Lavoce.info

Reddito di cittadinanza M5s: costa 29 mld e non 14,9

Quanto costa il reddito di cittadinanza? 14,9 miliardi come dice il M5s o 29 miliardi? Il criterio Eurostat indicato come riferimento dal disegno di legge per la stima della povertà relativa non comprende gli affitti imputati. Ed è un dettaglio importante.

I dettagli del calcolo del reddito di cittadinanza

In un articolo precedente abbiamo confrontato vari schemi di politiche di contrasto alla povertà che sono parte di piattaforme elettorali – il reddito di dignità e quello di cittadinanza – o sono già in vigore, come il reddito di inclusione. Per comodità, ecco la tabella comparativa riportata nell’articolo.

Tabella 1 – Reddito di dignità, reddito di cittadinanza e reddito di inclusione: numeri a confronto

Fonte: Elaborazioni lavoce.info su dati Eu-Silc e Istat

Sollecitati dalle osservazioni di alcuni lettori (e anche di giornali che hanno riportato i nostri calcoli), in questo pezzo diamo i dettagli di una parte della tabella. Spieghiamo cioè perché a nostro avviso il costo del reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle per le casse dello stato sarebbe di 29 miliardi e non di circa 15 miliardi come calcolato dagli estensori del disegno di legge relativo (il numero 1148) depositato in Senato (un costo diverso anche rispetto alle stime degli esponenti di altre bandiere politiche).

Partiamo dall’articolo 3 del Ddl:

“1. Il reddito di cittadinanza garantisce al beneficiario, qualora sia unico componente di un nucleo familiare, il raggiungimento, anche tramite integrazione, di un reddito annuo netto calcolato secondo l’indicatore ufficiale di povertà monetaria dell’Unione Europea, pari ai 6/10 del reddito mediano equivalente familiare, quantificato per l’anno 2014 in euro 9.360 annui e in euro 780 mensili.

  1. Il reddito di cittadinanza garantisce al nucleo familiare il raggiungimento, anche tramite integrazione, di un reddito annuo netto, quantificato sulla base della soglia di povertà di cui al comma 1, commisurato al nucleo familiare secondo la sua composizione tramite la scala di equivalenza Ocse modificata di cui all’allegato 1 alla presente legge.
  2. La misura del reddito di cittadinanza di cui ai commi 1 e 2 è fissata sulla base dell’indicatore ufficiale di povertà monetaria dell’Unione Europea. Essa, in ogni caso, non può essere inferiore al reddito annuo di 9.360 euro netti. Il valore è aggiornato annualmente secondo l’indice generale di variazione delle retribuzioni orarie contrattuali”.

Sulla base del testo letterale dell’articolo, il riferimento per la determinazione della platea dei beneficiari e dell’importo del trasferimento è il criterio seguito da Eurostat per la stima della povertà relativa. Secondo questo criterio, prima si calcola, tra gli individui, la mediana della distribuzione del reddito equivalente, associando a ciascuna persona il reddito equivalente della famiglia di appartenenza (l’individuo “mediano” è quello che si colloca esattamente a metà della distribuzione dei redditi. Il suo reddito è cioè più elevato di quello del 50 per cento degli individui più poveri di lui e, nello stesso tempo, è inferiore all’altro 50 per cento – meno uno, lui – più ricchi di lui). Una volta individuata la mediana, la linea di povertà relativa è il 60 per cento di questo valore. Per una persona sola, la linea è pari a 9.360 euro annui, mentre per famiglie più numerose va moltiplicata per la scala di equivalenza Ocse modificata, che dà peso 1 al primo adulto, 0.5 a ogni altra persona con almeno 14 anni, 0.3 ai minori di 14 anni.

Leggi anche:  Italia al bivio: intervista a Romano Prodi*

I numerosi riferimenti al criterio Eurostat nel Ddl lasciano dunque intendere che la misura sia rivolta a tutte le famiglie che, appunto, hanno un reddito inferiore alla soglia Eurostat. Secondo i più recenti dati Eurostat (cercare Income and living conditions, poi Inco.me distribution and monetary poverty, poi Monetary poverty), nel 2016 la soglia di povertà è di 9748 euro per una persona sola (812 euro al mese), di 20.741 euro per una coppia con due figli (1.706 euro al mese). Nel 2016 sotto la soglia si trova perciò il 20,6 per cento dei residenti, circa 12,5 milioni di persone.

Perché il costo per lo stato sarebbe di 29 e non 14,9 miliardi

In pratica, il disegno di legge M5S definisce una misura che dovrebbe colmare integralmente il divario di povertà relativa, cioè la distanza tra la soglia e il reddito disponibile della famiglia. Se nel campione Eu-Silc proviamo a replicare questi criteri e a stimare quanto costerebbe il sussidio, otteniamo 28,7 miliardi. È una stima quasi doppia rispetto a quella di 14,9 miliardi presentata dal presidente dell’Istat in una audizione parlamentare. Ma molto simile a quella (30 miliardi) presentata dal presidente dell’Inps Tito Boeri in un’audizione alla commissione Lavoro del Senato.

La (notevole) differenza di valutazione ha varie cause. La più importante viene dal fatto che l’Istat nella sua simulazione aggiunge al reddito disponibile monetario il valore dell’affitto imputato dell’abitazione posseduta dalla famiglia, che è una stima del canone che si riceverebbe se la casa fosse data in affitto. Si tratta di un valore non trascurabile: circa il 50 per cento delle famiglie “relativamente povere” vive in case di proprietà, con un affitto imputato medio di circa 6mila euro (500 euro al mese). Il valore totale degli affitti imputati per le famiglie in povertà (sono 4,6 milioni, il 18 per cento di 25,7 milioni, il totale delle famiglie) è dunque di quasi 15 miliardi. Se togliamo questo importo dalla nostra stima, otteniamo una spesa totale molto vicina a quella dell’Istat. Ma – piccolo dettaglio – il disegno di legge non cita mai gli affitti imputati, e il criterio Eurostat, più volte richiamato nella proposta, non comprende gli affitti imputati nel calcolo del reddito disponibile. Quindi, applicando alla lettera il testo della proposta di legge, la spesa sarebbe di 29 miliardi – il dato riportato nel nostro articolo.

Leggi anche:  Nadef e Patto di stabilità: il diavolo è nei dettagli

Riassumendo: la soglia citata nel testo di legge è calcolata sulla base di una definizione di reddito che non comprende gli affitti imputati. Se li si vuole includere (e si può fare), bisognerebbe prima riscrivere il Ddl, perché si dovrebbe abbandonare il criterio Eurostat (un dettaglio non da poco). Sembrerebbe però opportuno, per coerenza, ricalcolare anche la soglia di povertà relativa, che diventerebbe più alta includendo l’affitto imputato. Ma aggiungendo il affitto imputato sia alla soglia sia al reddito, la spesa rimarrebbe più o meno la stessa, attorno a 29 miliardi. L’unico modo per ridurre la spesa (e il numero dei beneficiari, da 20 per cento a circa 11 per cento) è quello di aggiungere il affitto imputato solo al reddito e non alla soglia.

Più in generale, c’è da aggiungere che incorporare il affitto imputato nel reddito sarebbe, a nostro avviso, un modo inappropriato di disegnare una misura di contrasto alla povertà. Gli affitti imputati sono infatti stime a valori di mercato che quindi variano nel tempo. Servirebbe un nuovo metodo di calcolo, operazione molto complessa. Certo si può fare, ma bisogna dirlo. Si potrebbe aggiungere al reddito monetario la rendita catastale – eventualmente rivalutata – come di fatto si fa per il calcolo dell’Isee. Ma in tal caso si tratterebbe di valori comunque inferiori a quelli di mercato. E poi ci sarebbe il problema delle famiglie che vivono in case di proprietà, ma hanno reddito corrente basso o nullo: alcune potrebbero essere escluse dal trasferimento a causa del affitto imputato, anche in assenza di reddito monetario, dato che la casa è un bene indispensabile e non facilmente liquidabile.

Vi sono poi le incertezze generali che sempre incombono sulle stime di spesa, già accennate nel precedente articolo: quante famiglie faranno domanda? Sicuramente non il 100 per cento delle aventi diritto, e questo riduce la spesa, forse anche di molto. Quante persone modificheranno il loro comportamento nel mercato del lavoro, per cercare di sfruttare il nuovo sussidio? Qualcuna lo farà, e questo aumenterà la spesa.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Riforma del Patto di stabilità e crescita: un'occasione persa*

Precedente

La clausola dimenticata

Successivo

Alitalia si vende subito? Forse che sì forse che no

15 commenti

  1. luca stefani

    Credo che prima del reddito di cittadinanza o comunque detto, sarebbe più opportuno cercare di redistribuire il lavoro, creando così meno sperequazioni , ad esempio favorendo la riduzione dell’ orario di lavoro e in generale del part time. Inoltre sarebbe opportuno che qualunque vantaggio
    ottenuto da servizi pubblici/ contributi fossero conteggiati come un reddito seppur virtuale ( si pensi alla differenza tra affitto di mercato e affitto in casa ” popolare”) altrimenti qualcuno continua a usufruire di tutte le agevolazioni, e qualcuno resta sempre escluso . infine non è accettabile che un reddito dato dallo stato sia spendibile senza controllo: as esempio per assurdo un padre alcolista se lo potrebbe bere tutto lasciando la famiglia nelle medesime condizioni di povertà reale.

  2. Giuseppe G B Cattaneo

    Il calcolo, molto sofisticato, ma comunque approssimativo, presentato nell’articolo, che riprende le linee di calcolo del c.d. reddito di cittadinanza proposto dal movimento 5 stelle producendo risultanze molto diverse da quelle previste dal M5S è l’esempio di come impostare la lotta alla povertà utilizzando la prova dei mezzi, con le complicazioni che ne conseguono, alla fine si dimostri inconcludente, senza neppure avvicinarsi al principio minimo di uguaglianza, che è quello matematico.

  3. Savino

    Il welfare non deve essere così a 360 gradi, nemmeno i più grandi socialdemocratici lo hanno pensato così, anche per una questione di dignità della persona quando è un lavoratore, e, soprattutto, nella mentalità collettiva, bisogna entrare nell’ottica per cui il welfare è l’extrema ratio e interviene soltanto quando proprio gli interessati (individui o famiglie) le hanno provate tutte e, nonostante ciò, non ce la fanno e non riuscirebbero a fare diversamente. Invece, mi pare di vedere un insensato panico nella società. Si dice: non lavoro perchè c’è (l’alibi) della crisi e lo Stato mi deve aiutare con il reddito, con la casa e con i servizi. Ci manca solo che lo Stato ti porti anche la colazione a letto. Sei poi esigi tutto ciò impugnando lo smartphone da 600 Euro e tenendo accesa la tua pay-tv in abbonamento, oltre al danno procuri pure la beffa. Tutto ciò mi pare sintomo di una pigrizia collettiva, cavalcata ampiamente dalle forze politiche ribelliste, che nulla ha a che vedere coi problemi dell’economia e del lavoro. Si vedano le differenze tra le proteste di questi giorni in Paesi dove le ristrettezze sono reali, come Tunisia e Iran, e lo sciacallaggio speculativo dei seguaci del signor Di Maio e del signor Salvini.

  4. Maurizio Cocucci

    Condivido la stima qui illustrata, i dati previsto nel ddl del Movimento 5 Stelle mostrano non poche lacune. Un conto poi è sbagliare di 1 o 2 miliardi di euro (che già molti sarebbero) ma di 15 è davvero inaccettabile. In Germania l’assegno di disoccupazione di lunga durata “Arbeitslosengeld II”, meglio conosciuto come Hartz IV, che prevede un importo massimo di 416 euro mensili e le cui caratteristiche sono simili a questo reddito di cittadinanza proposto dal M5S prevede una spesa di 21 mld per quest’anno (fonte Ministero delle Finanze tedesco), pertanto con le dovute proporzioni tra i diversi importi in questione e le – lievi – differenze tra le due misure è del tutto verosmile che la stima nel ddl sia erronea (e di molto!) mentre sia più vicina a quella qui stimata.

  5. giovanni

    Tra tutti questi redditi da paese dei Bengodi manca platealmente il reddito da lavoro. Quello è il vero reddito. Pagare qualcuno per non fare niente oltre che immorale e diseducativo e antieconomico è offensivo dei riguardi dello stesso beneficiario e soprattutto di coloro che invece si smazzano per lavorare e portare il pane a casa. E’ sempre la solita storia del pesce e della canna da pesca. Meno male che alla fine i soldi finiscono e non troviamo più nessuno disposto a “prestarceli”.

  6. Luca

    Qui l’unico che parla di reddito da lavoro è Renzi con la sua proposta di salario minimo garantito di 10 euro l’ora. Per il resto gli altri solo sussidi, sussidi e sussidi.
    Come se una società si dovesse dividere in due parti: chi la pagnotta se la deve andare a guadagnare e chi invece dovrebbe campare di sussidi alle spalle degli altri.

  7. Marco

    Il disegno di legge dei 5 stelle indica chiaramente in una tabella allegata che la formula di calcolo del reddito di cittadinanza è quella utilizzata dall’ISTAT nel Rapporto annuale del 2014, che si basa su una soglia di 780 euro equivalenti e un reddito familiare che comprende i fitti imputati. Nessuno contesta che questa formula costi circa 15 miliardi. La soglia dei 780 euro è molto vicina alla soglia di povertà assoluta. Si può consigliare ai 5 stelle di non prendere a riferimento quella Eurostat. Non è però “neutrale” la stima dei 30 mld. che fraintende intenzionalmente la proposta 5stelle.

    • francesco daveri

      Nel pezzo spieghiamo che nel Ddl non si parla da nessuna parte degli affitti imputati e che aggiungere gli affitti imputati al reddito solleva vari problemi di attuazione. La stima di 15 miliardi non è coerente con il testo del Ddl mentre la nostra stima corrisponde più da vicino al testo presentato.

      • Marco

        il problema é differenziare il trattamento dei proprietari da quello degli inquilini… il reddito di cittadinanza dei 5 stelle fa riferimento esplicito al rapporto annuale dell’Istat e quindi include nel reddito della famiglia i fitti imputati e costa circa 15 miliardi… la soluzione alternativa é quella del Rei, che toglie una parte degli affitti dal reddito Irpef aumentato dei redditi esenti… tutt’e due le soluzioni hanno vantaggi e svantaggi… una terza alternativa é stabilire una soglia diversa per i proprietari, al netto della componente affitto della soglia di povertà

        • gp

          Il reddito di cittadinanza proposto dal M5S, a norma del DDL che hanno presentato, NON include gli affitti imputati nel calcolo del reddito familiare. La definizione (molto imprecisa) fornita nell’art. 2 del DDL è la seguente: “«reddito familiare ai fini del reddito di cittadinanza»: il reddito netto medio mensile derivante da tutti i redditi percepiti”. Un reddito imputato per definizione non può essere considerato “percepito”.
          Non a caso la stima accurata del costo del programma elettorale del M5S effettuata lo scorso febbraio dal prof. Perotti ha ripreso i calcoli di Baldini e Daveri per questa voce del programma, approdando a un costo totale di 108 miliardi (contro i 78,5 quantificati dal M5S) e a un un disavanzo di 63 miliardi (contro un avanzo di 0,5).

  8. al

    Da misurare la variazione del debito/pil invece del debito perche’ le 8 ore lavoreate per settimane devono essere contabilizzati nel GDP (come fa l’Ungheria e la Slovacchia etc, ipotizzaimo un 6 euro/h salario equiv. ) controvalore 7.3 o 12.23 mdl se un membro della famiglia deve sottostare alle condizioni per l’erogazione. L’ effeto su debito pil e 0.34% o 0.44% .
    Sarebbe da capire la demografia dei richedenti. In ogni caso il brake even e ad 2.1 , 2.3 lavoratore per famiglia sopra questo riduce il debito/pil

  9. Antonio

    “il affitto”?

  10. Giuseppe

    Non so se sia già stata posta questa domanda. Cosa accadrebbe se le persone iniziassero a cambiare residenza per risultare nuclei familiari a sé stanti privi di salario? Mi riferisco in particolare alla gran mole di miei coetanei (sui 30) che al momento vivono ancora con i genitori e che lavorano in nero o non lavorano affatto. Grazie.

  11. Marco Tullio

    Sarebbe incostituzionale limitare il beneficio a chi sia in possesso di cittadinanza o a chi al momento si trovi nella possibilità di goderne. Perciò non è dato sapere quanti, nel tempo, ne faranno domanda: tanto più che le previste economie creeranno inevitabilmente ulteriore disoccupazione e che è probabile l’abbandono dell’impresa o della professione da parte di lavoratori autonomi poco fortunati. L’imputazione della rendita potenziale dell’abitazione di proprietà sarebbe illogica, e perciò incostituzionale, giacché la casa in cui si abita non può essere data in affitto se non a patto di pagare altrove a propria volta un altro affitto. Comunque dovrebbe essere esplicitata nella Legge, altrimenti la Magistratura ordinaria potrebbe accogliere il ricorso di chi impugnasse gli atti ammnistrativi volti ad introdurla. Dunque ogno stima dell’onere, nell’immediato, ma soprattutto nel medio/lungo periodo, rischia di peccare per difetto. E’ gravemnte erroneo finanziare una futura partita di spesa fissa improduttiva con debiti o economie una tantum. E’ assurdo annoverare tra le fonti di finanziamento sicure la tassazione su un fenomeno (il gioco d’azzardo) che s’intende contrastare per eliminarlo o almeno ridurlo drasticamente.Le misure proposte a carico dei redditi elevati contrastano con altri propositi della maggioranza volti a ridurne l’onere fiscale. Intanto si trascura il praticabile potenziamento del Reddito d’Inclusione: no uovo oggi, forse pollo domani.

  12. Giancarlo Vietri

    Se ho capito bene o il reddito di cittadinanza costa 30 miliardi, se non si tiene conto dell’affitto virtuale della casa di proprietà, o ne costa 15, se si tiene conto di tale affitto. Ma, in questa seconda ipotesi, si farebbe una cosa diversa da quella che risulta letteralmente dall’articolo.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén