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Mezzogiorno tra buone notizie e nuovi affanni

Nel biennio 2015-16 l’industria manifatturiera nelle regioni meridionali è tornata a crescere e sono aumentate le esportazioni. Non era scontato dopo la crisi. Però altri segnali sono estremamente preoccupanti. Per esempio, quelli sulla demografia.

Le buone notizie

Qualche buona notizia, ma persistenti preoccupazioni strutturali: si potrebbe riassumere così il Rapporto della Svimez sul Mezzogiorno appena presentato. Esemplifichiamole entrambe guardando, per ciascuna, a uno specifico aspetto: il manifatturiero da un lato, la demografia dall’altro.

Nel biennio 2015-16 l’industria manifatturiera nelle regioni meridionali ha mostrato importanti segnali positivi: il prodotto è cresciuto di oltre 7 punti, l’anno scorso sono aumentati anche l’occupazione (1,4 per cento) e, vivacemente, gli investimenti.

Certo, i dati vanno messi in prospettiva; vengono dopo la caduta di un terzo del prodotto industriale fra il 2008 e il 2014, e una riduzione di duecentomila occupati: dati entrambi molto peggiori delle già cattive medie nazionali; e a partire da un momento, il 2008, in cui il manifatturiero aveva un peso assai contenuto sul valore aggiunto totale. Ma anche per questi motivi, con la scomparsa delle imprese e la distruzione di capacità produttiva che c’è stata, la ripresa non era affatto scontata. Evidentemente, anche al Sud la crisi è stata molto selettiva: si può ipotizzare (in attesa di analisi che ne diano conferma) che siano sopravvissute le imprese più forti, capaci di competere non solo sui mercati locali, ma anche su quelli internazionali (e infatti crescono anche le esportazioni). Sappiamo che le produzioni del Mezzogiorno hanno un peso significativo su alcuni importanti comparti industriali del paese: l’auto e la siderurgia, ma anche l’aeronautica e, in misura minore, la farmaceutica. Sappiamo anche che ha tenuto molto bene l’industria agroalimentare e che all’interno dei settori di beni tradizionali di consumo sono emerse imprese più strutturate e internazionalizzate; appaiono anche piccole e medie imprese ad alta tecnologia. Il messaggio di questi dati è importante: persino dopo tanti anni di crisi, e nel pieno di una competizione internazionale vivacissima, produzioni industriali provenienti dal Sud sono competitive. Meritano analisi approfondite, sulle loro storie, su ciò che le contraddistingue, sull’eterogeneità delle imprese (i livelli medi di produttività nel manifatturiero sono del 30 per cento inferiori ai dati nazionali). L’estensione di questo ancor piccolo nucleo di “settore esportatore”, fatto da imprese manifatturiere e di servizi capaci di vendere i propri prodotti al di là della domanda locale, rimane l’unica opzione ragionevole di sviluppo autonomo dell’area.

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Una preoccupante demografia

Intanto, però, altri segnali che vengono dalle regioni del Sud sono estremamente preoccupanti. I dati della demografia sono evidenti. La popolazione complessiva decresce e, stando alle attuali previsioni, continuerà a farlo, a causa delle dinamiche naturali e migratorie. Sul primo fronte, la natalità è molto bassa e quindi la popolazione non solo si riduce, ma invecchia sensibilmente, con tendenze all’aumento dell’indice di dipendenza strutturale: sempre meno meridionali in età di lavoro dovranno mantenere gli altri, in un’area dove oggi il tasso di occupazione è al 47 per cento contro il 69 per cento del Centro-Nord.

Sul secondo fronte, arrivano pochi immigrati (sono il 10,6 per cento della popolazione al Centro-Nord e il 4 per cento al Sud) e sono sensibili le emigrazioni verso il resto del paese e l’estero, specie di giovani; il saldo migratorio netto totale è negativo.

Nel 2002-15 sono emigrati 520mila giovani (15-34 anni), di cui 200mila laureati. Ciò comporta complessi problemi quantitativi (dimensione della domanda interna, gettito fiscale e sostenibilità dei servizi pubblici, domanda abitativa e valori immobiliari, solo per citarne alcuni) e qualitativi, dato che il capitale umano giovane e a maggior qualifica è componente essenziale per la crescita del “settore esportatore” di cui si diceva prima.

Bene tirare il fiato per la congiuntura: il rimbalzo non era scontato. Ma le tendenze non sembrano in accelerazione (stando alle previsioni 2017-18, si mantiene una crescita moderata), mentre la strada da compiere è ancora lunghissima. Mancano ancora ben 11 punti di Pil rispetto al 2008. Sarebbe opportuno tornare con più attenzione a riflettere sulle condizioni strutturali, sulle prospettive lunghe, sulle possibili azioni.

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  1. Salvatore

    Qualcuno si è accorto che rispetto a 10 anni fa il lavoro viene pagato il 30% in meno ed è al 94% PRECARIO?
    Che esiste il LAVORO A CHIAMATA vale a dire CAPORALATO LEGALIZZATO?
    Che aspettate a pagare IL DOPPIO il lavoro a tempo determinato?
    Ci vuole un genio per capire queste cose?

  2. Savino

    Il problema demografico è presto detto: mentre il meridonale di una certa età, che ha sempre fatto il Checco Zalone di turno, aspetta solo il ritorno dell’assistenzialismo stile dc grazie a Di Maio, al giovane meridionale, che ha studiato, conosce l’andamento del mondo globale, conosce tecnologie e lingue straniere, non resta che mettere a frutto le proprie competenze e potenzialità altrove.

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