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La legge di stabilità tra Governo e Parlamento

Dopo anni in cui aveva svolto un ruolo quasi notarile rispetto alle scelte del Governo, il Parlamento è tornato a essere decisivo nella definizione del testo finale della legge di stabilità. Senza modificare i saldi, ha apportato cambiamenti importanti sulle entrate.

QUALCOSA È CAMBIATO

L’approvazione della legge di stabilità 2013 è stata l’ultimo atto della legislatura e del governo Monti. Rispetto all’esperienza recente, emerge un dato di novità, con un sapore da Prima Repubblica: il ruolo centrale giocato dal Parlamento nel determinarne i contenuti. In tutti gli anni Duemila, al contrario, il Parlamento era stato confinato in un ruolo poco più che notarile, approvando manovre finanziarie il cui disegno originale e le modifiche, anche importanti, spesso intervenute nel corso della sessione autunnale di bilancio erano sempre di origine governativa.
È evidente come governo tecnico e maggioranza composita siano alla base della novità. Sarebbe quindi azzardato trarre indicazioni generali e concludere che siamo di fronte a un’inversione di tendenza nel rapporto tra Governo e Parlamento nel processo di bilancio. Tutto dipenderà dagli equilibri tra le forze politiche che emergeranno nella prossima legislatura. Per il momento, ci si può limitare a registrare quanto è avvenuto e far notare che l’esito del processo di bilancio quando il Parlamento gioca un ruolo non meramente formale non è necessariamente peggiore rispetto a situazioni in cui la scena è dominata dal Governo come unico attore.

DALLA PROPOSTA ALLA LEGGE

Vediamo allora come è cambiata la legge di stabilità 2013 dal testo originario a quello approvato. I dettagli sono esposti nelle tabelle.
Dal punto di vista dei saldi, il quadro è rimasto sostanzialmente invariato. Per il 2013 nel testo del Governo si prevedeva di utilizzare il margine di manovra ritenuto coerente con l’obiettivo del pareggio di bilancio in termini strutturali (secondo la Nota di aggiornamento al Def, la previsione tendenziale corrispondeva a un avanzo strutturale di 0,2 punti di Pil), determinando così un aumento del disavanzo, rispetto alla legislazione vigente, di 2,9 miliardi. La legge poi approvata riduce leggermente il maggiore disavanzo, portandolo a 2,3 miliardi. Riguardo alla composizione della manovra 2013 tra entrate e spese, si ritrova di nuovo una sostanziale corrispondenza tra testo iniziale e testo approvato. Lo stesso vale per i due anni successivi, 2014 e 2015, per i quali la manovra era e rimane a saldo zero.
Se si guarda alle misure concrete adottate, i cambiamenti sono invece profondi, soprattutto dal lato delle entrate. L’elemento cruciale della manovra presentata dal Governo era, per le entrate, una riforma dell’Irpef che, da un lato, prevedeva la riduzione di un punto delle aliquote dei primi due scaglioni di reddito e, dall’altro, un forte taglio a deduzioni e detrazioni per i redditi superiori a 15mila euro. Un progetto che pur andando nella direzione auspicabile di abbassare le aliquote e ampliare la base imponibile non era completamente chiaro nei contenuti e negli effetti distributivi. Vi erano poi, tra le misure principali, la parziale sterilizzazione dell’aumento di un punto delle aliquote Iva per il secondo semestre del 2013, l’introduzione della Tobin tax, la conferma per i prossimi anni dell’aumento delle accise sui carburanti originariamente deciso per finanziare la ricostruzione in Emilia e la proroga dell’agevolazione per la detassazione dei contratti di produttività. Nel testo approvato, la riforma dell’Irpef è stata eliminata e compare invece un aumento delle detrazioni per figli a carico. L’aumento dell’aliquota ridotta Iva (dal 10 all’11 per cento) è stato sterilizzato completamente (anche per gli anni successivi al 2013). È poi stata ulteriormente prorogata la detassazione dei contratti di produttività. La novità forse più importante, tra le misure di carattere tributario, è la riduzione dell’Irap, a partire dal 2014, attuata aumentando gli importi deducibili per ciascun lavoratore dipendente a tempo indeterminato.
Dal lato della spesa, le modifiche sono di minor rilievo. Restano, rispetto al testo presentato, i tagli a carico di Regioni, province e comuni e della sanità. Tuttavia, è stata modificata la disciplina del patto di stabilità interno; riguardo alla sanità, si è lasciata alle Regioni una maggiore flessibilità; è cambiata la destinazione del gettito Imu, attribuito ora interamente ai comuni a esclusione di quello relativo agli immobili strumentali delle imprese.
Passando alla spesa centrale, è stata ampliata la platea degli esodati (riforma delle pensioni). Sono state incrementate le risorse del fondo per le politiche sociali e di quello per le non autosufficienze. Sono state soppresse le norme che aumentavano l’orario degli insegnanti. Molte altre norme in materia di spesa sono comunque rimaste immutate: il finanziamento per il trasporto pubblico locale, i finanziamenti a investimenti pubblici (Rete ferroviaria italiana, Anas,Torino-Lione, Mose, eccetera).

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I MICRO-FINANZIAMENTI

È ricomparsa poi, per effetto delle modifiche di origine parlamentare, la categoria dei micro-interventi di spesa: dalle celebrazioni verdiane allo sviluppo dell’offerta turistica in Basilicata, dalla pedemontana piemontese all’ente giardini botanici Villa Taranto di Verbania. È la naturale conseguenza del ruolo maggiore svolto dal Parlamento in questa sessione di bilancio. Da un punto di vista estetico certamente non è elegante ritrovare tra i commi della legge di stabilità accanto alla riduzione dell’Irap, il finanziamento per 300mila euro del castello di Udine. Va detto però che questo tipo di finanziamenti dal bilancio dello Stato non ha mai smesso di esistere, usando come veicolo la ripartizione successiva all’approvazione della legge finanziaria di fondi a destinazione generica o le cosiddette “leggi mancia”. Non è certo un fenomeno solo italiano, dopo tutto gli americani hanno coniato il termine pork barrel proprio per indicarlo. Più importante è il ruolo relativo che Governo (e burocrazie ministeriali) da un lato e Parlamento (e interessi locali) dall’altro giocano nella sessione di bilancio nel determinare le grandi scelte allocative. Da questo punto di vista, la sessione 2013 presenta elementi di novità con i quali potremmo dover tornare a fare i conti nel futuro prossimo.

 

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  1. Ci troviamo, come sempre, di fronte all’assalto all’ultima diligenza.
    In merito, poi, alla miniriforma Irpef, abbassamento di aliquote e rimodulazione di detrazioni e deduzioni, l’argomento meriterà sicuramente una maggiore piattaforma contrattuale con tutti gli attori, attesane la fondata delicatezza per l’impatto che rappresenta.

  2. Charlie

    Davvero interessante, ma è utile far notare come il governo stesso conceda al parlamento la facoltà di discussione, perchè non arriva mai a blindare i provvedimenti abusando del ricorso alla fiducia.

  3. Francesco

    E gli ammortizzatori sociali eliminati non li nomina nessuno??? Dal 1° gennaio 2013 non esisterà più cassa integrazione per le aziende in liquidazione per cessazione di attività, anche nel caso in cui il personale sia reimpiegabile presso altre ditte che svolgessero la stessa tipologia di attività… E questo è stato sociale? Aumentano l’età pensionabile, con la conseguenza di aumentare il numero di disoccupati (sia tra i giovani che nella fascia 40-50) e tolgono anche gli ammortizzatori sociali…

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