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Gattopardi a Londra

Come la nobiltà siciliana ai tempi del Risorgimento, molti nel Regno Unito sperano che una volta assestato il polverone Brexit, alla fine cambierà poco davvero. Intanto, riprendono voce i contrari all’uscita dalla UE e si parla di nuovo referendum.

L’epoca del Brexopardo?

In uno dei dialoghi più celebri del Gattopardo, il grande romanzo di Tomasi di Lampedusa, Tancredi spiega a suo zio, il principe di Salina, che “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Come la nobiltà siciliana ai tempi del Risorgimento, molti nel Regno Unito sperano che una volta assestato il polverone referendario, alla fine poco di sostanziale cambierà davvero rispetto al 22 giugno 2016.
Il 2018 è cominciato all’insegna di uno strano immobilismo sul tema Brexit. In realtà, con il senno di poi, la frenetica fanfara dell’autunno scorso sembra aver soltanto stabilito le caratteristiche della fase transitoria. E anche questa “decisione” è un semplice rinvio, dato che la transizione sarà di fatto identica alla situazione pre-Brexit. Nulla pare deciso sulle regole post-Brexit. Nemmeno quando la fase di transizione si concluderà.
Se mancano le decisioni di sostanza, le prime pagine dei giornali sembrano concentrarsi sull’effimero. Il pubblico è bombardato quotidianamente da notizie e proposte emotive, che però sotto le iperboli nostalgiche o ironiche che rimbalzano sui social media, si riducono a diversivi, il cui ruolo sembra essere quello di distrarre l’attenzione da possibili decisioni importanti. Così durante il furibondo dibattito sul colore del passaporto, il ministro dell’Economia non ha causato urla isteriche quando ha dichiarato che “anche se formalmente fuori dal mercato comune, il governo si è impegnato a creare un ambiente che riproduce fedelmente lo status quo, con le regole per il commercio, le frontiere e i servizi finanziari identici a quelli a cui le imprese devono sottostare oggi” (o, in breve, “Brexit means no Brexit”).

Di che colore è il tuo passaporto?

Il capriccio (come definirlo altrimenti?) del passaporto è un classico esempio dello sfondamento di una porta aperta, accompagnato dagli sciovinistici schiamazzi del Daily Mail. Dopo il pacchiano tweet di Madam May, secondo cui “l’orgoglio di una grande nazione potrà liberamente esprimersi con il ritorno all’iconico passaporto blu”, le viene fatto notare che il passaporto pre-UE era nero, non blu, e che comunque gli stati membri possono avere il passaporto del colore che preferiscono. Capriccio puerile, ma non per questo senza importanza: se avrà l’effetto di esagerare agli occhi dei meno sofisticati seguaci di Nigel Farage l’importanza di cambiamenti irrilevanti, potrebbe ottenere lo scopo di accontentarli e distrarli dalle cose che contano, come libertà di movimento di persone e merci, regole comuni, aderenza ai trattati internazionali. Allora sì, potrebbe essere il modo di cambiare tutto perché non cambi niente.

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Piccoli segnali, forse irrilevanti

Guardando sotto la superficie dell’apparente immobilismo, val la pena comunque di notare piccoli cambi e consolidamenti di posizioni. Dagli storici di domani alcuni potranno essere considerati momenti chiave per la determinazione della futura storia europea; altri, invece, saranno solo effimere distrazioni, meritevoli al massimo di una breve nota a pie’ pagina.
L’opposizione a Brexit si sta organizzando: di recente molte organizzazioni sono confluite in un gruppo (con un nome che i romantici di una certa età tradurrebbero “comitato unitario di base”) presieduto dal deputato Chuka Umunna, uno dei politici che, con il sindaco di Londra Sadiq Kahn, terrei d’occhio come possibile prossimo primo ministro laburista. Il gruppo comprende deputati di tutti i partiti, scienziati, sindacalisti, grandi e piccole imprese, intellettuali e così via.
I tory anti-Brexit ritrovano la voce, e non sono più intimoriti degli insulti o dalle minacce che ricevono dalla stampa bigotta.
Il governo è paralizzato. Alla camera dei comuni è in minoranza e in quella dei lord è completamente privo di consenso sul tema Brexit. Si rinforza sempre più la consapevolezza che la Brexit ha bisogno dell’appoggio esplicito dei laburisti. Ogni iniziativa intesa a rafforzarne la popolarità si impantana sulle secche create dall’assenza di idee e di un piano. Esempio tipico, il discorso di mercoledì 14 febbraio di Boris Johnson, annunciato come ramo d’ulivo teso ai pro-europei, si è rivelato un esercizio di pomposità linguistiche ma aria fritta in quanto a contenuti e proposte concrete.
Molti deputati, sia tory sia labour, si trovano in un triplice conflitto: i loro elettori, la politica ufficiale del partito e le loro convinzioni li spingono in direzioni opposte. In molti seggi della piccola provincia l’elettore è populista e anti-immigrazione, mentre il deputato laburista ha un punto di vista più aperto, cosa che lo distanzia anche da Jeremy Corbyn. Molti deputati tory, eletti in collegi di mente aperta, come quelli di Londra, sono senz’altro spinti dagli elettori a distanziarsi dal più becero anti-europeismo.
I sondaggi elettorali non registrano cambiamenti rispetto al risultato del voto. C’è un’ostinata risicata maggioranza pro-europea, praticamente identica a quella degli ultimi sondaggi precedenti il voto del 23 giugno 2016. Un deciso cambiamento pro-UE nei sondaggi potrebbe sbloccare molte indecisioni individuali e creare un effetto domino.
Si parla in modo abbastanza esplicito di un nuovo referendum, da tenersi una volta noti i dettagli dell’accordo con l’UE. L’idea, se non la domanda da porre all’elettorato, sembra raccogliere diversi consensi, da Nigel Farage al pro-europeo ex-ministro di Tony Blair Andrew Adonis, fino alla più cauta posizione del ministro ombra dell’Economia, John McDonnell.

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  1. Emanuele Aliberti

    Detto sinceramente, accetterei il rientro del Regno unito nella UE solamente alla condizione che sia uno stato membro a pieno titolo, non con i 10mila cavilli (“opt out”) pro domo sua che ha oggi.

    Quindi, per cortesia, inglesi tutti, il 29 marzo 2019 uscite e poi, se volete, potete compilare il modulo di adesione.

  2. Davide

    Scegliere Sadiq Khan o Chuka Umunna sono ulteriori sputi in faccia alla classe operaia bianca che ha votato Brexit e voterà conservatore. Vivi di identity politics? Perdi di identity politics.

    • Gianni De Fraja

      Credo di no. Il colore della pelle sta davvero cessando di essere un fattore che influenza l’eleggibilità di un politico. Nel caso Kahn è di vera working class, Umunna è il rampollo di famiglie di avvocati e giudici, quindi ciaramente middle-class.

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