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Brexit, il tormentone infinito

La vita continua come prima nel Regno Unito. Il dibattito sulla Brexit mantiene toni aspri, mentre i negoziati con la Unione europea fanno pochi passi avanti e il governo sembra passare da una crisi all’altra, incapace di dare una visione al paese.

Un dibattito monotono

Continua monotono nel Regno Unito il dibattito sulla Brexit, ricco di insulti, scemenze e recriminazioni: da un lato i vituperati esperti – dalla Bank of England, all’agenzia indipendente per il bilancio pubblico, alla Confindustria, a gruppi di ricerca e accademici – contano i danni; dall’altro si domanda orwellianamente ad agenzie indipendenti di essere più ottimiste nelle previsioni economiche e di seguire con entusiasmo la volontà dell’elettorato, oppure si esulta per la prossima fine dell’imposizione di Bruxelles del marchio auricolare per i maiali, la cui assenza renderà questa leccornia ancor più esportabile in Cina. Il governo si dichiara innervosito dall’atteggiamento di Michel Barnier, il responsabile UE per i negoziati sulla Brexit, definito arrogante e inflessibile: ma il suo ruolo è quello di difendere gli interessi dei paesi che restano nell’UE, non di fare le fusa.

L’ostacolo maggiore che blocca il progresso delle trattative è quello del confine con l’Irlanda. Ci sono 275 passaggi stradali lungo il tortuoso percorso di 499 chilometri che separa l’Eire dall’Irlanda del Nord, più del doppio di quelli lungo la frontiera orientale della UE. Gli irlandesi del Sud e i repubblicani del Nord vogliono che rimanga l’attuale assoluta libertà di movimento (il motivo per cui l’Eire non è parte dell’area Schengen). Gli unionisti dell’Irlanda del Nord rifiutano altrettanto categoricamente un controllo di frontiera tra il loro paese e la Gran Bretagna.

Stando ai sondaggi, gli elettori mantengono in gran parte le scelte fatte alle urne un anno e mezzo fa, forse con un leggero spostamento contro la Brexit: certo non c’è il senso che il risultato del referendum vada ribaltato. In parte ciò è dovuto al fatto è che chi ha votato Brexit non tocca con mano quello che sarebbe successo se l’uscita dall’Unione europea fosse stata respinta al voto.

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L’Inghilterra vista da dentro

Intanto in Inghilterra, la vita quotidiana (“Benvenuti in Inghilterra. Istruzioni per l’uso ai tempi della Brexit”) continua più o meno inalterata. Il rito autunnale della legge finanziaria, presentata il 22 novembre in parlamento dal ministro dell’Economia Philip Hammond, genera fiumi di inchiostro. Come ogni anno, però, c’è molto fumo e poco arrosto. La maggior sorpresa è l’abolizione dell’imposta di registro per l’acquisto della prima casa. L’effetto netto sul mercato immobiliare sarà soprattutto un cambio nella composizione di chi acquisterà case: più giovani e meno famiglie che devono traslocare. Difficile immaginare che dia una sostanziale spinta al mercato.

Anche quando non si parla di Brexit, il governo sembra passare da una crisi all’altra, incapace di presentare una visione al paese. Un giorno vengono trovate immagini porno nel laptop di lavoro del vice-premier, un altro Donald Trump causa una crisi diplomatica riproducendo i tweet di un’organizzazione razzista inglese, poi la commissione per la giustizia sociale si dimette in massa, rifiutando di sostenere la finta pretesa dei tory di creare un paese in cui le opportunità di carriera e successo non dipendono dalle condizioni socio-economiche di nascita.

Anche i riti periodici del paese continuano: da quelli della famiglia reale, di recente in prima pagina per il fidanzamento del principe Harry, a quelli sportivi, con l’ampiamente previsto disastroso inizio per l’Inghilterra della sfida sportiva più antica del mondo, le cinque partite di cricket – di cinque giorni ciascuna – con gli storici nemici dell’Australia. Lo scrittore Luigi Meneghello sosteneva che “l’anima si anglicizza a tua insaputa”. Ed è probabilmente quello che accade alla mia anima, quando assaporo il piacere squisitamente inglese che dà visualizzare la posizione dei giocatori della partita di cricket, “tre slip, punto stupido, sul lungo, gamba quadrata, profondo, mezzo dentro, mezzo fuori”, descritta in dettaglio dai radiocronisti a ogni lancio di palla e a ogni risposta con la mazza.

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Le differenze tra italiani e inglesi restano tante, a partire da quelle tra le classi sociali, molto più esplicite (anche se ugualmente profonde) nel Regno Unito rispetto all’Italia. Di recente, il Daily Telegraph, quotidiano conservatore per eccellenza, ha criticato la Bbc non solo per gli attacchi al governo o per il poco rispetto per la monarchia, ma anche per l’errore in un dramma d’epoca in cui un’ospite adopera il cucchiaio del barattolo di marmellata per spalmarla sul suo pane tostato. Giuseppe Novello si sbizzarrirebbe se potesse visitare l’Inghilterra del 2017. Certo sono molto più ampie le differenze che separano gli “italiani” da “americani”, “cinesi” o “giapponesi”, ma Inghilterra e Italia continuano a essere diverse, nell’organizzazione scolastica, nell’atteggiamento verso il cibo, nella vita economica e nella classe politica, nelle case di abitazione, fino alle tradizioni e alle attività sportive.

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  1. Claudio

    Quel che mi colpisce di più nella pubblicistica sui giornali inglesi, anche sui più liberal come il Guardian, è il riscontrare che l’unico vero argomento pro o contro Brexit è quello economico e il richiamarsi ad un passato in cui non c’è futuro (l’Impero, il Commonwealth, la splendid isolation, il “we can manage it”, il “we don’t need them”). Francamente, ne esce fuori un’idea di Paese di piccolo-borghesi, di shopkeepers, penny-wise and pound-foolish, in presenza di una classe politica da un lato incapace di guidare il Paese e, dall’altro, pronta ad assecondare gli istinti della pancia di un popolo fatto (prevalentemente) di gentuccia.
    Per contro, infatti, mi sembra totalmente assente un riferimento all’idea di Europa, intesa come l’unione tra le nazioni più civili (in senso lato) del mondo che si contrapponga – pur tra mille contraddizioni – a quei pericolosi blocchi politici e militari che vediamo ogni giorno più chiaramente. La gran parte dei britannici e dei media non conoscono neppure l’esistenza del Manifesto di Ventotene.
    In ultima analisi, mi sembra che Brexit non sia altro che il prodotto della degenerazione di quel modello sociale e politico che il mondo civile ha faticosamente costruito negli ultimi settanta anni e che trova riscontro nella visione del mondo dei cugini statunitensi che hanno portato alla Casa Bianca un energumeno, un “trigger-happy”, un piromane – l’ultima trovata su Gerusalemme è illuminante.
    Ma che i britannici non siano veramente europei?

    • bob

      ..la Storia spesso lascia cicatrici profonde che nessun medico (statista – politico) riesce a far scomparire soprattutto se sono recenti ( e per la Storia 300 anni sono secondi) . I britannici non sono europei e l’orgoglio del loro passato ha prevalso. Giusto? Sbagliato? Ai posteri l’ardua sentenza…ma se dovessimo analizzare i dati che la Storia ci ha consegnato….tra pochi anni non più isola ….ma modesto condominio!

  2. EzioP1

    Come sostiene “Politico”, edizione europea, gli UK mirano a diventare l’hub dei servizi finanziari di tutta la UE. In tal senso già hanno avviato detti servizi per i rapporti tra USA e Cina. Da notare che essendo stati in questo tipo di affari per gli stati UE hanno nel campo una rilevante esperienza. Se la UE con Bruxelles non si svegliano tra qualche anno saremo dominati con il pieno successo della Brexit dagli UK.

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