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Regno Unito ostaggio degli opposti estremismi

Il governo è sempre più in crisi e l’opposizione alla Brexit comincia a organizzarsi. Ma il conto alla rovescia va avanti e tra undici mesi scoccherà l’ora della fine dell’adesione del Regno Unito alla UE, iniziata il 1° gennaio 1973. A meno di sorprese.

Brexit rimane al centro del dibattito politico inglese. Sul tema, i due partiti principali sono profondamente divisi al loro interno. E benché ideologicamente diverse, le loro divisioni hanno una certa simmetria. Entrambi i partiti sono guidati da un’ala che conta la maggioranza dei membri del partito, ma che storicamente rappresenta l’opposizione interna. Per entrambi i partiti, è stata un’elezione popolare che ha permesso ai rappresentanti della base di impossessarsi della leadership: l’elezione diretta del leader per i laburisti e il voto nazionale del referendum sull’appartenenza alla UE per i tory.
La simmetria si estende anche a polemiche esterne alla Brexit, in cui i due partiti sono oggi coinvolti. Per i laburisti è l’antisemitismo, per i tory la xenofobia. Un giorno i media attaccano Jeremy Corbyn che condanna la rimozione da parte del consiglio comunale di un murale di dubbio valore artistico, ma di indubbio significato antisemita. Il giorno dopo l’attenzione si sposta sullo scandalo “windrush”: l’odissea di molti immigranti del Commonwealth, quasi tutti caraibici, che, dopo cinquant’anni e più di residenza nel Regno Unito, vengono espulsi senza pietà, per raggiungere gli obiettivi di efficienza nella deportazione del ministero dell’Interno, guidato prima da Theresa May, poi da Amber Rudd, costretta il 29 aprile a dimettersi per avere mentito in Parlamento.
Per ora, nulla riesce a riempire il vuoto che l’estremismo dei due partiti lascia al centro dell’arena politica. I lib-dem, il solo partito anti-Brexit, languono all’orlo dell’oblio, con uno stabile 7 per cento nei sondaggi. Ma un segnale per loro ancora peggiore è il fatto che non siano riusciti ad attrarre nemmeno uno dei moltissimi deputati laburisti anti-Brexit e anti-Corbyn.
Oltre alle primule e ai narcisi, con la primavera sembrano spuntare ogni giorno nuovi partiti: tutti promettono di farsi portavoce dell’elettore pro-Europa e moderato e tutti appassiscono però altrettanto rapidamente.

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La coalizione anti-Brexit

Alcune delle organizzazioni contro la Brexit, molte composte da rappresentanti di tutti i partiti, stanno raccogliendo firme e fondi per l’organizzazione di un nuovo referendum, che offra all’elettorato l’ultima parola su una decisione che influenzerà il paese per decenni. Dopo un anno di indecisioni e conflitti interni, questi gruppi si sono accordati sulle persone (Chuka Umunna e Anna Soubry) e sull’obiettivo: sono state abbandonate sia l’idea di un voto in Parlamento che annulli il referendum, sia la battaglia per una “Brexit morbida” – l’ipotesi Norvegia – scegliendo invece di combattere per un “voto popolare”. Logica vuole che chi è pro-Brexit non possa opporsi alla proposta: in fin dei conti se si accetta che un referendum decida l’uscita dall’UE, la volontà popolare va ottenuta anche per l’alternativa (e perfino Nigel Farage parrebbe accettarla).
Il primo formidabile ostacolo a un secondo voto è la domanda da porre agli elettori, cioè la scelta disponibile per chi vuole respingere l’accordo tra Madam May e l’UE. Se fosse l’assenza di ogni accordo, sarebbe la più dura Brexit possibile, il che potrebbe produrre la situazione paradossale in cui i pro-europei optano per il male minore e votano la proposta del governo, e gli anti-europei respingono qualunque patto per arrivare all’isolazionismo più radicale.
I pro-UE, però, non lavorano certo per scegliere tra la padella e la brace. La campagna che conducono intende chiedere ai cittadini se il Regno Unito deve rimanere nell’UE. Un primo piccolo e stentato passo verso quest’obiettivo è stato ottenuto in dicembre, quando un emendamento alla proposta di legge del governo ha imposto che il Parlamento debba approvare l’accordo tra governo e UE. La tattica più logica per i pro-UE sarebbe quella di votare in Parlamento non contro l’accordo, ma per sottoporre l’accordo al voto popolare. I tempi si allungherebbero, ma questo metterebbe in difficoltà Jeremy Corbyn, il cui anti-europeismo porta il manto del rispetto della volontà degli elettori, e al tempo stesso renderebbe più facile per i deputati pro-Europa in collegi pro-Brexit giustificare le loro azioni (“non ho votato contro Brexit”, potrebbero dire ai loro elettori, “ho votato per la sovranità popolare”).
Non è chiaro, però, quale potrebbe essere l’esito del voto. L’assenza di effetti drammatici della Brexit e i dati contradditori sull’economia (un giorno il Regno Unito ha il tasso di crescita più basso dei G7, un altro la disoccupazione raggiunge minimi storici e l’occupazione massimi assoluti) fanno sì che le intenzioni di voto non cambino. Per quel che valgono, i sondaggi sono incerti. Paradossalmente, proprio l’incertezza potrebbe agevolare un secondo referendum. I pro-Brexit vedrebbero un 2-0 come il colpo di grazia definitivo a ogni possibile ambizione di ritorno in Europa alla spicciolata; gli europeisti, a loro volta, sperano in un gol salvezza in zona Cesarini.

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La classe sociale non fa il bullo*

  1. Savino

    Solo gente che non ha mai visto la povertà da vicino può essere così altezzosa nel votare.
    Idem per il popolo italiano e le elezioni del 4 marzo scorso.

  2. Marco Di Brigida

    Egregio Professore, mi pare abbastanza chiaro; la divisione politica inglese non fa che rispecchiare la lacerazione sociale che colà vige; l’indice di Gini inglese non è certo quello della Svezia e neppure quello della Germania; è alquanto simile, guarda caso, a quello dell’Italia; l’occupazione è ai massimi storici? e vabbè però si deve vedere la qualità della occupazione, quanto è precaria e quali sono i salari; il sistema liberista moderno potrà forse tenere economicamente ma si deve vedere come riduce la coesione morale e sociale delle popolazioni; coesione che per ovvi motivi e un bene preziosissimo di cui ci si accorge della importanza solo quando comincia a venire meno; tutto questo i keynesiani lo sapevano bene, ma la loro saggezza come Lei sa, è stata fatta culturalmente, accademicamente e mediaticamente, a pezzi

  3. rodolfo

    mi sembra più un articolo basato su propri desiderata (rivelatisi regolarmente perdenti nei mesi scorsi) più che una analisi. L’Europa come luogo economicamente vitale e attraente è rimasto tale finché non si è deciso che gli stati nazionali erano da superare in funzione di una “europeità” totalmente insensata in quanto distruttiva e non costruttiva. Siamo sicuri che gli inglesi abbiano sbagliato a votare Brexit come lei continua a dire? Non è che le persone che vivono ad Oxford (che ricordo ospitano “eccellenze negative” come Tariq Ramadan) siano troppo intente a compiacersi del proprio ombelico non capendo quanto il “popolo” in senso esteso giudica negativamente la globalizzazione? Sappiamo bene quanti interessi (altro che ideali) ci sono dietro l’abbattimento delle frontiere, in primis cinesi e arabi. Mi chiedo sempre più quanto La Voce sia organo di indottrinamento più che di analisi. Vedere i responsabili della sezione Fact Checking per avere una prova di quanto scrivo

    • Mariasole Lisciandro

      Gentile Rodolfo, grazie innanzitutto per il commento. Può spiegarsi meglio cosa dovrebbero mai scovare i lettori andando a vedere i responsabili della sezione fact-checking?

    • Henri Schmit

      Solo in Italia ci sono voci secondo le quali gli stati nazionali sarebbero da superare in funzione di una non meglio definita europeità, anzi insieme a una non più convincente sovranità regionale (è nel contesto dell’autonomia regionale, veneta e lombarda, che l’organo di stampa della Lega ha lanciato la sua idea di sovranismo). Gli altri stati, gestiti in modo più efficiente, non intendono rinunciare alle loro prerogative statuali sapendo che sono in una certa misura solidali e per il resto concorrenti. Le cause della Brexit sono le inefficienze dell’UE e di alcuni paesi membri, in materia di gestione dell’immigrazione e di convergenza fiscale. L’Italia è l’anello (grosso) debole del sistema. Nella maggior parte degli altri paesi membri l’Europa è percepita come un successo e come una garanzia per il futuro, in un mondo comunque globalizzato, con o senza Brexit, Trump e Putin. Il Canada, l’India e ora anche l’Australia stanno con l’UE, non con il nuovo corso in UK o in USA. Il problema della zona € in particolare sono i paesi incapaci di riformarsi.

      • Non e’ vero, si guardi alla Polonia, oppure all’Ungheria.All’unione bancaria, e’ troppo complicato per essere liquidato cosi. Penso che il commento, ed anche l’articolo in parte, trasmettano un senso di incredulita’ ed impotenza. Il titanic sembra affondare ma si beve il vino e suona il piano, perche’ la realta’ , quella che si vede sporgendosi dal corrimano, fa troppa paura. D’altra parte solo chi pensa di sapere puo’ essere ignorante.

        La Brexit potrebbe essere fermata dai Lord, l’Inghilterra non e’ proprio una gran democrazia, e lei potra’ continuare a farsi i complimenti a vicenda con i suoi colleghi su quanto siete intelligenti immerso in sistema educativo decadente e sulla via dello sbriciolamento finale.

        > la disoccupazione raggiunge minimi storici

        Ma guardi i salari e potere d’aquisto, mi faccia il piacere.

        • Henri Schmit

          Quando scrivevo mi rendevo che la mia affermazione era vera solo per la “core Europe”. Pensavo che non fosse necessario precisare. Il contro-commento che allarga il discorso a PL e H mette in evidenza in quale compagnia l’Italia si trova ora. Con questo non intendo suffragare le solite critiche rivolte ai due stati, secondo me in parte immeritate e strumentali, ma insistere solo sul peso marginale, irrilevante di questi governi dissidenti. Penso che non basti dissentire, ma che bisogna convincere gli altri. Altri stati membri periferici più efficienti e più convincenti stanno gradualmente sostituendo l’Italia nel gruppo “nocciolo duro”. Non capisco le osservazioni sull’ignoranza e sulla comprensione fra colleghi quindi non rispondo.

    • Luca Cip

      Rodolfo, guardi che gli Inglesi nel 2016 non sono stati così compatti nel votare Brexit. Ora poi che i dati economici stanno peggiorando e tutte le promesse di Farage ed UKIP si sono volatilizzate, pare che qualcuno ci stia ripensando. A meno che lei voglia negare pure questo.

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