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Il lavoro? Lo trova chi non lo cerca

Le statistiche dicono che il recupero dell’occupazione è dovuto agli inattivi e non ai disoccupati. Colpa di un sistema che si affida alle relazioni personali più che ai centri per l’impiego. E così il mercato del lavoro resta ben poco meritocratico.

I dualismi del mercato del lavoro

Il mercato del lavoro italiano continua a essere caratterizzato da dualismi storici. Il primo, misurato dai tassi di occupazione elaborati sui dati Istat-Forze di lavoro, ancora nel terzo trimestre del 2017, è quello tra Centro-Nord e Mezzogiorno, con una differenza a favore del Centro-Nord di 20,9 punti percentuali, in aumento di 1,3 punti rispetto all’inizio della crisi nel 2008.

Il secondo è quello tra maschi e femmine, con una differenza a favore degli uomini di 18,6 punti, ridottasi di 4,3 punti.

Il terzo dualismo è quello tra adulti maturi (40-64 anni) e giovani adulti (15-39 anni), con una differenza a vantaggio dei primi di 16,5 punti, in forte e preoccupante incremento di 13,4 punti (tabella 1).

Di dualismi però se ne intravvede uno nuovo, trasversale agli altri: quello tra disoccupati e inattivi. Dal 2013 al terzo trimestre del 2017 si osserva infatti il recupero di quasi un milione di occupati . I nuovi assunti, però, provengono in prevalenza dall’area di coloro che avevano dichiarato di non cercare lavoro o di non essere immediatamente disponibili a lavorare.

Crisi e ripresa economica

Nel periodo di crisi, dal 2008 al 2013, la quota di disoccupati, sul totale della popolazione tra 15 e 64 anni, è aumentata di 3,5 punti percentuali, a seguito della diminuzione di 3,1 punti della quota di occupati e di 0,4 punti della quota di inattivi. Nella successiva fase espansiva, dal 2013 al 2017 (terzo trimestre), la quota di occupati è aumentata di 2,82 punti percentuali, assorbendo più inattivi (-2,06) e meno disoccupati (-0,76).

La crescita della quota di occupati, fin qui recuperata, proviene quindi per il 73 per cento da coloro che si erano dichiarati fuori dal mercato del lavoro.

C’è da osservare che anche durante la precedente fase di crescita, dal 1995 al 2008, i nuovi occupati provenivano per il 60 per cento da ex-inattivi, seppure in percentuale inferiore.

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È importante precisare che i saldi dei movimenti tra i tre stati del mercato del lavoro – occupati, disoccupati e inattivi – sono la risultante dei numerosissimi movimenti che avvengono quotidianamente e che coinvolgono molte più persone di quante sono sintetizzabili alla fine di un periodo.

Tra il 2013 e il 2017, le alte riduzioni degli inattivi e le basse contrazioni dei disoccupati sono evidenti anche nelle sottopopolazioni donne-uomini e adulti maturi-giovani adulti. Una differenza sostanziale si osserva però tra le due classi d’età.

La quota di occupati tra gli adulti più maturi è aumentata di 4 punti percentuali, assorbendo esclusivamente gli inattivi. Tra i giovani adulti invece si intravvede solo una microscopica ripresa, con un aumento della quota di occupati di 0,6 punti percentuali, mentre si è ridotta la quota di disoccupati di 1,4 punti percentuali (tabella 2) a seguito della scelta di proseguire gli studi.

Tra i giovani adulti quindi la riduzione della disoccupazione avviene principalmente per l’aumento della quota di studenti, con una conseguente uscita dal mercato del lavoro.

Le modalità di ricerca dell’occupazione

I migliori risultati degli inattivi emergono anche osservando le serie mensili destagionalizzate delle forze di lavoro. Dal settembre 2013 all’ottobre 2017 gli occupati risultano in aumento, di 964 mila unità, a seguito di una diminuzione di 226 mila disoccupati e di 1,066 milioni di inattivi.

È possibile quindi che gli inattivi abbiano iniziato a cercare attivamente lavoro subito dopo l’intervista mensile, ottenendo un perentorio successo. È molto probabile anche che non abbiano mai cercato lavoro nelle forme consuete, così come definite dall’International labour organizzation, e che siano entrati nel mondo del lavoro grazie a rapporti diretti con il datore di lavoro in virtù dei loro legami professionali, parentali o di amicizia.

Tale evidenza è stata peraltro ben compresa dagli stessi disoccupati visto che la modalità di ricerca di un lavoro spargendo la voce a parenti, amici o sindacati è praticata nell’85 per cento dei casi. Una percentuale, secondo i dati dell’Eurostat, vicina a quella dei greci (92 per cento) e lontanissima da quella dei tedeschi (38 per cento). Al contrario, solo il 24 per cento dei disoccupati italiani si rivolge anche a un ufficio pubblico, discostandosi di nuovo dai tedeschi (75 per cento) e avvicinandosi agli spagnoli (25 per cento).

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Le difficoltà di funzionamento in Italia di un mercato del lavoro trasparente e meritocratico potrebbero risiedere nel fatto che per trovare un lavoratore i datori di lavoro si rivolgono in prevalenza direttamente a parenti o amici e non ai centri per l’impiego. Secondo questa ipotesi, il maggiore flusso da inattivi a occupati che da disoccupati a occupati è determinato più dalle azioni dei datori di lavoro che da quelle dei disoccupati.

In queste condizioni, ai potenziali lavoratori (in particolare giovani) non resta che migrare all’estero oppure proseguire gli studi. In generale, a molti di loro non resta che sperare in un reddito di cittadinanza.

Per l’attuale generazione di giovani adulti, oltre alla pensione futura, si compromette così il normale percorso di vita, la possibilità di costruire una propria famiglia e avere dei figli.

Probabilmente alcuni giovani sono ancora “bamboccioni” o “choosy”, e forse qualcuno potrebbe inventarsi un lavoro, ma c’è da augurarsi che possano cogliere l’opportunità offerta dalla decontribuzione per le nuove assunzioni riservata ai giovani.

Occorre però sperare che anche i datori di lavoro facciano richiesta di personale adottando modalità meno familistiche e più pubbliche, contattando persone che potrebbero avere requisiti più idonei e consentendo l’ingresso nel mondo del lavoro anche a chi non li conosce personalmente.

Tabella 1 – Tassi di occupazione per ripartizione, per genere e per classe d’età

Fonte: Istat-Forze di lavoro, anno 2008 e terzo trimestre 2017 (Dati non destagionalizzati).

Tabella 2 – Quote di popolazione per condizione professionale e classe d’età

Fonte: Istat-Forze di lavoro, anno 2013 e terzo trimestre 2017 (Dati non destagionalizzati).

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  1. Gabriele Garibaldi

    Scusi ma come si fa a dedurre chi sono i nuovi occupati dai saldi finali dei tre gruppi ?
    Possibile che gli inattivi siano diventati disoccupati, e i disoccupati siano diventati occupati.
    Questo risulterebbe in:
    -saldo negativo per gli inattivi
    -saldo neutrale per i disoccupati
    -saldo positivo per gli occupati

    Non si puo sapere quali sono stati i flussi tra i gruppi guardando al saldo finale. o sbaglio ?

    2. Anche inviare un cv ad un amico o un parente figura come un azione di ricerca di lavoro (e quindi chi lo fa risulta tra i disoccupati, e non gli inattivi), no ?

    • Diego

      No perchè gli “inattivi” sono per definizione “invisibili” al sistema di welfare dei c.d. “Servizi al lavoro”, e quindi possono solo risultare come differenza tra la platea della forza lavoro potenziale (15-67 anni) e gli occupati regolari (non in nero).
      E’ come se all’anagrafe comunale non venissero registrate le nuove nascite…anch’esse figurerebbero in qualche misura “inattive” o invisibili.

    • Corrado Abbate

      I flussi tra i tre stati, rilevati con reintervista alle stesse persone a distanza di 12 mesi, sono pubblicati dall’Istat dal terzo trimestre 2014.
      Sulla base di tali dati si stima una media annua di 1,715 milioni di nuovi occupati, di cui 982 mila si erano dichiarati, nell’intervista precedente, inattivi e 732 mila disoccupati.
      Sono classificati tra i disoccupati coloro che hanno effettuato una qualunque azione di ricerca di lavoro nelle quattro settimane precedenti l’intervista (anche solo rivolgendosi, con o senza cv, a parenti o amici) e sono disponibili a breve a lavorare, o inizieranno a breve un lavoro.

  2. Corrado Abbate

    Che i flussi diretti da inattivi a occupati esistono e superano i flussi normali da disoccupato a occupato lo si può vedere anche nell’articolo di Andrea Garnero, pubblicato su questo sito il 1 dicembre scorso.
    Inoltre si può osservare che nel mercato del lavoro partecipano anche parenti stretti del datore di lavoro, come figli o coniuge (la quota di nuovi occupati aumenta quasi esclusivamente tra gli ultra quarantenni), che possono iniziare a lavorare nell’azienda di famiglia o in quella di un loro conoscente anche senza mandare alcun curriculum.

  3. Giuseppe G B Cattaneo

    L’articolo è la dimostrazione empirica che il tasso di disoccupazione è calcolato con un metodo sbagliato. Per chi pensa male, e qualche volta ci azzecca, questo errore non è casuale.

  4. Michele

    Il passaggio diretto da inattivo a occupato è illogico se applicato su grandi numeri. La sensazione è che la distinzione tra disoccupati e inattivi non riesca a catturate una realtà diventata molto più complessa e sfumata. In realtà una gran parte degli inattivi sono di fatto disoccupati e quindi le statistiche sottostimano di molto il tasso di disoccupazione

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