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Alitalia, la crisi scritta nei conti

Non c’è alcun mistero nella nuova crisi di Alitalia. L’azienda, che già perdeva in passato, ha avuto un disavanzo molto più alto nel 2016 perché ha dovuto abbassare i prezzi, ma senza poter ridurre i costi, come invece hanno fatto i vettori concorrenti.

Il caso degli extracosti

“Conoscere per deliberare”, come consigliava Luigi Einaudi negli anni Cinquanta, richiede che si disponga di informazioni adeguate, che esse siano elaborate sino a divenire conoscenza e che la conoscenza funga da faro per decisioni che possano tradursi in azioni concrete. È un percorso razionale, valido tanto per le scelte private che per quelle pubbliche. Per le seconde, però, la conoscenza è fondamentale non solo per chi deve prendere decisioni ma anche per l’opinione pubblica che ha il compito di valutarle.

Il caso Alitalia è l’esempio perfetto di quanto il nostro paese sia distante dalla massima di Einaudi. Il vettore aereo ha visto un notevole peggioramento delle sue condizioni economiche tra il 2016 e la prima metà del 2017, tanto che ha dovuto essere commissariato. Quali sono le ragioni del dissesto? Perché l’azienda è andata tanto male in un periodo così favorevole per il mercato aereo e per tutti gli altri vettori? Sono le due domande chiave per tracciare una diagnosi del paziente ed elaborare una terapia coerente. Ma il bilancio 2016, che doveva contenere le risposte, non è stato pubblicato, la diagnosi non è stata elaborata e la soluzione che si cerca di attuare è quella di trasferire in via definitiva il paziente in Germania affinché sia curato dai bravi medici di quel paese. Sulle cause della malattia vi è però il silenzio più totale.

Eppure le risposte essenziali ci sono tutte, basta saperle leggere. Un documento della vecchia gestione, illustrato ai sindacati il 22 marzo 2017, riporta una versione non definitiva del conto economico 2016 dalla quale risulta una perdita industriale di 337 milioni. Il peggioramento rispetto ai 149 milioni del 2015 è dovuto per 158 milioni a riduzione dei ricavi e per 30 a incremento dei costi. Perché i ricavi sono diminuiti del 4,9 per cento, per effetto della riduzione dei prezzi dati i passeggeri in lieve crescita, mentre i costi sono rimasti stazionari? La risposta è in ciò che è accaduto negli altri grandi vettori. Nel 2016 il gruppo Lufthansa ha ridotto i costi industriali per passeggero km del 5,4 per cento, principalmente grazie al calo del carburante, e del 5,2 per cento i proventi unitari. In sostanza, ha trasferito ai suoi clienti, attraverso minori prezzi, i risparmi di costo conseguiti e altrettanto han fatto gli altri vettori, low cost e tradizionali. Alitalia non è invece riuscita a ridurre i costi, ingessati da contratti sfavorevoli, ma ha dovuto egualmente ridurre i prezzi a causa della concorrenza sul mercato, peggiorando di conseguenza il suo disavanzo. Questa è la semplice, ma sinora sconosciuta. ragione del dissesto.

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Grafico 1 – Dati della gestione industriale di Alitalia

Le cifre della crisi

Nel 2015 Alitalia ha speso 721 milioni per il carburante, di cui 52 da perdite su contratti di fuel hedging che scelte più oculate avrebbero evitato. Se i restanti 669 milioni si fossero ridotti nel 2016 nella stessa misura di Lufthansa, Alitalia avrebbe registrato un costo di 551 milioni, con un risparmio di 142 milioni sulla spesa effettiva di 693.

Per altre voci di costo è la stessa Alitalia, nella trattativa del marzo 2017, a quantificarne il disallineamento rispetto al benchmark delle altre compagnie. Sul leasing della flotta indicava un sovra costo del 23 per cento per i velivoli di medio raggio, del 41 per cento per la flotta regionale e del 63 per cento per quella di lungo raggio, con un valore medio stimabile nel 36 per cento che, applicato alla spesa del leasing 2016 dà luogo a 86 milioni di possibili risparmi. Riguardo alle manutenzioni riconosceva extracosti pari al 19 per cento, corrispondenti a 46 milioni di possibile risparmio sui 287 di oneri sostenuti; in relazione ai servizi di handling un sovra costo del 25 per cento rispetto a un benchmark calcolato sui principali aeroporti che genera un possibile risparmio di 59 milioni. Infine, i costi commerciali erano indicati nel 7,8 per cento del fatturato totale dell’azienda, ma ritenuti riducibili al valore benchmark del 3,3 per cento, con un risparmio stimabile in 125 milioni.

Grafico 2 – Extracosti 2016 di Alitalia in raffronto alla perdita operativa.

Se sommiamo i risparmi ottenibili eliminando i sovra costi riconosciuti dalla stessa Alitalia, arriviamo già a minori costi industriali annui per 316 milioni, corrispondenti alla quasi totalità della perdita 2016 di 337 milioni. Tuttavia, i risparmi salgono a 458 milioni se vi includiamo anche il taglio degli extracosti sul carburante, una voce che la vecchia gestione aveva occultato, preferendo sostituirla con una ingiustificata richiesta di riduzioni del costo del lavoro. Con 458 milioni di minori costi, il risultato industriale del 2016 sarebbe divenuto positivo per 121 milioni.
Non vi è dunque alcun mistero nella crisi di Alitalia, ma solo assenza d’informazione. L’azienda già perdeva in passato perché soffriva di extracosti e ha perso molto di più nel 2016 perché ha dovuto abbassare i prezzi come i vettori concorrenti ma, a differenza loro, senza poter ridurre il costo del carburante. Questa è la diagnosi e da essa dipende una terapia ovvia: bisogna tagliare i costi eccedenti, non amputare l’azienda. E se lo facciamo noi prima di venderla, forse riusciamo a farcela pagare un pochino di più.

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  1. Ringrazio il Prof. Arrigo per questa analisi meritoria, dati parlano chiaro.
    Mi domando:
    1. Contratti sul carburante sfavorevoli: con quale banca erano stati fatti? Possibile col socio Unicredit? Un gioco allo sfascio, quindi.
    2. Nuove uniformi, dirigenti, contratti di codesharing, destinazioni, etc.Sembrava che i commissari straordinari si preparassero a proseguire da soli ed a rendere la gestione economica ed efficiente.
    Che senso aveva se Alitalia verrà svenduta a Lufthansa?
    Tap Airportugal, più piccola di Alitalia, va avanti senza problemi, quindi non c’è necessità di far parte di uno dei tre grandi gruppi Europei.
    Credo che i nostri politici si illudano di ottenere la benevolenza dei tedeschi quando avranno problemi di bilancio in sede Europea.
    Disastro, non avremo sufficienti collegamenti verso l’Italia, business e turismo di livello, non quello portato dai vettori low-cost.

    • Stefano Spada

      TAP va avanti da sola senza problemi ? Sembra la favola del sovranista. L’opzione “stand alone” non è fattibile per una “legacy airline”. Innanzitutto TAP è membro della STAR ALLIANCE (alias Lufthansa & co). Frutto degli accordi con l’UE, Nel 2015 un consorzio Brasiliano (Air Azul/Jet Blue)-Portoghese “Atlantic Gateway” acquista il 61% di TAP per soli 10 milioni di Euro investendo EUR 338m nel rinnovamento della flotta. Capitali privati (con imprenditori del settore aviation)a fronte di severe riduzioni di costo (EUR 227 milioni nel solo 2016) e razionalizzazione. Il consorzio nel 2016 con il governo Costa riduce la quota al 50% con la garanzia per iscritto del non intervento dello stato portoghese (detentore del 45% di TAP) nel management di TAP. Se TAP nel 2015 sembrava la nostra Alitalia oberata da debiti e affossata da costi esorbitanti , nel 2016 la cura del consorzio “Atlantic Gateway” funziona con un aumento dei ricavi (EUR 2,4 miliardi) ed un ritorno al profitto (EUR 36 milioni). TAP aumenta i suoi passeggeri migliorando soprattutto la sua rete nelle ex colonie portoghesi (Brasile in primis, Angola, Capo Verde, Angola, Guinea Bissau, Mozambico , São Tomé, ecc). Una rete internazionale che Alitalia si sogna. Ergo non è vero che una compagnia può valutare l’opzione “stand alone” che significherebbe la morte della compagnia stessa . Specie la nostra cara Alitalia.

  2. Armando Carnevale

    Ad integrazione del precedente commento, proporrei umilmente la seguente soluzione per Alitalia, vista la necessità di operare per programmare la successiva stagione invernale, espansione del lungo raggio, etc
    Premesso che la vendita a Lufthansa creeerebbe il serissimo problema Skyteam- Staralliance, vedrei più vantaggiosa l’ipotesi Celebrus con ingresso massiccio di Cassa Depositi e Prestiti.
    Quest’ultima giaà opera con investimenti di centinaia di milioni di euro nel turismo, in Italia o all’estero.
    Sarebbe un grande affare per lo Stato Italiano, affiancato da un socio che sa benissimo come risanare una compagnia aerea, avendolo già fatto in precedenza in Canada.
    Poca fiducia nella nostra politica.

    • Corrado

      CHIUDETELA e basta… regalatela il più possibile gratis.

      L’ideale è così come l’aveva venduta Prodi ai francesi: si pigliavano tutta quanta la compagnia, debiti compresi, e ci davano persino un euro.

      BASTA “privatizzazioni” farlocche con casse integrazioni da anni e anni (pagate da noi) per far star buoni i dipendenti intanto che si continua l’unica opera nota e realizzabile da certa dirigenza: lo spolpare l’osso.

      SIg. Carnevale, starei abbastanza tranquillo che se ci sarà un sufficiente numero di businessmen e turisti “di livello”, disposti a pagare un prezzo economicamente congruente, l’offerta dei vettori aerei si adeguerà senza alcun problema.

  3. alberto constantini

    Certo che questa analisi, cosi’ precisa nel trovare le fonti di spreco di Alitalia, pone un quesito piuttosto rilevante.
    Sapendo che Alitalia privatizzata nasce il primo gennaio 2009, quindi 9 anni fa, e che da allora si sono alternati parecchi amministratori delegati e presidenti, espressi da soci del calibro di Air France e KLM, Etihad Airways, aziende del settore riconosciute universalmente come aziende di successo, nonche’ da soci italiani del calibro di Unicredit, Banca Intesa, Pirelli, IMMSI, Atlantia, e molti altri dello stesso peso. La domanda e’: come mai in 9 anni questo popo’ di soci e manager non ha mai prodotto un bilancio in utile ed anzi il bilancio e’ sempre andato peggiorando?
    A mio avviso le risposte possibili sono due:
    1) Sono una massa di incapaci che avrebbero fatto meglio ad assumere il dott. Arrigo a dirigere l’azienda.
    Oppure:
    2) Al dott. Arrigo sfugge qualcosa, l’analisi e’ da cestinare, e bisogna accettare che il mercato unico europeo contiene dei meccanismi che fanno si’ che non ci sia spazio per tutte le vecchie compagnie di bandiera.
    Io la mia risposta me la sono data, ognuno si dia la sua.

  4. shadok

    Dal 2008 sono passati ormai 10 anni di “terapie”, costosissime, senza che il paziente Alitalia mostri segni di guarigione. Francamente da contribuente sarei stanco di mantenere in vita una azienda assurda. Mia modesta opinione: vendere (in realtà si tratta regalare) subito!

  5. Luigi

    Buona sera, fino ad oggi, oltre ai 900 milioni di Euro del prestito ponte, quanti milioni di Euro lo Stato italiano ha regalato/dato alla compagnia aerea? Grazie dell’info.

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