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Reddito di cittadinanza o gioco delle tre carte?

Il reddito di cittadinanza così come raccontato dal M5s è un reddito di disoccupazione condizionato alla partecipazione attiva al mercato del lavoro. Come si finanzia? Ci sono solo due opzioni: o in deficit o avrà effetti minimi su occupazione e reddito.

Il finanziamento in tre punti

Il cosiddetto reddito di cittadinanza (Rdc) è una delle misure di politica economica più discusse degli ultimi tempi. Secondo la formulazione avanzata dal ministro del Welfare in “pectore” del M5s, Pasquale Tridico, il meccanismo funzionerebbe nel modo seguente. Un lavoratore scoraggiato si iscrive a un cosiddetto centro per l’impiego (Cpi). La mera iscrizione comporta lo sforzo attivo di ricerca di un lavoro (coadiuvato dal Cpi), remunerato dal Rdc. L’erogazione del reddito è condizionata a non rifiutare più di tre offerte di lavoro (se “consone”), pena la perdita del beneficio. Il contratto implicito avrebbe un duplice vantaggio. Primo, far fuoriuscire statisticamente il lavoratore dalla categoria di inattivo, trasformandolo in disoccupato in cerca di lavoro. Secondo, assistere il suo reddito e la sua capacità di spesa, con possibili implicazioni positive per la domanda aggregata dell’economia. Come tale, il Rdc è in realtà un reddito di disoccupazione condizionato alla partecipazione attiva al mercato del lavoro. Nel suo remunerare per cercare lavoro, richiama la logica della famosa prescrizione di Keynes: durante una crisi, pagare lavoratori pubblici per scavare e riempire buche nel terreno.

Come si finanzia il Rdc? La risposta è in tre passaggi, tutti come vedremo discutibili o addirittura fallaci.

  1. Il trasferimento di lavoratori dal gruppo degli “inattivi” a quello dei “disoccupati in cerca di lavoro” aumenta la forza lavoro potenziale.
  2. Maggiore forza lavoro potenziale aumenta il Pil potenziale, cioè la capacità produttiva dell’intera economia.
  3. Uno dei requisiti del Fiscal compact è che i paesi ad alto debito (maggiore del 60 per cento del Pil) della zona euro mantengano il rapporto “deficit strutturale-Pil” costante (allo 0,5 per cento del Pil). Il deficit strutturale è la differenza tra uscite (spesa pubblica) ed entrate (tasse) depurato da fattori ciclici contingenti (ad esempio la necessità di fare più deficit perché l’economia è in recessione). Il maggiore Pil potenziale (ottenuto al punto 2) consentirebbe di espandere il deficit strutturale mantenendo il rapporto “deficit strutturale-Pil” costante. Sarebbe quindi possibile finanziare il Rdc con maggiore deficit pubblico, ma senza violare il Fiscal compact. Insomma, la quadratura del cerchio.

Discutiamo ciascun punto in ordine.

Il Rdc aumenta la forza lavoro potenziale?

Sul fatto che il Rdc aumenti la forza lavoro potenziale sorgono almeno tre perplessità.

Innanzitutto, il Rdc dovrebbe richiamare lavoratori tipicamente scoraggiati perché da molto tempo ai margini del mercato del lavoro. Lavoratori quindi dequalificati, difficili da inserire nel sistema produttivo e che richiederebbero quantomeno una significativa fase di riqualificazione. Definire questo passaggio un aumento della forza lavoro potenziale dell’economia è quantomeno azzardato.

Secondo, i lavoratori inattivi sarebbero indotti ad attivarsi nella ricerca di un lavoro in una fase in cui strutturalmente la nostra economia produce posti di lavoro in modo asfittico e spesso di produttività molto bassa. È altamente probabile che una larga percentuale di questi lavoratori (proprio per la loro obsolescenza) non riuscirebbe a trovare un “match” con il mercato del lavoro entro due anni, essendo quindi costretta a rientrare nel bacino degli inattivi. È vero che perderebbero così il diritto al Rdc, ma è altrettanto vero che è inaudito considerare la loro temporanea, e altresì remunerata, partecipazione al bacino dei disoccupati inattivi come un incremento della forza lavoro strutturale dell’economia. Quest’ultima risponde invece all’evoluzione di lungo periodo sia dell’efficienza tecnologica che del livello di istruzione del fattore lavoro. Non si altera certo da un giorno all’altro con l’iscrizione ai Cpi di masse di lavoratori scoraggiati.

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Terzo, quanta parte dei cosiddetti scoraggiati è veramente inattiva? È plausibile, specialmente in Italia e nel Mezzogiorno, che una quota non piccola di questo bacino di lavoratori operi in realtà nel sommerso. Iscriversi a un Cpi è meno faticoso di scavare buche nel terreno. Il rischio è quello di un incentivo perverso a continuare a lavorare nel sommerso a salari marginalmente più bassi percependo allo stesso tempo il Rdc. Di fatto, il reddito di cittadinanza spingerebbe al ribasso il salario di riserva a cui ciascun lavoratore sarebbe disposto a lavorare nel sommerso, incentivando così la domanda di lavoro in nero. Ciò deprimerebbe (invece di espandere) la forza lavoro potenziale.

Maggiore forza lavoro potenziale implica maggiore Pil potenziale?

Il Pil potenziale misura la capacità strutturale (in assenza di frizioni di mercato) di produrre reddito di una economia. Se un milione di persone che ora appartengono al gruppo degli inattivi scoraggiati è improvvisamente indotto (grazie al Rdc) a cercare un lavoro, è plausibile che d’incanto aumenti la capacità produttiva strutturale dell’economia? Sono almeno due le perplessità di fondo.

In primo luogo, il fattore lavoro nel suo complesso ha un certo grado di complementarietà con il fattore capitale, per un dato livello di produttività aggregata dei fattori. Semplicemente aggiungere “forza lavoro potenziale” non incrementa la “capacità produttiva potenziale” dell’economia. Prima di produrre reddito, il lavoro va combinato con il capitale. Quest’ultimo passaggio è costoso, lento, complesso e non meramente contabile. Se si convincono, grazie al Rdc, ex-infermieri maturi disoccupati di lungo corso ad accettare un lavoro in una azienda agricola, la loro inabilità a far funzionare macchinari tecnologicamente avanzati per l’irrigazione determinerà una minore, e non una maggiore, produzione per unità di lavoro impiegato.
Secondo, la Commissione calcola il Pil potenziale come funzione della forza lavoro potenziale al netto del tasso di disoccupazione naturale (cosiddetto “Nawiru”, o tasso di disoccupazione a inflazione salariale costante), che a sua volta riflette la serie storica passata della disoccupazione. Abbiamo visto che il Rdc fa crescere i “disoccupati attivi”. Poiché proprio sulla base della metodologia della Commissione ciò fa anche crescere il Nawiru, l’effetto finale sul Pil potenziale è ridotto o nullo, invalidando così le premesse stesse dello schema.

Rapporto deficit strutturale-Pil costante?

Se anche ignorassimo i due punti precedenti (ed è un grosso “se”) e ipotizzassimo eroicamente che il Rdc sia in grado di innalzare sia la forza lavoro che il Pil potenziale, rimane una ulteriore perplessità di tipo logico-contabile. Uno dei pilastri del Fiscal compact richiede ai paesi ad alto debito (quale l’Italia) di mantenere il rapporto “deficit strutturale-Pil” costante. Che cos’è esattamente il deficit strutturale? È la differenza tra deficit corrente (spesa meno tasse) e deficit ciclico. A sua volta il deficit ciclico è calcolato, secondo i parametri della Commissione europea, come proporzione “kappa” del cosiddetto “output gap”, cioè la differenza tra Pil potenziale e Pil effettivo. L’idea di base è che se il Pil effettivo, durante una recessione, si allontana temporaneamente dal Pil potenziale, il deficit ciclico possa aumentare, per dare fiato all’economia. È un elemento di flessibilità del Fiscal compact, generalmente non apprezzato a sufficienza.

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Possiamo quindi in sintesi scrivere:

deficit strutturale = (spesa pubblica-tasse) – kappa*(Pil potenziale – Pil effettivo)

Il punto cruciale da ricordare è che il Pil effettivo dipende a sua volta dalla spesa pubblica, secondo il cosiddetto moltiplicatore. Se lo stato aumenta la spesa pubblica, ciò fa crescere la domanda aggregata e quindi il reddito dell’economia. Il punto di discussione solitamente riguarda le proporzioni dell’effetto: un euro in più di spesa pubblica aumenta il Pil aggregato dell’economia di meno o di più di un euro? In altre parole, il rapporto spesa pubblica-Pil aumenta o diminuisce? Su questo la letteratura scientifica è estremamente divisa.

In ogni caso, consideriamo il nostro esperimento di base. Pur con tutte le perplessità esposte sopra, supponiamo che l’iniziale iscrizione ai Cpi porti a un iniziale aumento della forza lavoro potenziale e del Pil potenziale e che lo stato incrementi la spesa pubblica di 19 miliardi per finanziare il Rdc. Per rimanere in linea con il Fiscal compact, e ignorando le tasse per semplicità, dovremo avere che la variazione del deficit strutturale sia zero. Sarà quindi sufficiente che l’incremento del Pil potenziale e l’incremento della spesa pubblica (vedi espressione sopra) siano equivalenti. E il gioco è fatto.

Il ragionamento però assume che il Pil effettivo rimanga costante. In realtà, quanto più l’incremento di spesa pubblica (cioè il Rdc) tende a tradursi in maggiore Pil effettivo, tanto minore sarà la variazione dell’output gap, cioè della differenza tra Pil potenziale ed effettivo. Banalmente, se a un incremento del Pil potenziale segue anche un incremento del Pil effettivo, la loro differenza, cioè l’output gap, tende a rimanere invariata. Al limite, se l’incremento di spesa pubblica si traducesse in un incremento del Pil effettivo esattamente proporzionale all’incremento del Pil potenziale, la spesa per il Rdc si tradurrebbe semplicemente in maggiore deficit strutturale, violando così l’assunto del Fiscal compact.

Si noti quindi il paradosso: quanto più il Rdc tende a produrre il vero scopo per cui è stato pensato, cioè un aumento della domanda aggregata e del Pil effettivo (e quindi maggiore lavoro e reddito), tanto meno è compatibile con il mantenimento dei vincoli europei di bilancio. Quindi delle due l’una. O si dice onestamente al paese che il Rdc è una misura che può essere finanziata solo in deficit, violando uno degli assunti del Fiscal compact; oppure si dice che si vuole rimanere in linea con il Fiscal compact, ma che la misura produrrà solo effetti minimi (o nulli) su occupazione e reddito.

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14 commenti

  1. Savino

    Il dato preoccupante è che stiamo assistendo ad un sostanziale discredito dell’impegno profuso da un individuo per la ricerca e l’esercizio del lavoro.
    La parola d’ordine rischia di essere “fesso chi lavora”, con il depotenziamento di ogni forma di sacrificio, fisico e mentale.
    Avrei voluto vedere se un’Italia del dopoguerra così disimpegnata e così facilona sarebbe riuscita mai a generare il boom degli anni ’60.
    Così si avverte tutto il rischio che la crisi possa diventare un alibi, in un’Italia di furbetti, dove si compiono azioni indicibili (riprese in modo ironico da alcuni film, puntualmente superati dalla realtà) per il mito del guadagno facile e senza sforzi.

    • michele di saverio

      la povertà non può diventare conveniente, perchè viene altrimenti meno il principio meritocratico. tuttele democrazie ormai hanno una misura di protezione contro la povertà estrema. E danoi sarebbe pure condizionata a certi requisiti.

      con 8 miliardi di euro l’anno potrei “proteggere” un milione di persone a 600 euro netti al mese.

      La tranquillità di avere un diritto intangibile, che è molto più della buona fede delle associazioni di volontariato (che possono aiutare chi vogliono), avrebbero l’effetto opposto di spingere la gente a “volere di più” che una mera sopravvivenza e, garantiti dei bisogni primari (ho da mangiare, un tetto, da scaldarmi..) avrebbe l’effetto di pianificare con cura un proprio avvenire migliore.

      Ma spesso la povertà è incolpevole. Questi disoccupati sono persone qualificate che hanno fatto sacrifici fisici e metali per arrivare. Eppure si trovano alla fame. Per colpa del progresso dell’automazione o di qualche datore senza scrupoli che licenzia anche con un’azienda in attivo e in crescita di utili e di quote. Solamente per guadagnare ancora di più.

      Bisogna finanziare la riforma con:
      * un divieto di cumulo permanente fra le pensioni,
      * una tassa, sullo stesso “capitolo di spesa”, che renda costosi i licenziamenti collettivi e di Borsa (chi fa utili e cresce di fatturato, e lascia a casa la gente)
      * l’obbligo, anche retroattivo, di restituire contributi, esenzioni, indennizzi a chi incassa soldi dallo Stato e poi delocalizza prima di 10 anni

      • Savino

        E’ vero che la politica ha il dovere di ascoltare. Ma se le aspettative sono sproporzionate rispetto ai bisogni, la politica ha anche il dovere di tapparsi le oreccchie ed indicare la retta via del lavoro.

  2. Luca

    La spesa per gli ammortizzatori sociali è già di circa 20 miliardi di euro, si tratta semplicemente di sostituire un sistema che non ha dato alcun risultato positivo con altro sistema.

  3. Roberto

    Se i suoi dubbi sull’aumento del pil potenziale sono veritieri è quindi probabile che con il reddito di cittadinanza ci sia prima un’aumento di pil effettivo dovuto all’incremento della spesa pubblica e di conseguenza un minor output gap e maggior deficit strutturale. Che ne pensa?

  4. luca05

    Ma non ci avevano sempre detto e raccontato fino alla nausea che per il Reddito di Cittadinanza avevano tutte le coperture e coperture perdippiù “bollinate” -nientepopodimeno chè- dalla Ragioneria dello Stato??? Adesso -contrordine- ci dicono che il RDC si può fare solo a debito e per di più con trucchetti contabili…

  5. Michele

    Il reddito di cittadinanza è un modo diverso di chiamare una vera riforma strutturale che preveda una generale indennità di disoccupazione. Misura che hanno tutti i paesi europei e che in Italia manca o è organizzata in modo frammentario e iniquo. L’alternativa – caldeggiata dall’autore – è di lasciare le “masse di lavoratori scoraggiati” e “dequalificati” al loro destino ai margini della società ad alimentare l’economia sommersa.

  6. Premesso che ho molti dubbi sulla efficacia e validità del RDC anche se siamo in fondo ai paesi europei per quanto riguarda la spesa sociale per senza lavoro e quindi quantomeno andrebbe aumentato il reddito di inclusione varato da ultimo governo; noto che si ammette che una aumento della spesa dello stato aumenta il pil effettivo cosa che in passato è stata negata, forse sarebbe meglio impiegare tanti soldi in un piano di investimenti piuttosto e che questo per logica dovrebbe essere escluso dal deficit ma sono cose troppo intelligenti per la Europa attuale

  7. michele di saverio

    E’ un problema di ordine pubblico e di giustizia sociale, primachè economico.

    Il problema di base sono i milioni di famiglie che stanno crepando di fame in Italia. E che gli economisti ignorano.
    La democrazia si fonda da 2.000 anni su un reddito medio distribuito all’interno del ceto medio. Se nza il quale è difficle pensare che si riesca a tenere l’ordine pubblico e la nazione unita, mentre la gente si lascia morire di fame restando a guardare.

    Il ragionamento sembra poco quantitativo. Se siamo il “Paesi dei furbi” e molti manterrebbero RdC e lavoro in nero, si può rispondere che senza il RdC altrettanti patrioti continuerebbero a cumulare pensioni false su pensioni false, rubando soldi all’INPS sotto altro nome.

    2) I lavoratori in nero sono molti di meno di quelli con un lavoro in regola. L’RdC avrebbe l’effetto di fissare un salario minimo, di evitare che l’eccesso di offerta di manodopera porti a zero il prezzo di mercato…Se mi paghi meno di tot., tanto vale starsene a casa senza far niente..
    A leggere le cifre sulla povertà, la stragrande maggioranza dei disoccupati non ha un lavoro sufficiente per vivere.

    3) l’RdC si può finanziare con una tassa. Di cui nessuno parla. E’ il modo di redistribuire equamente i guadagni di produttività (su capitale e lavoro) generati dalla rivoluzione tecnologica, e da quella in corso. Che è la causa e la colpevole della disocuppazione di massa, ben oltre la crisi. Guadagni introitati dai pochi soliti noti e rubati ai più

  8. Marco

    I mie complimenti all’autore per questo articolo che propone molti spunti interessanti.

    Tuttavia ho alcuni dubbi a cui spero l’autore o chi altro possa rispondermi.

    La proposta del M5S prevede un tot di ore obbligatorie settimanale da spendere in formazione e in lavoro socialmente utile, mi pare sia stato un punto non discusso nell’articolo e mi chiedevo quanto questo vada ad intaccare il concetto dell’incentivo al lavoro nel sommerso.

    In quanto alle coperture, cosa ne pensa di trasferire parte delle politiche riguardanti i sussidi di disoccupazione specie quelli chiaramente inefficaci come la cassa-integrazione verso il reddito di cittadinanza?

  9. Valerio

    Sul trattare la questione si continuano ad omettere alcuni punti fondamentali del Rdc.
    Innanzitutto è stato specificato quanto sia necessario il potenziamento e l’organizzazione dei centri di collocamento, corsi e interconnessioni col mondo del lavoro prima di rendere attiva l’erogazione del Rdc.
    A mio modo di vedere totalmente errata la parte dove si ipotizza una “incentivazione” del sommerso a minor reddito, in quanto come fatto notare da altri commenti, sono obbligatorie anche ore di corsi e partecipazione a lavori di carattere pubblico per poter continuare ad avere il Rdc (quindi è una sicura disincentivazione al nero e anzi rende possibile individuare eventuali casi di totale nero escludendo la possibilità che persone prediligano il non lavorare e stare sotto un ponte al provare ad essere reinseriti nel mondo del lavoro o avere un reddito).
    Non di minore importanza è l’assorbimento nel Rdc di altre forme si assistenzialismo che, come organizzate oggi, sono realmente una incentivazione a rimanere svogliatamente inattivi o passivi nella ricerca del lavoro. Banali esempi, lavori stagionali che prevedono nella pausa un sussidio di disoccupazione non controllato con gente che può andare serenamente in vacanza a spese dello stato; sussidio di disoccupazione (aspi e similari) dove anche qui non è necessario niente se non l’iscrizione ai centri per l’impiego ecc.ecc
    Questa sarebbe quindi parte della copertura che non viene considerata e annullerebbe qualcosa di davvero deleterio

    • Flavio

      E’ da tanti anni che si sente parlare di modernizzazione dei centri per l’impiego da parte dei vari governi ed ancora non vi sono stati risultati concreti. Perchè adesso la strategia dovrebbe funzionare? Lo chiedo perchè a me piacerebbe che funzionassero davvero. Però sono scettico.

  10. giovanni di Luigi

    La legge italiana consente al datore di non adottare nessun contratto collettivo nazionale di lavoro.

    Il Jobs Act ha sostituito con un indennizzo in denari l’obbligo di reintegrare nel posto di lavoro il lavoratore licenziato senza giusta causa o giustificato motivo, ponendo un tetto massimo che il datore ha la certezza di non superare.

    Se il licenziamento diviene di fatto libero, il lavoratore dovrebbe quanto meno avere la certezza di un salario minimo, laddove il contratto collettivo a lui più favorevole non è applicato.

    Il reddito minimo di cittadinanza avrebbe l’effetto di allineare il mercato del lavoro a una retribuzione minima oraria. Un reddito mensile di 800 euro rapportato a 160 ore di lavoro ordinario, porterebbe tale soglia di riferimento a 5 euro/ora: per retribuzioni inferiori a tale cifra, è ipotizzabile che il lavoratore rifiuti l’impiego, a favore del sussidio. In sostanza, il reddito minimo aiuta non solamente i nullatenenti, ma soprattutto garantisce “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e
    qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla
    famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
    La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.” (art. 36 del pdf:
    http://www.quirinale.it/page/costituzione. Sito: (MUSEO) del Quirinale).

    Nota a latere: nella scansione del foglio finale Enrico De Nicola non è indicato con la dicitura di “Capo Provvisorio dello Stato”.

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