Lavoce.info

La notte della democrazia

Da ormai più di un decennio, il numero di stati del mondo che possono essere considerati democratici è in calo. Nell’ultimo anno il problema si è ulteriormente acuito in tutte le regioni. Le ragioni sembrano essere sia economiche sia geo-politiche.

Situazione in peggioramento

Sono oramai quasi dodici anni che il numero di stati che possono essere considerati democratici è in calo. Anche la qualità dei diritti politici e delle libertà civili garantiti dagli stati così detti democratici ha subito un netto peggioramento o è sotto attacco. Nell’ultimo anno, poi, il problema si è ulteriormente acuito in tutte le regioni del mondo. Eppure, dopo la seconda guerra mondiale e soprattutto dopo la caduta dell’impero sovietico, i regimi democratici sembravano avere vinto la loro secolare battaglia.

Qualche grafico ci aiuta a misurare il fenomeno. Ogni anno Freedom House, un’organizzazione americana indipendente, pubblica un rapporto, “Freedom in the World”, nel quale vengono valutati il grado di libertà di oltre 200 paesi. La metodologia prevede la costruzione per ogni paese di un indicatore sintetico che può oscillare da 0 a 100. Questo a sua volta è composto da 25 indicatori, che oscillano tra 1 e 4 e misurano il grado di libertà in base a diversi parametri che traggono origine dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Secondo Freedom House, la percentuale di paesi che possono considerarsi democratici (in termini di diritti politici, civili, economici, di opinione e così via), dopo essere cresciuta dal 35 al 48 per cento fra il 1987 e il 2007, si è ridotta al 45 per cento negli ultimi dieci anni (figura 1). Paesi come la Turchia, il Venezuela, Ungheria e la Polonia, che sembravano avviati a diventare solide democrazie, hanno conosciuto un drastico peggioramento negli ultimi anni (figura 2).

Figura 1 – Percentuale dei paesi che posso essere considerati liberi

Figura 2 – Paesi che hanno visto i maggiori peggioramenti nel 2007-17

Numerosi sono gli esempi di recente aggravamento del clima politico e civile. Si pensi alla Tunisia, unico paese uscito dalla primavera araba con un assetto più libero: negli ultimi anni è stato costretta a rinviare più volte le elezioni locali, ha visto prevalere il potere esecutivo su quello legislativo e i media hanno subito crescenti intimidazioni. Lo stesso vale per il Gabon, l’Ucraina, il Messico, le Maldive e Malta. Persino i paesi asiatici, che avevano mostrato un netto miglioramento dei loro standard, hanno visto una drastica inversione di marcia.

Leggi anche:  Promesse da campagna elettorale nei due programmi*

Certamente, esistono paesi in cui il sistema politico e civile è migliorato, ma si è via via ampliata la forbice fra il numero di stati dove si è registrato un peggioramento e quelli dove la situazione è migliorata (figura 3).

Figura 3 – Numero di paesi in peggioramento e miglioramento 2006-17

Il caso Stati Uniti

I segnali più preoccupanti, tuttavia, provengono dagli Stati Uniti, per molti decenni considerato paese leader dei valori democratici. Sia Freedom House che The Economist Intelligence Unit, da qualche tempo, non assegnano più un punteggio pieno agli Usa. La tendenza è iniziata sotto l’amministrazione Obama, benché più di recente abbia conosciuto un netto peggioramento. La caduta della fiducia nelle istituzioni, la presenza di problemi nei meccanismi elettorali, il corso della giustizia penale, la condotta etica della classe dirigente e, in particolare, del presidente Trump in termini di conflitti d’interesse, trasparenza, attacco ai media, spiegano la caduta. Certamente i meccanismi di pesi e contrappesi presenti nel sistema statunitense rimangono ancora saldi, ma la leadership americana nel mondo è in calo, ovunque.

La caduta dell’egemonia americana non è stata accompagnata da una maggior presenza delle altre economie liberali – in particolare Europa e Giappone – bensì da un aumento dell’attivismo di due paesi tradizionalmente autocratici come la Russia e la Cina. La prima ha cercato di interferire nelle ultime elezioni americane, francesi e tedesche e, forse, italiane, supportando i partiti xenofobi, ha minacciato o invaso i paesi confinanti e ha sostenuto militarmente regimi autoritari nel Medio Oriente. Le ambizioni egemoniche della Cina sono ancora più globali, anche se in questo caso il potere economico è stata la migliore arma. La recente decisione di abolire il limite di eleggibilità del presidente, lo stretto controllo dei social network e la repressione dei dissidenti residenti all’estero, sembra rendere più improbabile un lento passaggio del Regno di mezzo verso un sistema più democratico, come molti politologi avevano previsto.

Leggi anche:  Nell'America divisa vince Trump

Tutto ciò è avvenuto in un mondo che, al di là della crisi finanziaria del 2007-9, ha visto milioni di persone uscire dalla povertà e migliorare i loro standard di vita. Le disuguaglianze sono certamente aumentate all’interno dei singoli paesi, ma soprattutto il mondo è diventato sempre più multipolare. In questo contesto, il modello occidentale si è rivelato meno attraente e numerosi paesi emergenti hanno saputo imporre il loro credo secondo cui la democrazia non è necessariamente il sistema più efficiente. L’esempio cinese è quello più illuminante. Una sfida che dobbiamo affrontare con determinazione, se non altro perché esiste una vasta evidenza che mostra come i paesi meno democratici siano più inclini a entrare in conflitti militari.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Timori e speranze nel dopo-globalizzazione

Precedente

Il nuovo bilancio Ue secondo Matteo Salvini

Successivo

Diritti tv: il calcio nel pallone

12 commenti

  1. Savino

    Conta molto la cultura o non cultura del bene comune da parte delle masse.
    Il benessere aveva portato disinteresse generale per la cosa pubblica e le istituzioni.
    Tutto era, ormai, dato per scontato e per dovuto, fino all’autunno 2007.
    Quella che chiamiamo crisi, che è già durata più delle due guerre mondiali messe assieme, ha mutato tutto questo.
    Si prenda l’esempio italiano. Gente che da anni non legge più neanche i giornali sportivi ha delegato due persone “nuove” per tentare di governare il Paese.

    • Gabriele

      Consiglio di leggere articoli di un docente Usa, Jason Brennan. Ha centrato il problema delle attuali democrazie , compresa l’ Italia . Piu’ del 50% degli elettori e’ ignorante , non conosce le minime regole ne politiche ne economiche ne sociali , quindi non vota i migliori , ma i politici piu’ populisti vedi Tramp , Salvini Di Maio , anche se scarsi/incapaci . . Pur mantenedo la democrazia , Brennon propone una selezione tra i votanti. In effetti non e’ corretto che abbia 1 voto il laureato con 110 e lode , che ha una apertura mentale e conoscenze generali maggiori ,ed 1 voto a chi ha solo la terza media. Tra l’ altro chi ha piu’ cultura , indipendentemente dall’orientamente politico e’ mediamente piu’ democratico ed anche critico verso la forza politica che vota , perché sa capire di cosa si parla , rispetto a chi ha bassa istruzione che mediamente e’ piu’ tifoso del propio partito e non capendo la materia vota ciecamente cio’ che viene proposto. Puo’ essere brutto da dire ma e’ la verita’ , le classi sociali piu’ basse , con meno cultura eleggono politici scarsi. Oltre a cio’ che dice Brennon , aggiungerei che e’ giunta l’ora di fare una selezione per chi si candida. Per fare il dipendente pubblico serve spesso la laurea ed un concorso , per fare il parlamentare una manciata di voti. ASSURDO Non si eleggono i migliori. Salvini e Di Maio non sono laureati ,non sanno l’inglese , nessuna esperienza in nessun campo. Segnalo che io non laureato.

  2. Jacopo

    Nonostante tutto continuo a pensare che il sistema dellle democrazie liberali, seppure imperfetto, sia il modello cui gran parte del mondo si muoverà perché ha indubbi vantaggi in termini di benessere (non solo economico) rispetto agli altri sistemi. Forse è stata la globalizzazione a determinare la scelta di autocrazie in un numero crescente di paesi nel periodo più recente. Appena i benefici economici della globalizzazione sono diminuiti o scomparsi sono emersi i problemi. Noi economisti abbiamo sottovalutato tutto questo, come molto altro del resto. La globalizzazione non va solo esaltata evidentemente va anche ben gestita, altrimenti ci pensano (malamente) gli autocrati o i quasi-dittatori.

  3. Che la democrazia sia meno efficiente dell’autoritarismo non è una novità, anzi, è pleonastico.
    Che si qualifichi i regimi russo e cinese come non democratici per i punti sopra elencati di politica estera, sapendo che in materia Stati Uniti o Israele fanno ben peggio – ancorché un cenno a Francia e GB sarebbe plausibile – lascia a desiderare sulla metodologia e il posizionamento adottati dall’istituzione che pubblica questo rapporto. Difatti è proprio nel fronte liberal statunitense che si annida, ahimè, un incauto e primario antirussismo e anti-Cina.

  4. Nota al commento precedente : intendevo far notare che l’efficienza non deve e non può essere l’unico criterio di valutazione della qualità di un governo. Proprio per questo motivo il neoliberalismo si presenta “naturalmente” come solo metodo di governo : non perché antepone l’efficienza ad altri valori, ma perché lo considera l’unico.

  5. Luca

    “Se non altro perché esiste una vasta evidenza che mostra come i paesi meno democratici siano più inclini a entrare in conflitti militari”. Mi conferma che la tendenza ad entrare militarmente in ogni area del mondo, propria dei democratici Stati Uniti d’America è solo una mia impressione?
    Per il resto, pienamente d’accordo sul valore universale della democrazia.

    • Henri Schmit

      Ha ragione. Atene democratica era guerrafondaia; la democrazia, l’impero, lo sfruttamento degli “alleati”, la guerra (autodistruttiva) del Peloponneso sono intimamente correlate (Tucidide e l’ analisi originale e precisa di Luciano Canfora). La guerra trasforma le democrazie in regimi dispotici e viceversa il dispotismo pseudo-democratico alla Mussolini e alla Hitler (come i tiranni dell’antichità) fomenta la guerra probabilmente perché permette alle dittature popolari di durare. Quante guerre spesso assurde, ingiuste e autolesive, l’America democratica ha fomentato e/o condotto negli ultimi 50 anni: Vietnam, Cile, Iran, Afghanistan, Georgia, Irak2, Ucraina, Siria? Mentre il colosso cinese tutt’altro che democratico prosegue dalla sua fondazione una politica estera pacifica. Il contrasto è davvero impressionante.

  6. Mario Angli

    In breve, i criteri sono puramente soggettivi in base alle preferenze dell’elite liberale, che non ha ancora digerito Trump e quindi toglie punti agli USA, mentre la Svezia che censura la nazionalità dei criminali è considerata un esempio di libertà. Orwell puro. La democrazia sta andando bene, il problema è l’elite liberale, che deve essere rimossa.

    • Savino

      auguri a chi ha deciso di sostituire l’elite con gli scalciacani Di Maio e Salvini.

  7. zipperle

    La preoccupazione espressa da Hamaui alla fine dell’articolo (commentata anche da Luca) temo che non sia ben fondata, perché l’unica cosa che sappiamo è che tra democrazie (se proprio si vuole essere rigorosi tra democrazie dell’epoca contemporanea) non c’è mai stato una guerra. Sulla minore inclinazione ad entrare in guerra da parte delle democrazie (contro non democrazie) l’evidenza non è così vasta e penso che sia distorta per il minor numero di paesi democratici rispetto a quelli non democratici o meno democratici. E’ anche vero che se la regolarità empirica di cui parlo fosse sempre vera allora per azzerare il rischio di guerra (e quindi eliminare la preoccupazione) bisognerebbe azzerare le non democrazie.

  8. Henri Schmit

    Interessanti e in gran parte condivisibili l’articolo e le classifiche di Freedomhouse e dell’Economist. Ma non è facile definire la democrazia, (formale, di tipo paleo-liberale, o sostanziale, egualitaria e sociale?) e distinguerla dalla retorica sulla democrazia, che è un’impistura. Come bilanciare poi il benessere materiale realizzato attraverso metodi dispotici e l’apparenza di forme democratiche che non sono in grado di impedire l’aumento della povertà, della miseria e della disuguaglianza fra sempre meno super-ricchi e gli altri sempre più a rischio. Conclusione: cominciamo a pensare alla nostra democrazia, proviamo a capire quello che non va, lacune, difetti, abusi, illusioni e correggiamo a casa nostra!

  9. Henri Schmit

    In seguito al commento di “Luca” critico dell’ultima frase dell’articolo, aggiungo che penso anch’io che si tratti di un pregiudizio (il potere popolare sarebbe irenico) che sarebbe facile invalidare attraverso un’analisi più rigorosa, meno autocompiacente. Ogni potere democratico o dispotico che sia tende a conservarsi. La massa popolare approva le politiche che garantiscono il proprio potere (sovranismo, populismo, esclusione di terzi) e il proprio benessere (sfruttamento di terzi, imperialismo). Luciano Canfora (scrivendo su Tucidide, Atene, la democrazia) evidenzia questo tratto 9 del potere del popolo.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén