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Occupazione: crisi alle spalle, ma pesa il dato sui precari

Dagli ultimi dati emerge un mercato del lavoro in continua e lenta ripresa. L’occupazione torna ai livelli pre-crisi, diminuiscono le persone inattive e ci sono prospettive di miglioramento anche per i più giovani. Aumenta però il tempo determinato.

Occupati, disoccupati e inattivi

 

A luglio, l’occupazione (figura 1) ha proseguito il cammino di lenta ripresa, arrivando molto vicino al picco positivo raggiunto prima che gli effetti della crisi cominciassero a manifestarsi. Rispetto allo stesso mese dello sorso anno, il saldo è positivo per il numero di occupati (+294mila) e negativo per il numero dei disoccupati (-17mila). È opportuno osservare come il calo dei disoccupati risulti ancora più significativo se considerato alla luce della diminuzione delle persone inattive – ovvero senza occupazione né in cerca di un impiego – calcolata, su base annua, in 322mila unità in meno. La maggior parte del calo degli inattivi si potrebbe infatti giustificare con un più alto numero di persone che comincia a cercare un’occupazione – in media, il 60 per cento di coloro che escono dallo stato di inattività entra inizialmente nello stato di disoccupazione –, facendo così potenzialmente crescere il numero dei disoccupati. Guardando le percentuali, a luglio il tasso di occupazione ha continuato la sua risalita, assestandosi a quota 58 per cento e tornando ai livelli del dicembre 2008; il tasso di disoccupazione si è fermato all’11,3 per cento, in leggero rialzo, e il tasso di inattività è sceso al 34,4 per cento (figura 2).

Fonte: Istat

Fonte: Istat

Il dato sull’occupazione femminile, dopo il record positivo del giugno scorso, conosce una battuta d’arresto: su base mensile, cala il numero di occupati (-28mila) – su base annua il numero rimane invece positivo – e aumenta la disoccupazione (+62mila), in parte anche a causa della diminuzione delle donne inattive (-26mila). Considerando un orizzonte più ampio (figura 3), benché il tasso di occupazione femminile sia ancora lontano da quello dei nostri partner europei – con differenziali che si mantengono stabili a circa 14 punti percentuali –, negli ultimi anni ha conosciuto un andamento nel complesso positivo, con risultati migliori rispetto a quelli maschili.

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Fonte: Istat

Se poi consideriamo la segmentazione per fasce d’età, dopo gli anni della crisi particolarmente negativi per i più giovani, osserviamo un miglioramento della situazione occupazionale degli under-24 e un relativo peggioramento di quella degli over-50. Su base annua, il tasso di disoccupazione giovanile è sceso del 2,8 per cento – assestandosi a quota 35,5 per cento –, con una diminuzione particolarmente importante se paragonata a quella che pur si osserva nelle altre fasce di età, ad eccezione degli over-50 dove il dato è invece in crescita (+0,8 per cento). Tale aumento – ancora più evidente se ripulito dalle dinamiche demografiche – si accompagna a dati decisamente positivi sul fronte dell’occupazione: +0,3 per cento su base mensile e +1 per cento su base annua. Questi trend, a prima vista contrastanti, possono essere letti alla luce dei recenti interventi in ambito pensionistico, i quali hanno portato a un incremento del tasso di occupazione fra i più anziani – che rimangono più a lungo sul posto di lavoro –, accentuando però ulteriormente le difficoltà che questi hanno nel trovare un nuovo impiego quando lo perdono.

Flussi e qualità dei posti di lavoro

Se guardiamo i flussi e la qualità dei posti di lavoro, nei primi sei mesi del 2017 sono stati attivati circa 3milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro: il 66 per cento di questi con un contratto a termine e circa il 18 per cento tramite un contratto a tempo indeterminato. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, il numero di assunzioni a tempo indeterminato è sceso del 3,8 per cento, con un incremento delle assunzioni a tempo determinato del 27 per cento. Considerando la differenza tra attivazioni (alle quali, per quanto riguarda il tempo indeterminato, si sommano le trasformazioni) e cessazioni, nei sei mesi considerati si è registrato un saldo positivo di circa 32mila unità a tempo indeterminato e 648mila unità a tempo determinato, con numeri in calo nel primo caso e in crescita nel secondo. Nel complesso, i dati confermano un consolidato ritorno a forme di lavoro precario, che le decontribuzioni inizialmente previste dal Jobs act avevano provato a frenare.

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Fonte: Inps

Parallelamente, aumentano del 5 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno le trasformazioni di contratti precari in contratti stabili. Una tendenza che, benché lontana dai numeri che avevano caratterizzato gli sgravi del 2015, è sicuramente positiva e fa ben sperare per un utilizzo dei contratti a termine più in linea con le ragioni della loro introduzione: una valutazione delle competenze del lavoratore e una successiva stabilizzazione del contratto, o meno. Occorre però considerare come il contratto unico a tutele crescenti, tra gli altri obiettivi, aveva proprio quello di incorporare al suo interno il periodo di prova; i risultati su questo fronte sembrano essere quindi ancora poco incoraggianti.

Guardando infine alle nuove attivazioni per classi di età (figure 5 e 6), non mostrano particolari cambi di rotta: tra i giovani cala la percentuale degli assunti a tempo indeterminato e aumenta quella di coloro assunti con contratti precari. Nella fascia di età 30-49, diminuisce invece il numero di nuovi lavoratori a termine.

Fonte: Inps

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La lunga estate calda dei giganti della rete

  1. I miei nipoti di 27 e 25 anni non hanno mai trovato un lavoro stabile più duraturo di qualche mese e sempre con forme di retribuzione al limite del lecito. Negli ultimi tempi subiscono forme contrattuali ridicole, a volte della durata di 3 giorni per volta. Stanno accumulando pochissimo o niente per la futura pensione. Mi pare che ci sia ben poco per essere ottimisti. Almeno in questa area (canavese e nord piemonte) la crisi occupazionale dei giovani diventa sempre più drammatica, e c’è da tremare per il futuro se l’automazione robotica peggiorerà ulteriormente le cose

  2. Michele

    Le statistiche italiane sulla disoccupazione alimentano solo la confusione. Quello che conta è U6 come calcolato da BLS negli USA e cioè: disoccupati + scoraggiati + marginally attached workers + lavoratori part-time involontari. Questi sì che un indice del disagio economico sociale realmente vissuto dalla gente.

  3. bob

    ..comprendo i compitini in classe, ma la realtà è ben diversa sia attuale e sia quella futura. Io per dirla con una battuta dico ” che il peggio deve ancora venire”. 40 anni di immobilismo e nanismo politico lo pagheranno almeno 3 generazioni

  4. Non sono d’accordo con uno dei punti dell’articolo, i contratti a tempo determinato non credo proprio che siano stati creati per una prima valutazione del dipendente, per questo da sempre c’è il periodo di prova, ma proprio per esigenze di impiego temporaneo.
    Se potessi dare un suggerimento farei costare leggeremte meno i contratti a termine che non vengono rinnovati (a posteriori, magari con uno sgravio dopo un anno) e aumenterei di molto il costo di quelli ripetitivi, anche del 20-30%, a mio parere avrebbe un effetto migliore degli sgravi tout court per le assunzioni a cui sta pensando il governo

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