Il nuovo anno porta tanti aumenti delle tariffe dei servizi di pubblica utilità. Eppure molte delle imprese che li forniscono sono pubbliche e perlopiù sottoposte al controllo di autorità indipendenti. Una ricerca spiega i motivi per i quali i regolatori sono timidi nel tagliare gli extraprofitti.
IL BUON ANNO SI VEDE DAI RINCARI
In questi primi giorni del 2013 il cittadino italiano ha visto aumentare le tariffe di molti servizi di pubblica utilità. Le ultime notizie di stampa riportano che le tariffe autostradali sono in media aumentate del 3 per cento, quelle del gas di circa il 2 per cento, il canone Rai è anch’esso aumentato, e così pure le tariffe del servizio idrico (+5-6 per cento). Solo le tariffe elettriche hanno subito una parziale riduzione (-1,2 per cento circa). Insomma, proprio un buon inizio d’anno.
I rincari potrebbero essere giustificati dall’aumento dei costi di produzione o dai maggiori investimenti in infrastrutture dei vari operatori, ma non è nostra intenzione commentarne nello specifico l’appropriatezza. Piuttosto, con l’inizio del nuovo anno e di una nuova campagna elettorale, vogliamo portare l’attenzione su un tema molto rilevante per questi settori, non solo in Italia ma in tutti i paesi europei: il ruolo dell’indipendenza dei regolatori nazionali e la sua interazione con le istituzioni politiche.
L’INDIPENDENZA DELLE AUTORITÀ
Dalla fine degli anni Novanta, nei principali paesi europei operano autorità di regolazione indipendente, in particolare nei settori dell’energia e delle telecomunicazioni (in Gran Bretagna erano state introdotte almeno un decennio prima). Nel nostro paese, l’Aeeg si occupa dei settori dell’elettricità e del gas (e recentemente ha acquisito anche le competenze nel settore idrico) e l’Agcom delle comunicazioni (telefonia e tv). Ci sarebbe anche un regolatore per i trasporti, se solo la sua istituzione non si fosse fermata per motivi principalmente politici.
Il punto fondamentale però non è avere un regolatore formalmente indipendente, ma anche realmente libero dall’influenza della politica. Qui il tema si complica perché l’effettiva indipendenza è legata alla proprietà delle imprese. Le riforme strutturali introdotte agli inizi degli anni Novanta avrebbero dovuto favorire la privatizzazione completa delle imprese regolate, così da creare una reale separazione tra impresa e soggetto pubblico che fissa le regole di funzionamento del mercato (prezzi e qualità dei servizi e condizioni di entrata). Il processo di privatizzazione si è invece fermato a metà, e oggi molte utilities, non solo in Italia ma in gran parte dell’Europa, Gran Bretagna esclusa, sono ancora sotto controllo di un socio pubblico. (1) Per citare l’Economist di un anno fa, “How can the State regulate the firms it also runs?”. (2)
Una nostra ricerca – basata su un panel di imprese quotate europee (EU15) nel periodo 1994-2005 e operanti nei settori delle telecomunicazioni, energia, acqua e trasporti (aeroporti, porti e autostrade) – ha cercato di indagare il fenomeno partendo da un fatto abbastanza sorprendente: il maggiore valore di mercato delle utilities a controllo pubblico rispetto a quelle private, che si realizza, in particolare, quando nel settore è presente un’authority indipendente (circa il 15 per cento nei primi tre anni). (3)
L’IMPORTANZA DELLE REGOLE ISITUZIONALI
Come si può spiegare questa evidenza empirica? Con buona pace dei sostenitori delle privatizzazioni, le imprese pubbliche potrebbero essere più efficienti delle private, ma se ciò fosse vero, la maggior efficienza dovrebbe premiarle anche in assenza di un’autorità indipendente, anzi il regolatore dovrebbe contribuire a ridurre nel tempo eventuali extraprofitti rivedendo al ribasso le tariffe, riportando i valori di mercato a livelli “normali”. La nostra spiegazione, suffragata dall’analisi empirica, è che in presenza di controllo pubblico delle imprese il regolatore fatica a rimanere davvero indipendente sotto la pressione dei politici in carica. Reclamando condizioni più favorevoli che consentano alle loro utilities una redditività più alta, e pertanto maggiori dividendi, amministratori locali e ministri delle Finanze possono chiudere i propri bilanci evitando nuove tasse, tagli della spesa pubblica o altre decisioni politicamente costose. La percezione e l’aspettativa, da parte dei mercati, che il governo possa intervenire a favore dell’impresa pubblica tramite il regolatore fornendo una sorta di “aiuto indiretto”, a sua volta, contribuisce a spingere verso l’alto il valore di mercato delle imprese. Abbiamo definito questo regime regolazione riluttante, in cui authority formalmente indipendenti tendono a concedere un regime speciale alle imprese a controllo pubblico.
Cosa determina questa riluttanza dei regolatori? Le istituzioni politiche sembrano giocare un ruolo fondamentale. L’analisi empirica mostra che nei paesi dove i vincoli istituzionali alla discrezionalità dei governi sono maggiori non vi è alcun effetto premiante della proprietà pubblica: al contrario le imprese a controllo privato – come generalmente riconosciuto dalla letteratura di finanza – valgono di più. In altre parole, se le istituzioni sono forti e strutturate così da evitare un’eccessiva ingerenza dei governi in carica, il regolatore non esiterà a tagliare eventuali rendite ed extraprofitti a prescindere dal tipo di proprietà (pubblica o privata) dell’impresa. In un contesto istituzionale debole, dove mancano ad esempio checks and balances, l’ingerenza della politica diventa più facile, e ciò può portare a una regolazione sbilanciata a favore delle imprese a controllo pubblico, al di là di ogni motivazione di efficienza.
Quali implicazioni di policy si possono trarre dai nostri risultati? Per rendere credibile l’azione delle authority e, quindi, indurre il cittadino ad accettare meno malvolentieri eventuali incrementi tariffari, sarebbe utile riformare l’architettura istituzionale rafforzando i contrappesi alla discrezionalità amministrativa dei governi. Si tratterebbe di una riforma a costo zero, ma essenziale per migliorare il funzionamento di questi settori tanto importanti nell’economia di ogni paese europeo, incluso il nostro, dove peraltro è previsto un aumento del ruolo dello Stato in molti settori regolati tramite l’intervento della Cassa depositi e prestiti.
Un’alternativa più semplice potrebbe essere la privatizzazione completa delle utilities, che eliminerebbe alla radice il conflitto di interesse fra politici e regolatori. Ma anche in questo caso, regolatori credibili e indipendenti saranno necessari per evitare fenomeni di “cattura”, questa volta da parte del settore privato.
(1) In un recente volume curato da G. Roland (2008), Privatization: Successes and Failures. Columbia University Press, New York, si legge che circa l’85 per cento delle utilities che hanno affrontato processi di privatizzazione in Europa sono ancora sotto il controllo dello Stato ai suoi diversi livelli (nazionale e locale).
(2) The Economist, 22 gennaio 2012, The Rise of State Capitalism. Special Report, pagina 17.
(3) Bortolotti B., Cambini C., Rondi L., “Reluctant Regulation”, Journal of Comparative Economics, in corso di stampa.
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Michele
Il “regolatore credibile” e indipendente temo sia una chimera. La privatizzazione completa delle utilities temo peggiori la situazione, attraverso un processo ancora piu opaco: influenza dei privati proprietari delle utilities sui politici che a loro volta inflenzano ( anche piu liberamente) i regolatori
Sergio Ascari
Molto interessante. La cattura non è nuova e la privatizzazione non risolve, il fatto è che nessun regolatore è davvero indipendente, a meno che il ruolo sia riservato a chi non ha figli nè ambizioni come Cincinnato. Non so se il vostro campione considera però anche i casi opposti, quelli in cui regolatori dominati da governi anche democraticamente eletti regolano sottocosto: sono molto frequenti e paradossalmente possono portare a costi più alti nel medio termine.
Come ex funzionario dell’Autorità per l’energia, per favore non confondiamo gas e autostrade, c’è un abisso. Magari avessimo AEEG per le autostrade e le ferrovie!
Luciano
Quello delle privatizzazioni è un mantra. Dovunque si sono massicciamente privatizzati servizi pubblici (sanità,trasporti,istruzione,ecc) e beni comuni (es.acqua) prezzi e tariffe sono aumentati a tal punto da rendere il tutto inaccessibile ai meno abbienti; spesso alla maggioranza della popolazione.
Esempi eclatanti sono le università e la sanità USA. Un discorso a parte merita l’acqua.
La Francia sta tornando indietro sulla privatizzazione. In USA le municipalità si tengono ben stretti i servizi idrici. Bolivia,Ecuador,Uruguay hanno stabilito in Costituzione che l’acqua è un diritto primario. L’Argentina ha cacciato le multinazionali dell’acqua dal paese.
In Italia i cittadini hanno rifiutato la privatizzazione di acqua -e più in generale dei servizi pubblici- attraverso i referendum. Il problema in Italia sono sprechi ed eccessiva fiscalità (es.costo di carburanti, gas ed energia). Privatizzare è un falso rimedio.