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Quella passione tripartisan per i monopoli nei trasporti

Il monopolio è la forma di impresa dominante nei trasporti italiani. Al di là delle giustificazioni formali, a renderlo una scelta politica razionale ci sono disparati motivi. Per confutarli è necessario sviluppare strumenti di analisi molto più realistici.

Tutte le forme del monopolio

Nei trasporti italiani il monopolio, in varie configurazioni, è la forma di impresa dominante.

Le autostrade sono sì “monopoli naturali”, ma invece di ridurne il potere, lo si è massimizzato per via politica: concessioni molto lunghe (di recente prolungate senza gara), elevata concentrazione (un solo operatore detiene più di metà della rete).

L’impresa ferroviaria (Fsi) è dominante, integrata verticalmente e orizzontalmente, con oltre il 90 per cento del fatturato e la quasi totalità della rete. Ora, la fusione con Anas ne aumenta ancora la capacità di pressione politica (“clout”).

Il trasporto pubblico locale (Tpl) è monopolio legale, ma mai affidato con gare credibili (quelle fatte sono state quasi tutte vinte dagli incumbents).

Il settore aereo è stato liberalizzato dall’Europa, con rilevanti benefici per gli utenti, ma lo stato italiano continua a fare sforzi economici per sostenere l’ex-monopolista Alitalia, in una sorta di nostalgia perversa.

La regolazione del settore (per definizione pro-concorrenza) fin dall’inizio è stata dotata di poteri limitati rispetto a quelli rimasti nella sfera politica.

Le motivazioni formalmente addotte per questo atteggiamento sono molte, in genere intercambiabili. Qui possiamo elencarle solo sinteticamente:

– il concetto di “campione nazionale”, da difendere in quanto strategico, qualsiasi sia il settore interessato;

– l’esistenza di economie di scala o di scopo, che giustificherebbero la dominanza;

– i costi tecnici e la complessità gestionale di operazioni di “spacchettamento” (unbundling)

– la socialità: affidare servizi pubblici in gara (non solo liberalizzarli) impedirebbe di conseguire obiettivi sociali, spesso non molto definiti e spesso riferiti più ai dipendenti che agli utenti.

Tutti questi motivi sono confutabili. D’altra parte, vi sono anche dichiarazioni esplicite dell’attuale ministro dei Trasporti Delrio, di ostilità verso il concetto di concorrenza, mentre un ministro precedente, Altero Matteoli, era contrario a una autorità indipendente di regolazione.

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Perché è una “scelta razionale”

Quali sono però i motivi reali, non formali, che rendono razionale questo atteggiamento politico favorevole ad assetti non concorrenziali? Data la situazione italiana, lo potremmo far coincidere con il “favore per lo status quo”.

Il primo, dominante, è riconducibile allo “scambio politico” diretto: i beneficiari della concorrenza sono diffusi (utenti o contribuenti), non ne godranno nell’immediato e, soprattutto, sarà per loro difficile confrontare scenari competitivi con scenari monopolistici, dati i tempi e i contesti diversi in cui li potranno verificare.

I soggetti danneggiati (addetti e fornitori attuali di imprese monopolistiche), che al contrario percepirebbero immediatamente l’effetto di politiche di liberalizzazione, tendono invece a essere coesi e “vocali” e votano in favore di chi li protegge. Anche l’assunzione dei dipendenti e la scelta dei fornitori risultano politicamente condizionabili in contesti monopolistici, assai più che non in quelli concorrenziali, per i quali l’efficienza è condizione irrinunciabile.

Poi per imprese monopolistiche private (per esempio, autostrade), che generano alti profitti, vi è la “spartizione delle rendite” (a danno di utenti inconsapevoli e “diffusi”). Questo avviene per via fiscale, dati gli elevati tassi di prelievo sui profitti.

Tornando ai fornitori (per esempio, si pensi ai 5 miliardi l’anno circa di acquisti delle ferrovie), è ovvio che è preferibile per un privato negoziare con un monopolista invece che con un soggetto pressato dalla concorrenza e per il quale la qualità e i prezzi delle forniture sono fattori essenziali di sopravvivenza.

Quanto al management di imprese pubbliche, vi sono prassi diffuse di nomine politiche dirette che garantiscono poi un sistema di “scambi di favori” con chi li ha nominati, spesso non di per sé illegali, anche se non è possibile ignorare il fenomeno corruttivo presente in Italia.

Queste ultime considerazioni sono, per loro natura, facilmente spiegabili anche solo con l’obiettivo del tutto legittimo del consenso politico a breve termine (noto come “hidden agenda” in termini di “public choice”).

Siamo quindi di fronte a un comportamento in gran parte razionale e infatti “bipartisan”. Anzi, ora addirittura “tripartisan” (l’M5S è fortemente critico verso il regime attuale delle concessioni autostradali, ma il fatto che gli altri monopoli non siano un bersaglio legittima il dubbio che l’attacco sia motivato dalla circostanza che solo quel settore è dominato da un’impresa privata).

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Per concludere, raccomandazioni generiche sembrano davvero inutili. Pare invece necessario sviluppare strumenti di analisi molto più realistici e disincantati. Quelli forniti dall’approccio public choice (che, si badi, non comportano affatto l’adesione politica a quella linea di pensiero) potrebbero rivelarsi di grande utilità. Solo se la diagnosi è corretta, infatti, ci possono essere speranze che la cura possa essere efficace.

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  1. elio candussi

    Al mondo dei trasporti, già da sé molto complesso, è opportuno aggiungere ulteriori elementi.
    1- Se un servizio va considerato pubblico, si sottintende di pubblica utilità, quindi per definizione può andare in perdita, come la sanità o l’istruzione; è l’esempio del trasporto locale (TPL) specie nelle aree a bassa densità abitativa; in tal caso può essere affidato a terzi? sì, a condizione di conoscere preventivamente i costi perché la differenza la deve mettere il pubblico; conoscere i costi in anticipo è arduo, con margini d’errore dietro l’angolo; c’è il problema di adeguamenti di costi e ricavi nel tempo, ma con quali criteri?
    2- spesso il servizio si svolge su strutture di proprietà dello Stato (es. autostrade e ferrovie); in tal caso chi cura la manutenzione della struttura? chi controlla la qualità del servizio affidato in concessione? e se la qualità non è adeguata? contenziosi infiniti son prevedibili.
    3- le ferrovie italiane posseggono una società operante nel TPL, la Busitalia; ha senso che questa partecipi alle gare locali, come è successo in Friuli Venezia Giulia? andando in concorrenza con società a partecipazione di enti locali? mi sembra demenziale questa competizione tra soggetti pubblici!

  2. Savino

    Già nell’energia e nelle tlc si sono tentate alchimie improbabili, che hanno spezzato l’allora monopolio pubblico. Il risultato è stata la fatturazione non più corrispondente al mese commerciale (30 giorni), bensì al mese lunare (28 giorni), con relativi danni per gli utenti.
    Una cosa è il monopolio e basta, altra cosa è il monopolio pubblico di un servizio pubblico e, quindi, fruibile a 60 milioni di cittadini con tariffe tenute calmierate e a garanzia del diritto alla mobilità e alla circolazione di persone e merci, quali pilastri della Ue e della nostra Costituzione. Le ragioni di economicità non possono privare del diritto a muoversi liberamente di milioni di cittadini che abitano le zone interne e le arre cosiddette a domanda debole del Paese. Non era legittimo parlare di rami secchi negli anni ’80 e ’90 e, a maggior ragione, non è legittimo farlo ora, nel momento in cui mobilità e trasporti risultano decisivi per il rilancio e la crescita.

    • francesco

      Non sono sicuro del fatto che, nel settore del trasporto passeggeri (TPL), ci siano esempi virtuosi di monopoli pubblici. Le difficoltà economiche e finanziarie delle aziende interessate sono note a tutti. Eppure, in Italia, la soluzione al problema sembra essere quella dell’intervento dello Stato. Si assume erroneamente che siano necessari nuovi investimenti per risanare l’azienda in difficoltà. In realtà, i problemi reali sono ben altri. Il tutto (ritardi, inefficienza dei servizi di trasporto…), ovviamente va a scapito delle classi sociali meno abbienti, che, costretti a pagare queste inefficienze, non possono permettersi un mezzo di trasporto alternativo ai mezzi pubblici. In Inghilterra le gare avviate, nel settore TPL, da diversi anni hanno portato ad un miglioramento dell’offerta e qualità dei servizi di trasporto. L’Autority Inglese (ente indipendente dalla politica) controlla le tariffe e l’operato degli operatori, con ampi poteri di intervento sugli stessi. Una riflessione sul tema è più che mai necessaria.

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