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Chi può entrare e chi no nel Regno Unito del dopo Brexit

Le linee guida suggeriscono che il governo britannico sia ben consapevole del ruolo cruciale dell’immigrazione per l’economia del Regno Unito. Al nazionalismo provinciale e ottuso di Theresa May sostituisce così un atteggiamento più aperto e liberale.

Linee guida per immigrare nel Regno Unito

Il 19 febbraio il governo di Boris Johnson ha pubblicato le linee guida della futura politica dell’immigrazione nel Regno Unito. Il documento rappresenta un sostanziale allontanamento dalle politiche protezioniste del governo di Theresa May. Vi si trova, naturalmente, la retorica anti-immigrazione diretta al pubblico e ai media anti-europei: “finisce la libertà di movimento, e al suo posto ci sarà un sistema duro ma equo”, “distorto dalla libertà di movimento imposta dall’UE, il meccanismo di immigrazione ha danneggiato troppo a lungo la popolazione del Regno” e “impedito il successo degli immigranti altamente specializzati” che “vogliono stabilirsi in UK e contribuire alla società e all’economia del paese”.

Retorica a parte, il principio centrale è che il diritto di vivere e lavorare nel Regno Unito dipenderà solo dalle caratteristiche della persona, non più dalla sua nazionalità. In pratica, chi, indipendentemente dal paese di origine, abbia (i) un’offerta di lavoro da un’impresa autorizzata, (ii) sia al giusto livello di qualificazione e (iii) il cui inglese sia adeguato all’impiego avrà diritto al permesso di lavoro, purché soddisfi almeno una di queste quattro condizioni: (1) lo stipendio sia almeno 25.600 sterline annue lorde; (2) operi in uno dei settori in cui vi è carenza di manodopera e lo stipendio sia almeno 20.480 sterline; (3) il lavoro richieda un dottorato in una materia Stem (scienze, tecnologia, ingegneria o matematica); (4) il lavoro richieda un dottorato in un’altra materia e sia pagato almeno 23.040 sterline.

Vi sono poi altri dettagli, ad esempio un salario minimo maggiore per occupazioni che pagano in media molto e la revisione periodica dell’elenco di settori con carenza di manodopera. Oggi il principale è il settore della sanità, la cui dirigenza tirerà senz’altro almeno un mezzo sospiro di sollievo all’allentamento del vincolo all’assunzione di infermieri, il cui salario iniziale, al contrario di quello di maestri e professori delle scuole, è al di sotto del limite minimo delle 25.600 sterline.

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I diritti di cui già godono i cittadini extracomunitari – come quello di Roman Abramovich di risiedere a Londra o di Bruce Springsteen di fare concerti nel paese o come la possibilità di asilo per i rifugiati politici e la ricongiunzione familiare – sono estesi in modo automatico e unilaterale ai cittadini dell’UE.

Cosa cambia

In pratica, quindi, cambia poco per chi svolge attività di alta specializzazione o che richiedono un’elevata qualifica: costoro prima avevano il diritto a stabilirsi nel Regno Unito in qualità di cittadini UE, domani lo avranno in virtù della loro specializzazione.

Anche per i turisti cambia poco: i cittadini UE potranno entrare per un periodo fino a sei mesi (utilizzando, come svizzeri e norvegesi e al contrario degli americani, le corsie doganali dei cittadini britannici).

Cambieranno invece le cose per i lavoratori a bassa specializzazione. Con parole chiaramente rivolte agli elettori del cosiddetto “muro rosso”, le zone storicamente laburiste che a dicembre hanno eletto un deputato tory, il governo dichiara guerra alle imprese che fino a oggi hanno potuto sfruttare l’abbondante serbatoio di manodopera a basso costo dei paesi UE meno sviluppati. Quelle che non sapranno adattarsi cesseranno di operare, ma – è il messaggio del documento – non saranno rimpiante. La speranza del governo è che questo stimolerà l’investimento in tecnologia e l’impiego di lavoratori britannici, aumentandone sia il capitale umano, sia il salario.

Ci sarà ovviamente una fase di transizione: i cittadini UE regolarmente registrati nel paese fino al 30 giugno 2021 (oggi sono 3.200.000, quasi il 5 per cento della popolazione) potranno restare indefinitamente, indipendentemente dal livello di specializzazione: molti di loro hanno basse qualifiche e quindi non verrebbero ammessi con il nuovo sistema. Assieme all’aumento del 300 per cento dei permessi temporanei per lavori agricoli stagionali, questi lavoratori daranno tempo alle imprese di adattarsi alle nuove regole del mercato del lavoro: non potranno però venir sostituiti da nuovi equivalenti dipendenti.

La speranza del governo è evidentemente uno scenario roseo, in cui sia le restrizioni all’offerta sul mercato del lavoro a bassa specializzazione, sia il mantenimento (o il leggero aumento) della competitività in quello specializzato contribuiranno all’aumento del contenuto tecnologico della produzione del paese e allo stesso tempo ridurranno la disuguaglianza, aumentando i salari bassi più di quelli alti e diminuendo la disoccupazione e l’occupazione precaria o irregolare.

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Perché abbia successo, la strategia ha bisogno di sostenuti investimenti, sia pubblici sia privati. Il governo sembra intenzionato a mantenere aperto il rubinetto dell’investimento pubblico, dalla Tav ai trasporti locali. Il rischio è che gli investitori privati, sia quelli interni sia quelli esteri, continuino a temporeggiare, nell’attesa che il clima post-Brexit si definisca e l’incertezza sul futuro del paese si risolva. Senza contare la possibilità che il promesso investimento pubblico venga posticipato o ritardato per cause di forza maggiore, quali il Covid-19.

Chi ha seguito regolarmente i miei commenti sulla Brexit sa che la considero una pessima idea e che ritengo l’effetto che potrà avere sui flussi migratori, interni ed esterni, di lavoratori una delle sue conseguenze principali. La prima lettura delle linee guida suggerisce che il governo sia conscio del ruolo cruciale dell’immigrazione per l’economia britannica e che intenda sostituire il nazionalismo provinciale e ottuso di Theresa May con un atteggiamento più aperto e liberale. Vedremo se la realtà corrisponderà a questi segnali positivi.

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  1. Giuseppe GB Cattaneo

    Più che liberale definirei il provvedimento come social-corporativo. Comunque interessante e furbesco.

  2. Leonardo Fava

    Salve, articolo interessante ed esaustivo circa l’aspetto lavorativo! Per quanto riguarda le università ad ora i cittadini UE sono equiparati agi inglesi pagando le stesse tasse, ma con la brexit si viene ad essere equiparati ai cittadini extra UE (come indiani e giapponesi)?Pagando quindi tasse davvero molto più alte? Lo chiedo perché questa informazione non riesco a trovarla e mi chiedevo quanto fosse sconveniente per loro (ci penso 3 volte se studiare in uk con i prezzi molto più alti, e credo che valga anche per altri europei) ma al tempo stesso inevitabile vista la loro politica sull’immigrazione ed il senso stesso della brexit!
    Grazie per chi ha una risposta.
    Leonardo Fava

    • Gianni De Fraja

      Per problemi di spazio non ho parlato degli studenti, che richiederebbero un pezzo a parte. A parte l’Erasmus, che dipenderà da accordi a livello nazionale (da sempre turchi, russi, norvegesi e svizzeri partecipano all’Erasmus), le rette che i cittadini Ue dovranno pagare saranno scelte da ogni università indipendentemente dal vincolo attuale di essere le stesse dei cittadini britannici, salvo accordi internazionali per ora inesistenti. Quindi in teoria un italiano potrebbe pagare meno di un indiano o cinese. Tuttavia questo potrebbe rendere più facile casi legali di discrimnazione. In pratica, molte università già non fanno differenza tra Home e Overseas per corsi post-graduate, e le università che conosco non hanno ancora preso decisioni per quanto riguarda le rette, penso si aspetti una decisione coordinata tra istituzione e dal governo. Il motivo per cui non si trovano informazioni online è perché le decisioni di medio termine non sono ancora state prese.

  3. Carlo

    Siamo sicuri che cambierà poco per i lavoratori qualificati? Due considerazioni: 1) se la burocrazia inglese sarà irragionevolmente onerosa, i medici italiani greci etc potranno preferire andare a lavorare in un altro paese europeo. Mariti e mogli di medici europei potranno lavorare qui? E fidanzati e fidanzate non sposate? La burocrazia inglese sa essere kafkiana (vedi lo scandalo Windrush, o i visti negati a scienziati asiatici e africani di cui hanno parlato Financial Times e Guardian. 2) Il visto dovrà essere sponsorizzato dal datore di lavoro? Un lavoratore qualificato potrà cambiare lavoro o dovrà richiedere un altro visto per farlo?

    • Gianni De Fraja

      Tutte ottime e precise domande, vedo di rispondere al meglio della mia conoscenza, chi magari sa di più mi contraddirà. Nella mia esperienza la burocrazia inglese è nel complesso ragionevole, ci sono eccezioni, e vengono commessi errori; certo il clima per gli stranieri è peggiorato dopo il referendum. Sul ricongiungimento famigliare la situazione diventa quella di un cittadino americano, e sì i coniugi potranno risiedere, senza lavorare, e lavorare se hanno i requisiti (anche senza, ma con un numero massimo di ore, mi pare). Per le coppie di fatto non so. Ma non si legge che sia un problema, e conosco colleghi il cui partner vive qui, per cui penso ci sia una strada. Secondo le linee guida, l’offerta di lavoro (con le condizioni), dà diritto al visto, e quando si cambia lavoro, purché il nuovo posto di lavoro abbia i requisiti, si mantiene il diritto di lavorare. Ma non sono un avvocato, quindi non ne sarei sicuro.

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