Le liste elettorali sono compatibili con la teoria democratica (e con la Costituzione) solo se non restringono in alcun modo il diritto degli elettori a scegliere i singoli eletti. Dunque, anche se sono solo parzialmente bloccate violano questo principio.
A cosa servono le liste
La Corte costituzionale ha censurato le ultime leggi elettorali per motivi riconducibili all’abuso delle liste. Eppure, le liste sono state utilizzate da tutte le leggi elettorali fin da quando in Italia c’è il suffragio universale (maschile). E anche l’attuale dibattito sul futuro sistema di voto è focalizzato sul dilemma fra stabilità del governo ed equa rappresentazione dei partiti, che si pretende di superare ancora una volta con un uso mirato delle liste. Ma le liste non sono strumenti indispensabili. Le tre grandi democrazie storiche – Inghilterra, Stati Uniti e Francia – eleggono i loro rappresentanti in collegi uninominali. Anche in questi paesi il voto rigorosamente individuale è comunque determinato in larga misura da considerazioni attinenti agli schieramenti politici. Esistono pure sistemi a riparto proporzionale senza liste, come in Irlanda. Benché numerosi paesi votino con sistemi di lista, queste non sono necessarie né per eleggere democraticamente un’assemblea legislativa, né per ripartire i seggi proporzionalmente fra schieramenti più o meno coesi.
Per valutare la conformità della normativa elettorale la Corte nelle ultime sentenze 1/2014 e 35/2017 non invoca solo i diritti elettorali individuali garantiti dalla Costituzione, ma si riferisce anche al compito che la Costituzione assegna al parlamento e ai partiti.
Le liste elettorali, ignorate dalla Costituzione, sono strumenti creati dalla legge elettorale per determinare il voto e l’assegnazione dei seggi anche in base allo schieramento politico.
Mentre nei sistemi uninominali il voto è unificato (tutte le valutazioni sono fuse in una sola preferenza), l’elezione con liste equivale a un doppio voto, uno per il candidato e uno per la lista.
La natura per definizione duale del voto di lista permette tecnicamente tre soluzioni: la preferenza di lista può essere una seconda valenza del voto individuale, usata per ripartire i seggi (come in Svizzera e in Finlandia); può essere il voto principale separato dalla preferenza individuale facoltativa (soluzione tradizionale in Italia e in Germania); o può essere il voto esclusivo trascinando con sé una determinata scelta individuale (come accade con liste bloccate). La prevalenza del voto di lista permette un’infinità di graduazioni che lasciano un’incidenza più o meno rilevante alla preferenza individuale.
Le questioni più delicate riguardano la finalità dell’elezione del parlamento e il ruolo dei partiti.
La risposta è fornita dalla teoria della rappresentanza democratica che suppone un rapporto fra due insiemi di individui liberi e uguali: il corpo elettorale e l’assemblea rappresentativa, che agisce per il popolo sovrano troppo numeroso, poco disponibile e spesso poco preparato per decidere direttamente. I corollari democratici della teoria sono il suffragio universale, il voto libero e uguale, preferibilmente diretto; l’uguale e libero accesso di tutti alle candidature (queste condizioni corrispondono a quattro dei cinque assiomi del teorema d’impossibilità di Kenneth Arrow); e infine il libero mandato, che garantisce ai membri del parlamento il diritto di proporre, discutere e votare le leggi pubblicamente, in condizioni di libertà e di uguaglianza.
La finalità dell’elezione di un’assemblea rappresentativa non assomiglia alla scelta di un capo, di una squadra di governo coesa o di un programma prestabilito, ma consiste nella riproduzione in un insieme di limitata dimensione delle condizioni democratiche che valgono idealmente per l’intero popolo. Non è necessario replicare presunte (infinite e variabili) differenze presenti nel corpo elettorale. Se devono legiferare (prendere iniziative, dibattere e decidere) è preferibile che gli eletti siano capaci. In questa logica, i partiti sono semplici associazioni e le loro prerogative non possono prevalere sui diritti dei cittadini.
Liste libere e principi della rappresentanza democratica
Nell’ultima sentenza la Corte avanza un’interpretazione del ruolo dei partiti che da associazioni libere e strumentali divengono soggetti istituzionali indispensabili per esercitare i diritti politici. Di conseguenza, godono del diritto di essere equamente rappresentati e di nominare loro – a certe condizioni – gli eletti. Le due tesi sono entrambe inaccettabili.
Le liste elettorali sono compatibili con la teoria della rappresentanza democratica, inseparabile dalla teoria della scelta collettiva razionale, solo a condizione di rispettare i principi di libertà e di uguaglianza degli elettori, dei candidati e degli eletti, che valgono a prescindere dal coordinamento politico. Dunque L’unico sistema compatibile con la teoria classica è quello in cui la lista è uno strumento che non inficia in alcun modo la libertà e l’uguaglianza degli individui. I primi sistemi proporzionali ottocenteschi di “lista libera” (Ernest Naville, 1865, Ginevra) rispettavano queste condizioni. Oggi il modello più scrupoloso è quello finlandese, in cui l’unico voto individuale è contato anche per la lista.
Le sentenze 1/2014 e 35/2017 applicano questi principi con rigore per censurare il premio di maggioranza di lista senza soglia e il ballottaggio di lista senza apparentamenti fra i due turni, sostenendo che la possibilità di una lista di conquistare con una minoranza esigua di voti una maggioranza assoluta (presunta stabile) dei seggi viola i principi della rappresentanza democratica. La Corte è invece meno rigorosa sull’altro versante, permettendo che candidature bloccate o privilegiate presentate in liste proposte dai partiti possano prevalere sulle preferenze espresse dagli elettori, a condizione che la restrizione non si applichi a tutti gli eletti o che le liste siano brevi, in modo tale che tutti i candidati siano individualmente conoscibili dagli elettori.
L’ultima proposta di legge elettorale riflette cinicamente le condizioni permissive di questa giurisprudenza.
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bob
Henri Schmit c’è una anomalia tutta Italiana che non consente quello che Lei auspica: in Italia si vive di politica dalla Stato centrale all’ultima circoscrizione. Già essere consigliere di circoscrizione di una piccola città è un obiettivo ambito un vero e proprio “lavoro che aiuta” . Questa cultura perversa che si è consolidata soprattutto negli ultimi 30 anni bisogna eliminarla e poi possiamo parlare di quale sistema adottare. Ma finche la politica “sfama” nessuno si toglierà il cibo dalla mangiatoia. Nell’ultima tornata per le elezioni di una importante città del Nord a sostenere la lista di un canditato sindaco c’erano oltre 20 liste d’appoggio ( termine coniato per aggirare il vosto di scambio). In certe liste c’erano madre, padre, figlia cugini e parenti vari che in alcuni casi hanno portato al capolista vincente non più di 70 voti. Ma la mattina dopo con la mano tesa a mo’ di mendicante erano davanti alla porta del municipio, un presidente lì, un consigliere là, non si nega a nessuno. Tant’è che, nel caso specifico, alla formazione della Giunta si sono dovuti inventare due Assessorati per soddisfare “la richiesta” (non le dico che Assessorati altrimenti anche il grande Eduardo si rigira nella tomba). Le regole e le leggi tengono su fondamenta culturali forti…cosa che noi non abbiamo.
Henri Schmit
So bene in che paese viviamo. La cultura del clientelismo e delle carte truccate è riflessa negli ultimi modelli elettorali, incluso quello ora discusso in parlamento: le liste bloccate, introdotte nel 2005, censurate tardivamente e mollemente dalla Corte costituzionale, servono ai capi dei grandi partiti (e movimenti!), perfettamente allineati e concordi su questo punto, di comandare loro 1. le candidature, 2. le elezioni, 3. gli eletti e 4. quindi le elargizioni di denaro pubblico.
bob
..una crisi strutturale si affronta e si risolve …una crisi culturale incancrenita da 40 anni ci vuole una rivoluzione
Federico Leva
Sul metodo finlandese c’è da dire che ho assistito a qualche recente campagna elettorale (per esempio le elezioni locali a Helsinki) e la situazione non è chiarissima. Su tutta la propaganda elettorale anche in rete campeggia il numero corrispondente al candidato, che va ricordato per votare (e può essere a quattro cifre).
Quando poi ho chiesto a varie persone che cosa succede se il loro candidato non viene eletto, c’era parecchia confusione. Inoltre c’è chi si candida come indipendente e quindi segue regole diverse, su cui ho riscontrato ancora meno chiarezza.
Henri Schmit
Non difendo il sistema elettorale SF (che non mi convince affatto), ma sostengo che nell’ipotesi di un sistema proporzionale di lista, la soluzione SF è per le modalità del voto (l’elettore esprime un solo voto individuale) e di assegnazione dei seggi (riparto per liste e precedenza fra candidati) quella più rispettosa dei diritti elettorali indivduali. Un sistema similare è utilizzato dal 1919 in CH e in LX, solo che il numero di voti per elettore è pari a quello dei seggi del collegio (c’è pure la possibilità di cumulo e di panachage). La caratteristica comune dei tre paesi è il riparto per collegio, senza correzione nazionale; i collegi disuguali, alcuni molto grandi, causano purtroppo una notevole frammentazione del Parlamento. Agli arbori del voto proporzionale questi sistemi erano conosciuti e utilizzati in vari cantoni svizzeri e Laender tedeschi; tuttora in Baviera, a Amburgo e a Brema. In Germania alcuni accademici propongono una soluzione similare a quella finlandese per eliminare le liste bloccate, contestate come anti-democratiche da ormai più di 50 anni (V. von Prittwitz: https://www.bpb.de/apuz/27211/vollstaendig-personalisierte-verhaeltniswahl?p=all). Perché l’Italia deve scimmiottare i difetti degli altri senza replicarne le virtù?
CARLO FUSARO
Che l’Autore di questo articolo sia rimasto all’Ottocento è una sua scelta che va rispettata. Mi fa specie che trovi ospitalità su questo sito che fa dello spirito critico la sua caratteristica migliore. Quanto scrive è del tutto fuori dalla realtà di qualsiasi sistema democratico moderno, inclusa la Finlandia che scomoda inutilmente. Soprattutto però è al di fuori di qualsiasi idea di come funzionino i moderni regimi parlamentari, che si caratterizzano – fra l’altro, in virtù della loro stessa natura – per fondarsi (necessariamente) su maggioranze parlamentari, possibilmente solide e ragionevolmente stabili. Ciò impone a sua volta che le elezioni non siano finalizzate solo a produrre rappresentanza ma anche governo. Senza di che, alla lunga, non possono funzionare e finiscono con il ricorrere a supplenze di vario genere e natura. Il caso italiano ne è un efficace esempio. Lasciamo stare perciò questa retrograda guerra alle liste e proviamo a dotarci di una legislazione elettorale che assecondi una buona volta il decente funzionamento del regime parlamentare. In alternativa abituiamoci all’idea che lo dovremo abbandonare.
bob
“Lasciamo stare perciò questa retrograda guerra alle liste e proviamo a dotarci di una legislazione elettorale che assecondi una buona volta il decente funzionamento del regime parlamentare” ! Quale?
Henri Schmit
Difendo quello che in questo paese sembra ormai un lusso rinunciabile: la libertà degli elettori di scegliere loro chi sarà eletto. Nessun’altra soluzione è compatibile con i principi democratici, sanciti dalla Costituzione. Se la legge elettorale prevede liste, devono essere libere, con voto individuale come in Finlandia o in Svizzera, se no (ma la soluzione è più debole) con una preferenza che completa il voto di lista. Ha ragione Carlo Fusaro, queste soluzione erano già conosciute (e rispettate da chi faceva ricerca e pubblicava) nell’800. Per favorire la formazione di una maggioranza, la soluzione compatibile con le libertà individuali consiste in piccoli collegi, senza correzione nazionale. Il collegio più piccolo è uninominale. Il doppio turno proposto già alla fine del 700 (da Condorcet) corregge i difetti più gravi della maggioranza relativa. Il modello francese può essere copiato tale quale.
Henri Schmit
A sostegno della mia analisi rinvio allo standard parlamentare (iniziativa, discussione e decisione) britannico: ieri 13 dicembre 7 deputati della maggioranza hanno proposto e votato con l’opposizione (contro il governo e contro la linea del partito conservatore) una mozione che costringe il governo a far approvare dai due rami del Parlamento sia l’accordo definitivo di uscita dall’UE sia l’accordo che definirà le relazioni future fra UK e UE. L’episodio illustra il significato e l’importanza del libero mandato, sancito dall’art. 67 e indissociabile da un’elezione individuale. Chi contesta la mia argomentazione difendendo liste rigide e bloccate in sistemi proporzionali (quella vigente) o iper-maggioritari (Procellum, Italicum, “majority-assuring” secondo C. Fusaro) e condividendo la retorica convergente di Berlusconi, Renzi e Grillo (manca spazio per precisare) che trasforma i deputati in marionette di qualcuno (in apparenza del “popolo sovrano”, di fatto dei capi-padroni dei partiti e movimenti), NEGA il libero mandato e trascina le istituzioni italiane fuori dall’ideologia liberal-democratica che regge il costituzionalismo occidentale da oltre 200, forse 300 anni. La mia non è una “retrograda guerra alle liste” ma la difesa di un principio fondamentale del nostro ordinamento, la libera scelta di rappresentanti liberi, CON O SENZA LISTE, dagli elettori e da loro soli. La ricerca accademica, la giurisprudenza e la dottrina costituzionale sottovalutano questi principi.