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Web tax all’italiana, purché non sia un boomerang

La web tax italiana è mossa dall’intenzione di anticipare soluzioni necessarie e urgenti. Per non cadere nella discriminazione verso gli istituti stranieri, rischia però di innescare un’autolesionistica disintermediazione del sistema bancario nazionale.

Due prelievi diversi

La web tax approvata dalla Commissione bilancio del Senato è un’imposta sulle prestazioni di servizi digitali rese nei confronti di imprese residenti (sono escluse, per ora, le transazioni business-to-consumer): alla base imponibile, pari ai corrispettivi dei servizi, si applicherà l’aliquota del 6 per cento.

Molti osservatori hanno notato le criticità del tributo, per l’indeterminatezza del presupposto (si demanda a un decreto ministeriale l’individuazione dei servizi tassabili), il rischio di traslazione sugli acquirenti italiani, il timore per un trattamento discriminatorio dei fornitori non residenti.

Per evitare quest’ultimo problema, l’ambito del prelievo è stato esteso al di là delle intenzioni originarie: l’imposta troverà infatti applicazione indipendentemente dalla residenza del prestatore, ed è riferibile sia a fornitori residenti (o a stabili organizzazioni italiane di società non residenti) sia a fornitori esteri, così da scongiurare il rischio di illegittimità comunitaria per violazione del divieto di discriminazione. O almeno questo è ciò che auspicano gli estensori della norma.

I meccanismi dell’istituenda imposta sulle transazioni digitali finiscono tuttavia per disegnare due prelievi assai diversi tra loro: per i prestatori residenti, è dovuta in autoliquidazione e funziona alla stregua di un acconto scomputabile dalle imposte sui redditi (comma 13: “l’imposta è corrisposta mediante versamento diretto (…)”; comma 14: “Ai soggetti che effettuano le prestazioni di servizi (…) spetta un credito di imposta (…) utilizzabile ai fini dei versamenti delle imposte sui redditi”). Per i non residenti, invece, l’imposta sui servizi digitali darà luogo a un prelievo dal carattere definitivo, a un’accisa sui ricavi (assimilabile a un dazio) non scomputabile dall’Ires, cui i non residenti non sono di norma assoggettati, né dalle imposte sui redditi dovute nello stato di origine, dato che la web tax italiana sui ricavi non è un’imposta sul reddito e non darà quindi origine a crediti per imposte estere. Il diverso impatto del tributo nei confronti delle imprese non residenti potrebbe dunque non superare il vaglio comunitario che la norma dovrà affrontare.

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La scelta dell’intermediario

Ma l’elemento rimasto finora più in ombra riguarda le innovative modalità di applicazione del prelievo nei confronti dei soggetti non residenti, per i quali non opera l’autoliquidazione. La legge delinea infatti, in modo univoco, un percorso diverso: per il comma 13 “l’imposta è corrisposta dai soggetti non residenti (…) con le modalità previste dal comma 15”, e quest’ultimo introduce una ritenuta a titolo d’imposta che dovrà essere applicata dagli intermediari finanziari abilitati a operare in Italia, incaricati del pagamento dei corrispettivi.

La formula usata al riguardo (“I corrispettivi derivanti dalle prestazioni (…) rese da soggetti non residenti (…) sono pagati mediante utilizzo di intermediari finanziari (…) e sono assoggettati a imposizione mediante ritenuta”) non si può leggere come un obbligo di utilizzo del canale bancario italiano, perché una interpretazione del genere sarebbe in contrasto con la libertà di iniziativa economica e con le libertà fondamentali dell’UE (libera prestazione dei servizi e libera circolazione dei capitali).

In ogni caso, la norma non prevede specifiche sanzioni a carico delle imprese italiane che decideranno di avvalersi di banche estere per pagare le proprie controparti non residenti (il comma 16 rinvia alle sanzioni in materia di imposte sui redditi, ove però non vi sono previsioni sanzionatorie per la fattispecie). Si potrebbe forse pensare a modificare la norma, subordinando la deducibilità del costo al pagamento mediante bonifico in partenza da banca italiana, ma anche così si finirebbe indirettamente per discriminare gli istituti esteri.

La web tax sui servizi resi da imprese estere potrebbe dunque trasformarsi in un tributo “volontario”, che dipende dalle scelte dell’acquirente in ordine ai canali (italiani o esteri) di pagamento: nel caso di intermediari esteri la mancanza di un sostituto d’imposta renderà infatti inapplicabile il prelievo.

È vero che, se applicata grazie all’uso di banche italiane quali intermediari, la ritenuta decurterebbe i compensi incassati dal fornitore estero, lasciando indifferente il cliente italiano; sarebbe tuttavia agevole per il fornitore traslare il peso del tributo sull’acquirente attraverso una clausola contrattuale che metta a suo carico gli oneri connessi alla transazione.

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L’imposta potrebbe perciò assumere i connotati di una “commissione bancaria occulta” per l’uso di servizi di pagamento resi da banche domestiche, evitabile operando attraverso conti esteri.

Pur mossa dalla lodevole intenzione di anticipare soluzioni condivise a livello internazionale, assolutamente necessarie e urgenti, la web tax italiana rischia dunque di innescare soltanto un’autolesionistica disintermediazione del sistema bancario nazionale.

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Il Punto

  1. Michele

    Un pasticcio inapplicabile, fonte di contenzioso. E per ottenere cosa? Una modestissima entrata annua di € 114 milioni, nelle previsioni governative sicuramente sovrastimate. Alla fine si capisce bene di cosa si tratta: solo propaganda elettorale, sabbia negli occhi degli elettori unicamente a fini elettorali, per poter dire abbiamo tassato (114 milioni?) le perfide multinazionali. Passate le elezioni si constaterà che così come impostata non se ne può fare nulla e verra dimenticata.

  2. Henri Schmit

    Analisi critica interessante. Se “per i non residenti … l’imposta sui servizi digitali darà luogo a un prelievo dal carattere definitivo, a un’accisa sui ricavi (assimilabile a un dazio) non scomputabile dall’Ires, cui i non residenti non sono di norma assoggettati, né dalle imposte sui redditi dovute nello stato di origine, dato che la web tax italiana sui ricavi non è un’imposta sul reddito e non darà quindi origine a crediti per imposte estere”, sarebbe grave, perché “il diverso impatto del tributo nei confronti delle imprese non residenti potrebbe … non superare il vaglio comunitario che la norma dovrà affrontare.” Non sarebbe ipotizzabile qualificarla come prelievo sostitutivo sul reddito consolidato? Si dovrebbe prevedere qualche meccanismo di rimborso a gruppi in perdita.

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