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Così la ricerca economica aiuta a scegliere la legge elettorale

Si torna a parlare di riforma della legge elettorale. Meglio un sistema maggioritario o uno proporzionale? Per decidere non dobbiamo pensare solo alle conseguenze politiche, ma anche a quelle sull’economia, dalla spesa pubblica alla corruzione.

In attesa di una nuova legge elettorale

È ormai dal 2006 che in Italia si parla di riforma della legge elettorale. Alle ultime elezioni politiche del 2013 si è votato con la legge Calderoli, tristemente nota come “Porcellum”, approvata a maggioranza nel dicembre 2005 e poi giudicata in parte incostituzionale nel 2014. Senza ripercorrere la cronaca politica dell’ultimo decennio, basta dire che gli italiani non sanno ancora con quale legge elettorale voteranno alle prossime e imminenti elezioni politiche.

Il dibattito si è incentrato principalmente sulle conseguenze politiche delle possibili riforme, cioè su quale partito sarebbe favorito, su quale lista non supererebbe eventuali soglie di sbarramento e su quale sistema genererebbe governi più o meno longevi e stabili. La legge elettorale, tuttavia, non riguarda solo la politica. La letteratura economica ha evidenziato come i sistemi elettorali influiscano, tra le altre cose, sulla spesa pubblica e sulla corruzione. L’Italia ha un debito pubblico elevato, di cui i mercati hanno già in passato messo in discussione la solvibilità. La corruzione è probabilmente uno dei freni maggiori agli investimenti e alla crescita.

Sistemi elettorali, spesa pubblica e corruzione

Due lavori – il primo di Roberto Perotti, Gian Maria Milesi-Ferretti e Massimo Rostagno e il secondo di Torsten Persson e Guido Tabellini – mostrano entrambi che i sistemi elettorali più proporzionali inducono una maggiore spesa sociale (si intende la spesa pubblica aggregata per i sussidi alle persone fisiche) e una più alta spesa pubblica complessiva.

Una possibile spiegazione è legata alla maggiore frequenza dei governi di coalizione e al fatto che col sistema proporzionale tutti i voti contano allo stesso modo e i partiti tendono a fare scelte di spesa pubblica che permettano di ottenerne il maggior numero. Non intendiamo qui svolgere un’analisi su quale livello di spesa sia più desiderabile, ci limitiamo a spiegare come possono cambiare gli incentivi dei politici a seconda del sistema elettorale in vigore.

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Per quanto riguarda gli effetti sulla corruzione, Torsten Persson, Guido Tabellini e Francesco Trebbi studiano la relazione, su un campione di ottanta paesi, fra il livello di corruzione nello stato e alcuni aspetti del sistema elettorale, come il modo in cui il singolo parlamentare viene eletto e la grandezza media delle circoscrizioni. I risultati mostrano che l’elezione attraverso i collegi uninominali (circoscrizioni dove si elegge un solo parlamentare) riduce sensibilmente la corruzione rispetto a quella attraverso le liste. Lo stesso risultato producono, anche se in misura minore, i collegi elettorali comparativamente più grandi. Ciò può apparire contraddittorio perché sia i collegi piccoli sia quelli grandi ridurrebbero la corruzione. La spiegazione degli autori è che si tratta di due effetti distinti: i politici eletti nei collegi uninominali dipendono, per una eventuale rielezione, dal voto dei cittadini e sono quindi più soggetti allo scrutinio e alle scelte degli elettori. La corrispondenza diretta fra elettori ed eletti sembra rendere i politici meno corruttibili.

Il secondo risultato si spiega invece con il fatto che i collegi più grandi aumentano le probabilità di elezione dei candidati inesperti o meno conosciuti e quindi facilitano il ricambio della classe politica. Se ad esempio il sistema politico di un paese è dominato da una classe dirigente corrotta, un partito emergente con una forte pregiudiziale anti-corruzione avrebbe più facilità a entrare in parlamento con un sistema proporzionale. La capacità del proporzionale di rappresentare più fedelmente la situazione politica del paese può quindi costituire un deterrente alla corruzione della classe politica. I partiti piccoli o emergenti, a meno di non avere una presenza concentrata in alcune aree del territorio (come nel caso di partiti autonomisti o indipendentisti), tendono infatti a essere penalizzati dai collegi uninominali. È per questo che in Francia e Gran Bretagna i movimenti di Nigel Farage e Marine Le Pen sono ampiamente sottorappresentati in parlamento.

In breve, i collegi uninominali assicurano una corrispondenza forte fra elettori ed eletti ma, rispetto a un sistema più proporzionale, garantiscono meno contendibilità del potere politico.

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Un limite del lavoro di Personn, Tabellini e Trebbi è che non individua l’effetto sulla corruzione di aspetti molto dibattuti, come le preferenze e le liste bloccate. Tuttavia, a giudicare dai risultati così netti in favore dei collegi uninominali sembra che l’elezione tramite lista, bloccata o con le preferenze, incentivi comunque una maggiore corruzione.

Qual è dunque il sistema che abbassa la corruzione e migliora il livello e la composizione della spesa pubblica, il proporzionale o il maggioritario? Entrambi hanno caratteristiche apprezzabili e semplificare troppo la risposta non aiuta a capire. È utile invece favorire una più diffusa conoscenza dei risultati della ricerca economica sui sistemi elettorali perché ci consente di avere un dibattito politico più informato e, probabilmente, più interessante per i cittadini.

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  1. Savino

    Gli italiani hanno le idee chiarissime sulla necessità del maggioritario uninominale con collegi.
    Basta andarsi a rivedere le cifre del referendum del 1993.

  2. Henri Schmit

    Gli studi menzionati (Tabellini, Perotti & alii) sono utili strumenti di lotta politica contro il deficit e la corruzione, ma non convincono perché non provano quello che pretendono dimostrare. Come spiegare che due paesi con leggi elettorali rigorosamente proporzionali come la D, i NL, la SF e la CH sono virtuosi sotto i due profili menzionati? La ricerca (economica?) farebbe bene guardare in un’altra direzione, quella degli studi logici di Kenneth Arrow sulla scelta collettiva (e democratica) razionale. Solo l’assioma dell’indipendenza del risultato da alternative irrilevanti crea le aporie del modello che comunque è la base (normativa) di qualsiasi procedura elettorale razionale e democratica. Invece di usare parametri poco precisi (maggioritario e proporzionale?) o poco rilevanti (dimensione del collegio), i ricercatori potrebbero scegliere altri concetti precisi forse più determinanti nel campo delle politiche economiche (controllo della spesa, corruzione, altre inefficienze). Un criterio da verificare è se il sistema elettorale rispetta gli assiomi del teorema di Arrow, la scelta libera e uguale di tutti gli elettori fra tutti i candidati liberi e uguali, l’assenza di scelta imposta o di gruppo di elettori con potere dei decisione dominante; il rispetto di questo criterio accomuna uninominale e liste libere. Una ricerca empirica forse confermerebbe l’intuizione che sono questi i criteri che favoriscono politiche economiche efficienti, benefiche alla maggioranza.

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