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Più premi e meno brevetti sui farmaci innovativi

I brevetti sui farmaci innovativi salvaguardano gli investimenti. Però determinano prezzi elevati che ne limitano l’accessibilità. La soluzione potrebbe consistere in un sistema a premi a livello globale per il finanziamento pubblico della ricerca.

Il prezzo dell’innovazione

Il prezzo elevato di alcuni farmaci comporta spesso problemi rispetto alla loro accessibilità. Ad esempio, l’alto costo dei nuovi antivirali diretti per l’epatite C ha determinato in Italia il contingentamento del numero di terapie che il Servizio sanitario nazionale è in grado di rimborsare. I farmaci oncologici rappresentano un altro esempio ben conosciuto per quanto riguarda la spesa elevata e i limiti all’accesso. Esiste un vivace dibattito su quali siano i costi medi di ricerca e sviluppo sui farmaci e quindi su quali criteri debbano essere usati per definirne un loro “giusto” prezzo sul mercato.

Spesso si sottolinea come i costi non giustifichino l’attuale livello dei prezzi: ad esempio è stato calcolato che il costo mediano per sviluppare un farmaco oncologico è di circa 650 milioni di dollari, contro un ricavo mediano di circa 1 miliardo e 650 milioni. Una volta stabilito, il prezzo è al riparo dai meccanismi della concorrenza per molti anni grazie alla copertura brevettuale che garantisce il monopolio nella produzione e ricavi che sono poi in parte reinvestiti in ricerca. Ma la copertura brevettuale determina spesso livelli di prezzo difficilmente sostenibili anche nei paesi più abbienti.

Si tratta di un sistema inefficiente perché incentiva l’investimento di risorse anche in ricerche dal limitato valore aggiunto (ad esempio per i cosiddetti farmaci “me-too”) e perché, essendo fondato sulla segretezza, non facilita l’utilizzo da parte di tutti i ricercatori dei risultati di tutte le ricerche precedenti per lo sviluppo di quelle successive.

Verso un sistema più efficiente

Sarebbe necessario un sistema più efficiente, che incentivi chi fa ricerca e sviluppo i farmaci senza la necessità (o la possibilità) di usare la leva dei prezzi, così da facilitare l’accesso alle terapie. E le proposte in tal senso non mancano. Come ha spiegato James Love in un recente convegno, il loro denominatore comune è l’utilizzo di premi all’innovazione, attraverso la creazione di vari tipi di fondi di ricerca a livello globale con il contributo dei governi (vedi box).

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Si tratterebbe dunque di un finanziamento pubblico di ricerche realizzate (come adesso) da aziende farmaceutiche e da istituzioni pubbliche. Di fatto, i sistemi premianti dovrebbero sostituire – o quanto meno limitare – la copertura brevettuale come incentivo alle attività di ricerca e sviluppo. Ad esempio, il prezzo dei farmaci contro l’epatite C, che in Italia era inizialmente di alcune decine di migliaia di euro per ciclo di terapia, si avvicinerebbe ai costi di produzione (circa 100-200 euro) perché, venendo a mancare la copertura brevettuale, tutte le aziende farmaceutiche avrebbero il permesso di produrli, mentre quelle scopritrici riceverebbero premi più o meno consistenti (a seconda del grado di innovazione) attraverso fondi di ricerca.

È ciò che gli addetti ai lavori chiamano “delinking”, ovvero l’eliminazione del legame (link) tra prezzi dei farmaci e incentivazione alla ricerca. Bernie Sanders ha presentato un disegno di legge presso il Senato americano, sostenuto anche dal premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz. L’Organizzazione mondiale della sanità, in un documento di indirizzo su innovazione e proprietà intellettuale, fa esplicito riferimento al delinking, così come fanno le Nazioni Unite in un rapporto sull’accesso ai farmaci (dove tra gli altri sono portati gli esempi dei farmaci per l’epatite C e degli antitumorali). Anche una risoluzione del Parlamento europeo del 2017 si esprime in tal senso.

All’accantonamento di fondi dovrebbe naturalmente contribuire un numero adeguato di stati. Bisognerebbe definire i criteri per decidere le quote che ciascuno stato dovrebbe mettere a disposizione (presumibilmente in relazione al Pil); le risorse dovrebbero essere poi distribuite attraverso varie possibili combinazioni dei criteri premianti e vanno considerati gli ostacoli costituiti dai trattati commerciali esistenti, come ad esempio l’accordo Trips (Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights) che rafforza e allarga le norme sulla protezione intellettuale.

Non bisogna poi dimenticare gli interessi dell’industria del farmaco. In un sistema “a premi” potrebbero esserci elementi favorevoli ai produttori, come ad esempio una riduzione delle spese di marketing e un aumento delle vendite. Ma possono essere sufficienti per rinunciare ai benefici della proprietà intellettuale? Sarebbe auspicabile testare i sistemi alternativi con uno studio di fattibilità. Esiste al riguardo la proposta, sostenuta da numerose organizzazioni, esperti di sanità pubblica ed economisti, di realizzare un fondo di ricerca sulle malattie tumorali.

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La necessità di un nuovo equilibrio legato alle pressioni demografiche e all’aumento dei costi dell’assistenza sanitaria renderà comunque necessario trovare i modi per rendere possibile una maggiore sostenibilità delle terapie.

 

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  1. Giovanni

    Bisogna vedere se “il cavallo industria del farmaco” vorrà bere. Il mettere in piedi un sistema internazionale di fondi per la ricerca anche se auspicabile mi sembra di molto difficile attuazione. Chi li gestisce, quale sarebbe la quota individuale, in base a quali criteri, chi controlla, cosa si ricerca??

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