L’unità di intenti tra Cgil e Pci (e i suoi eredi) si è interrotta da tempo. Ma ora la frattura può rivitalizzare la concertazione, almeno con le parti sociali moderate. Per il sindacato è un passo avanti rispetto all’unilateralismo degli ultimi anni.
Quando la cinghia di trasmissione funzionava
La sconfitta elettorale subita dal Partito democratico in Sicilia ha riacceso le critiche nei confronti di Matteo Renzi, accusato di aver annacquato il bagaglio ideologico del Pd perdendo voti a sinistra senza riuscire a conquistare l’elettorato moderato. Il primo passo in questa direzione, secondo la ex minoranza del partito, fu la scelta di approvare il Jobs act senza coinvolgere le sigle sindacali, rompendo così il tradizionale legame tra Pd e sindacato.
Ma siamo davvero sicuri che sia stato Renzi ad allontanare irrimediabilmente il principale partito di centro-sinistra dal sindacato? Una nostra recente analisi pubblicata su South European Society & Politics offre una risposta. Attraverso uno schema di codifica manuale largamente utilizzato in scienza politica, abbiamo analizzato il contenuto delle mozioni congressuali dei sindacati, classificando ciascuna frase in una categoria di policy riconducibile a posizioni di destra, di sinistra o neutre, stimando così le rispettive preferenze ideologiche. Mettendo in relazione questi dati con le posizioni espresse in parlamento, abbiamo mappato il rapporto partiti-sindacati in Italia, dal 1946 a oggi, su una scala sinistra-destra che va da -100 a +100 (dove lo 0 indica posizioni centriste).
Grafico 1
Il grafico 1 confronta le posizioni espresse in materia di welfare e politica economica dal Pci e dai suoi eredi (Pds, Ds e Pd) con quelle della Cgil e testimonia l’esistenza di una forte connessione ideologica tra i due attori che, già a partire dagli anni Cinquanta, si muovono all’unisono diventando più moderati o più radicali a seconda della congiuntura. Il legame si rompe però a fine anni Novanta quando si registra una rottura strutturale (1998) e le due serie iniziano a divergere, con partito e sindacato che prendono strade diverse.
Quali fattori spiegano la frattura? Da un lato, la convergenza del partito verso il centro dello spazio ideologico sinistra-destra (nel simbolo la rosa rossa sostituisce la falce e martello). Dall’altro, le crescenti responsabilità di governo con Massimo D’Alema che diventa nel 1998 il primo presidente del Consiglio proveniente dal Pci. Dopo aver votato il “pacchetto Treu”, provvedimento fortemente osteggiato dalla Cgil, D’Alema accusò pubblicamente il sindacato di essere incapace di interpretare le sfide della modernità.
Renzi ha quindi proseguito una tendenza che era già in atto, dando il colpo di grazia al rapporto Pd-Cgil. In effetti, le argomentazioni renziane – ben identificate dalla retorica della “palude”, metafora che descrive il sindacato come forza conservatrice – e la scelta di approvare il Jobs act senza dialogare con le parti sociali sembrano in continuità con gli avvenimenti del 1998.
Ma se la Cgil a guida Susanna Camusso si radicalizza, la Cisl sembra invece avvicinarsi alle posizioni del Pd, candidandosi a rimpiazzarla quale interlocutore privilegiato.
Un nuovo rapporto governo-sindacato
Quali possono essere le conseguenze dell’avvicendamento? E quali effetti può avere la crescente polarizzazione interna al sindacato sulle politiche pubbliche? Una risposta arriva dalle recenti trattative tra governo e sindacati sull’adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita. La proposta di concertazione offerta dal governo Gentiloni ai sindacati è stata seccamente respinta dalla Cgil, che si è detta pronta a scendere in piazza con la sinistra radicale, mentre il segretario della Cisl, Annamaria Furlan, l’ha apprezzata.
Il quadro appare decisamente in linea con un altro nostro studio, recentemente apparso su West European Politics. L’analisi indica come un sindacato più polarizzato (pensiamo all’attuale scenario italiano, in cui la distanza tra Cgil e Cisl torna a crescere, come indicato nella figura) sia più debole e quindi, paradossalmente, più accessibile per il governo, che può sfruttare la divisione per invitare le parti sociali al negoziato.
Figura 2
Sfruttando il più ampio potere di stabilire i temi in discussione che la divisione del sindacato gli offre, il governo può cercare di raggiungere un accordo che soddisfi almeno una delle parti in causa, rompendo il fronte sindacale per privilegiare il dialogo con i gruppi più moderati, riuscendo a promuovere riforme in linea con gli interessi governativi.
La revisione della riforma Fornero, promossa dal governo e fortemente sostenuta dalla Cisl, sembra confermare questo scenario e ripropone un canovaccio già visto con esecutivi di diverso colore politico.
La cronaca degli ultimi tempi indica che la rottura della cinghia di trasmissione tra Pd e Cgil, seguita dalla crescente polarizzazione interna al sindacato, possano in realtà rivitalizzare la concertazione, quantomeno con le parti sociali moderate e aperte al dialogo. Per il sindacato non è una vittoria, ma un deciso passo in avanti rispetto all’unilateralismo degli ultimi anni.
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Giorgio
D’accordissimo. Il punto è che un Pd post-renziano si preoccuperebbe SOLO di ricucire con un movimento che, morto Lama, ha saputo dire sempre e solo NO ✊️.
QualeWelfare
ohh sì…con un piccolo, insignificante, rischio…che se il principale partito di centro-sinistra adotta posizioni come queste, dialogando solo con i sindacati cosiddetti “moderati” (…), tralasciando la principale organizzazione sindacale (non l’ultima eh..) e proponendo politiche come quelle adottate 2011-15 (avete forse visto un significativo investimento in politiche attive del lavoro? per completare la security dopo la flexi……? significativo dico, eh, non bruscolini..), immaginate il rischio qual’è? che tra qualche anno Lega e Forza Nuova si prendono il 25% ..e non è un bel vedere.. Europa docet..ma forse questo non è un rischio che sta a cuore a chi scrive …
QualeWelfare
…e qualche mese dopo, le puntuali previsioni di QualeWelfare si sono drammaticamente avverate….con buon pace di quelli che si arrovellano sulla cgil che dice sempre NO…. complimenti, ora vediamo come e quando si riuscirà a ricostruire “qualcosa di sensato a sinistra”…
Savino
Per avere occupazione in questo Paese occorre una minore ingerenza del sindacato nell’economia nazionale e una sua maggiore concentrazione negli angoli deboli della società e sui posti di lavoro, per verificare soprattutto sicurezza e norme contrattuali individuali.
QualeWelfare
mmmhhh…sa che quello temo sia il ruolo del ministero del lavoro / ispettorati…diamo a Cesare quel che è di Cesare…e soprattutto che Cesare si muova….
Toma Enzo
IL MONDO DEL LAVORO ORMAI DA OLTRE 20 ANNI E IN CONTINUA EVOLUZIONE SIA IN TERMINI GIURIDICI CHE COME MODO DI PRODURRE.
STA NELLA CAPACITA’ DEI GOVERNI CON I LORO PROGRAMMI INSIEME A TUTTE LE PARTI SOCIALI RIMETTERE AL CENTRO LA POLITICA DEL LAVORO RIFORMANDO INAZZITUTTO LA SCUOLA SUPERIORE CHE DEVE DIVENTARE IL COLLEGAMENTO REALE CON IL MONDO DEL LAVORO, SUCCESSIVAMENTE L’ALTERNANZA SCUOLA LAVORO VA CAMBIATO COME IL MODELLO TEDESCO, DOVE L’ALTERNANZA PREPARA I GIOVANI EFFETTIVAMENTE AL MONDO DEL LAVORO.
LE ULTIME RIFORME DEL LAVORO SI SONO CONCENTRATE VEDESI JOBS ACT SUL ARTICOLO 18 E INCENTIVI AL DATORE DI LAVORO. INVECE VA RIVISTO COMPLETAMENTE NON IN TERMINI DI DIRITTO LAVORO, MA COME SI PREPARA AL FUTURO I GIOVANI IN TERMINE DI:
SCUOLA SUPERIORE E ORIENTAMENTO;
UNVERSITA’ E INSERIMENTO LAVORATIVO;
FORMAZIONE CONTINUA DURANTE LA VITA LAVORATIVA.
INFINE LA POLITICA DEVE PROGGETTARE COSTRUIRE E AVERE UNA VISIONE DI POLITICA ECONOMICA E INDUSTRIALE PER I PROSSIMI 30 ANNI, PERCHE’ IL MERCATO DEL LAVORO CONTINUERA’ A CAMBIARE VELOCEMENTE E CI SARANNO MESTIERI CHE SCOMPARIRANNO E CI DOBBIAMO PREPARARE AI NUOVI CHE EMERGERANNO. IL NOSTRO E’ UN PAESE CHE DA ANNI SI E’ FERMATA IN TERMINI DI PROGGETTUALITA’, E TUTTO E’ IN DISCUSSIONE DESTRA O SINISTRA. MA IL MONDO CHE STA CAMBIANDO ATTRAVERSO IL LIBERO MERCATO E IL CAPITALISMO AVANZATO VA IN UN ALTRA DIREZIONE.
IL LAVORO DEVE TORNARE A DARE STABILITA,’ DIGNITA’, E OPPURTUNITA’.