’analisi di Jonathan Grant (King’s College London) ha mostrato come le università del Regno Unito abbiano uno straordinario impatto globale: ogni paese del mondo era incluso in almeno uno dei quasi 7mila case studies sottoposti alla valutazione.

La giornata ha visto anche interventi di alcune autorità italiane, tra cui il presidente del Cnr, Massimo Inguscio, e l’ambasciatore italiano a Londra, Pasquale Terracciano, con la consegna del premio Italy Made Me a sei giovani ricercatori italiani ora nel Regno Unito. In chiusura, Alberto Sanna e la sua orchestra da camera hanno eseguito i concerti grossi di Francesco Geminiani, violinista italiano trasferitosi a Londra nel 1714: anche l’arte e la cultura, come la scienza, non hanno frontiere.

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