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I dettagli della ripresa lenta

La ripresa dell’economia italiana è trainata dall’export, ai massimi di sempre, e dalla domanda interna. Agli investimenti – sotto di un quarto rispetto al 2008 – manca il contributo dell’immobiliare, mentre incombe la fine degli incentivi di Industria 4.0. La crescita dell’import.

Una lenta ripresa trainata da export e investimenti

Con la diffusione delle stime Istat sulla crescita del Pil (+0,4 per cento) e delle sue componenti (consumi, investimenti, spesa pubblica, export e import) del secondo trimestre 2017, si può parlare con maggiore dettaglio delle ragioni della ripresa dell’economia italiana.

Dalla tabella sotto (che contiene un confronto con le riprese del passato) si vede che l’attuale crescita del Pil trimestrale (in atto da dieci trimestri) viaggia ad un passo dello 0,3 per cento per trimestre. A trainarla sono un po’ tutte le voci della domanda del settore privato: l’export (che guida con un +0,9 per cento) e gli investimenti (al +0,5 per cento), con i consumi di poco sotto la media al +0,3 per cento e la spesa pubblica destinata alla produzione di beni e servizi pubblici (circa metà della spesa pubblica complessiva) in aumento per un magro +0,1 per cento. Del resto, con buona pace dei critici dell’austerità, uno stato con un debito pubblico al 133 per cento dovrebbe ridurre la spesa pubblica, altro che aumentarla dello 0,1 al trimestre.

Manca l’immobiliare e incombe la fine degli incentivi di Industria 4.0 …

I dati comparati della tabella mostrano anche che le voci del prodotto interno lordo oggi trainanti (export e investimenti) stanno in realtà svolgendo questo compito con minor vigore rispetto a quanto abbiano fatto nelle riprese del passato. Mentre la ripresa dei consumi è grosso modo in linea con quelli dei decenni precedenti, la crescita degli investimenti e delle esportazioni è meno della metà di quella registrata nelle riprese di fine anni ’90 e dei primi anni duemila.

Questo rallentamento è particolarmente grave per gli investimenti, non per le esportazioni. Malgrado il loro andamento lento, infatti, il livello dell’export di oggi è al massimo di sempre, del 7 per cento più elevato di quello del 2008 (nel 2016 l’Italia ha venduto all’estero beni e servizi per oltre 500 miliardi di euro). È chiaro che le aziende italiane potrebbero fare ancora di più. Ma hanno già fatto moltissimo, anche perché mantenere i tassi di crescita del passato in un mercato internazionale sempre più competitivo è un’impresa ardua. È ben diversa la musica per gli investimenti, che sono ancora sotto di un quarto rispetto ai massimi del 2008. Pesa soprattutto il solo flebile ritorno del mercato immobiliare dove sono tornate le compravendite, ma senza una ripartenza dei prezzi dopo il crollo degli ultimi anni. Sul mercato (specie nella sua componente non residenziale, scesa dello 0,2 per cento trimestrale anche durante la ripresa) incidono in negativo vari disincentivi regolatori e di tassazione oltre al macigno di tanti immobili invenduti o vuoti che non esistevano durante le riprese del passato. Per macchinari e attrezzature sono arrivati i sostegni a investire del piano di Industria 4.0 che hanno prodotto qualche risultato positivo nel secondo trimestre 2017. Ma c’è da ricordare che anche gli incentivi del ministro Calenda (come la decontribuzione per i nuovi assunti a tempo indeterminato del 2015-16) sono temporanei. Cioè suggeriscono alle aziende di anticipare a oggi investimenti che sarebbero avvenuti domani e quindi, anche nel caso in cui funzionino, richiedono di essere rinnovati per evitare uno sboom che finirà per arrivare a meno che non si ristabiliscano più solide condizioni di profittabilità. Infine, molto della ripresa attuale si deve alla robusta ripresa degli investimenti in mezzi di trasporto degli ultimi dieci trimestri (+5,7 per cento al trimestre). Ma, anche in questo caso, gli acquisti rimangono inferiori di poco meno del 20 per cento rispetto ai livelli del 2008.

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… Mentre persiste l’anomalo boom delle importazioni

L’ultimo dato della tabella che salta all’occhio è la relativamente elevata crescita delle importazioni, cresciute finora del l’1,3 per cento per trimestre. Meno che nelle riprese precedenti, ma in misura sproporzionata rispetto alla limitata vitalità della domanda interna. Il dato è che, durante questa ripresa come in quella post-2008, la crescita della domanda manifestata dal settore privato interno ed estero ha trovato soddisfazione più che in passato nella produzione estera che in quella interna. E così la ripresa delle importazioni batte quella del Pil quattro a uno (+1,4 contro +0,3). Il rapporto era di due a uno nella ripresa di fine anni novanta e di tre a uno nella ripresa dei primi anni duemila. Conta la graduale internazionalizzazione delle abitudini di consumo delle famiglie e degli acquisti dei servizi di sub-fornitura da parte delle aziende. Fenomeni che vanno accettati come conseguenza naturali della globalizzazione. Ma l’anomalo boom dell’import è anche il riflesso di una perdita di competitività da non sottovalutare. E da curare con le politiche dell’offerta oggi tanto impopolari.

Tabella – Le componenti della crescita durante le riprese di oggi e di ieri

Fonte: elaborazioni su dati Istat

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15 commenti

  1. Savino

    E’ impossibile avere crescita sostenuta senza alti livelli di produttività e senza professionalità impeccabili dal punto di vista formativo. La flessibilità del lavoratore deve essere indirizzata sul piano motivazionale e incentivata nel salario, mentre agli imprenditori è richiesto di fare da tutore del neo assunto, investendo nella sua formazione.

  2. sbaglio o l’aumento delle importazioni vuol dire che la vulgata “abbassiamo le tasse così aumentano i consumi (interni) ” ha poca solidità?

    • francesco daveri

      dai datisi vede che i consumi delle famiglie non sono andati poi tanto bene. Quindi ridurre le imposte sui redditi avrebbe la sua ragione d’essere. Certo, se poi i consumatori decidono di acquistare prodotti esteri, il Pil beneficia meno di quanto potrebbe.

      • Maurizio Cocucci

        Occorre tenere in considerazione che molti beni, anche di base, vengono prodotti all’estero, così oltre ad esempio ad alcuni modelli di autovetture, che come sappiamo pur facenti parte di un gruppo che erroneamente si considera ancora italiano, la produzione è però fatta all’estero e quindi ad ogni vendita corrisponde una importazione. Abbiamo poi abbigliamento, calzature, anche generi alimentari che sono realizzati all’estero anche se fanno capo ad un marchio italiano e la cui variazione del consumo finale ha quindi diretta influenza sulle importazioni.

  3. Marcomassimo

    Se tutti i paesi vogliono esportare e non vogliono importare forse la competitività sale ma nella collettività globalizzata dei paesi è un gioco a perdere in cui hanno tutti una crescita stentata, non c’è la piena occupazione i salari non salgono; così non si capisce chi la ripresa la dovrebbe
    sospingere; invece paesi che hanno un surplus corposo come l’Italia e soprattutto come la Germania o la Cina dovrebbero importare di più aumentando i salari; inutile offrire beni a prezzi sempre minori che poi tanto la gente non compra lo stesso

  4. Loredana

    Mi chiedo a che cosa si riferisca l’aumento della spesa pubblica: se ad inefficienza del sistema pubblico, se alla contrazione degli investimenti, se alle nefaste conseguenze della finanza creativa degli ultimi 20 anni. Chiarire questa voce potrebbe dare elementi informativi maggiori sulle responsabilità e sulle cause di questo dato negativo. Ed eviterebbe di alimentare un generico astio nei confronti di tutto ciò che è pubblico.

  5. bruno puricelli

    Pagando meno per denaro , tasse, corrente elettrica ecc., tante imprese del nord esportano a prezzi competitivi molti loro prodotti nei loro supermercati e sono di qualità accettabilmente buona. Se non si trova un booster consistente non vedo come ne usciremo. Certamente non con patrimoniali e elargizioni. Il gruppo di testa si allontanerà sempre di più nonostante i lavoratori italiani lavorino come e forse più che in quelli del nord. Quali proposte si possono avanzare per un efficace booster? Pensiamoci, speriamo che qualcosa venga a mente.Una provocazione… una cripto moneta italiana che ci affranchi dallo spread per almeno 10 anni sarebbe sufficiente se fosse consentito dalla UE?

  6. Michele

    Quello che manca sono gli investimenti. Con conseguenze a lungo termine sulla competitività del sistema italia. Tanti regali alle imprese (jobact, decontribuzione, irap, iperammortamento, riduzione ires etc etc) sono serviti a nulla: contributi tesaurizzati, portati a patrimonio dell’imprenditore, aziende vendute a compratori esteri, in italia pochi posti di lavoro nuovi è prevalentemente precari.

    • Alessandro Pescari

      Alle imprese non è stato regalato proprio nulla. Le timide riduzioni accennate, non sono altro che un giusto riequilibrio di una tassazione eccessiva e senza pari (vd. IRAP) rispetto ai ns.
      competitor. Infine, occorre ricordare che oltre
      il 90% delle imprese italiane sono rappresentate da micro-pmi, per cui vedo difficile un trading elevato di aziende a non meglio precisati acquirenti esteri.

      • Michele

        Le micro-pmi chiudono. Le medie vivacchiano. Le grandi sono vendute a gruppi stranieri con molta più voglia di intraprendere, molta più organizzazione, più competenze etc. Alle imprese italiane il job act ha proprio regalato (non c’è termine più appropriato) 20 mld in 3 anni, tutti pagati dai contribuenti italiani i.e. principalmente lavoratori dipendenti e pensionati. In cambio il sistema italia cosa ha ottenuto: investimenti-25%, pochi posti di lavoro aggiuntivi e principalmente precari. Questi sono i dati di fatto. Tutto il resto è propaganda

  7. Henri Schmit

    L’ottima analisi fa emergere, a mio modesto parere, uno scenario preoccupante: “Mentre la ripresa dei consumi è grosso modo in linea con quelli dei decenni precedenti, la crescita degli investimenti e delle esportazioni è meno della metà … Questo rallentamento è particolarmente grave per gli investimenti, non per le esportazioni…. Mentre persiste l’anomalo boom delle importazioni.” Conclusione: in un mercato comune, con una sola divisa, in un contesto di globalizzazione, l’Italia non è un paese dove conviene investire, né per gli imprenditori locali che delocalizzano né per i capitali esteri attratti da prospettive remunerative e sicure. L’incertezza e l’insicurezza, le complicazioni e le lentezze inutili, il rischio di truffe e di minacce estorsive, l’illegalità diffusa, contano più della fiscalità non proprio competitiva. Non basta, come l’azione dei governanti fa temere, cavalcare la ripresa internazionale; bisognerebbe invece creare le condizioni che favoriscono l’investimento privato a lungo termine: “jobs act, decontribuzione, irap, iperammortamento, riduzione ires etc “ non sono come sostiene un commentatore “regali inutili alle imprese”, ma non bastano. Anche le misure a favore del consumo non sono sbagliate in assoluto, ma partono dal lato sbagliato: servono per dopare l’economia a fini elettorali e autopromozionali dei governanti, ma non fanno che accentuare l’impoverimento di un paese vecchio, passivo, consumatore, indebitato, servo.

    • bruno puricelli

      Diagnosi ampia ed apprezzabile. Cosa ne pensa se con un escamotage tipo “Uovo di Colombo” generassimo 15-16 mlds gratis l’anno per 30 anni? Noi disponiamo (forse meglio disporremmo) delle risorse per tale booster. La mia preoccupazione rimarrebbe per il fatto che, come Lei rimarca, gli italiani ed i nostri politici/dirigenti saprebbero spenderli senza cambiare granché col popolo spettatore magari contento di condividere una parte della torta nell’mmediato. La possibilità c’è (ci sarebbe)! Le chiedo cosa pensa circa 15 mlds l’anno “fabbricati” su un sottostante ?

      • Henri Schmit

        Non capisco l’idea della cripto moneta. Sono diffidente. 20 fa speravo che l’Italia sapesse sfruttare i tassi bassi procurati dall’euro. Il QE di Draghi è sostanzialmente una seconda chance. Forse riusciamo a sprecare anche questa.

    • bob

      ..quando accetteremo di capire che questo non è assolutamente un Paese esportare e che la differenza in ogni caso e in ogni Paese la fa la vitalità del mercato interno, allora forse si arrivva al problema. Inoltre quando avremo la bontà di riacquisire un pò di memoria e ci ricorderemo che sono oltre 40 anni che non si fanno progetti politici e politiche lungimiranti ( il becero localismo ha preso sopravvento sul sistema-Paese) forse si potrà ripartire, avendo però sacrificato sull’altare dei mediocri almeno 3 generazioni. Si va avanti a spot elettorali, statistiche di fasulla intepretazioni etc

  8. Maurizio Cocucci

    Leggo che molti, correttamente, citano il basso livello degli investimenti. Giusto, ma attenzione a non sottovalutare i dati emersi in quanto quelli tendenziali vedono una crescita complessiva del 2,6%, di cui un +40% (arrotondato) in mezzi di trasporto e +1,2% in costruzioni. Io questo lo leggo moderatamente positivo, tenendo conto della peculiare dualità della economia italiana che vede differenti trend regionali. Inoltre da tenere presente che sebbene si ripeta spesso che siamo la seconda manifattura in Europa, questa incide il 15% circa del PIL contro il doppio della Germania. I tre quarti il PIL è rappresentato oramai dal settore dei servizi.

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