Le donne continuano a guadagnare meno degli uomini e a rimanere segregate nelle posizioni più basse della scala gerarchica. Secondo alcuni studi, ciò può dipendere anche da norme sociali che “sconsigliano” di impegnarsi pienamente nel mercato del lavoro.
Perché la disparità di genere è rilevante
Come mostrano numerosi studi, la disuguaglianza di genere sul mercato del lavoro (e non solo) è ancora pervasiva: le donne guadagnano meno degli uomini e tendono a rimanere segregate nelle posizioni più basse della scala gerarchica. Parte del divario può dipendere da norme sociali che impediscono alle donne di impegnarsi pienamente nel mercato del lavoro. Anche se con il tempo sono diventate meno conformi al modello tradizionale, queste norme possono generare una pressione considerevole su chi cerca di mettere insieme esigenze lavorative e familiari.
Una domanda chiave è perché le disparità di genere meritano attenzione. Perché un altro articolo de lavoce.info sul tema? Si tratta in fondo di differenze che potrebbero essere il risultato di scelte perfettamente razionali ed efficienti. Se le donne vogliono dedicare molto tempo alla famiglia rinunciando a opportunità lavorative perché dovremmo preoccuparcene? Se scelgono ambiti professionali scarsamente retribuiti perché dovremmo cercare di persuaderle a fare diversamente? Resta però il fatto che la loro mancata piena partecipazione all’attività produttiva riduce il reddito complessivo che riusciamo a generare. Inoltre, se il talento è equamente distribuito, allora migliori risultati economici potrebbero essere raggiunti se le donne avessero le stesse possibilità che hanno gli uomini di raggiungere posizioni di vertice. Pur essendo vero che i talenti di uomini e donne possono essere diversi, vi sono studi che mostrano come una maggiore presenza femminile nelle posizioni apicali potrebbe accrescere la produttività grazie agli effetti positivi della diversità. D’altra parte, anche ammettendo che la situazione attuale sia efficiente, non è detto che sia equa. Se l’equità è interpretata come parità di opportunità, la sotto-rappresentazione delle donne nel sistema produttivo e nelle posizioni di vertice potrebbe non essere socialmente desiderabile. Si dirà che in Italia, come in gran parte dei paesi industrializzati, non vi sono sostanziali impedimenti (almeno legislativi). Se però si considerano le diverse posizioni di partenza, allora per raggiungere l’equità non basta dare a uomini e donne pari accesso a risorse e opportunità, bisogna anche fornire i mezzi per beneficiare di questa uguaglianza prendendo in considerazione le loro diverse esperienze e necessità di vita.
Gli ostacoli incontrati dalle donne operano talora in modo sottile, in quanto in alcuni casi originano dalle diverse aspettative che la società e le donne stesse hanno sui comportamenti da ritenersi per loro appropriati. Queste aspettative, spesso denominate norme sociali, potrebbero, ad esempio, influenzare il modo in cui le donne affrontano la propria carriera, far preferire una maggiore flessibilità di orario e un minor impegno, al costo però di non vedere pienamente realizzate le proprie aspirazioni lavorative.
Norme sociali e penalità sul mercato del lavoro
Alcuni interessanti studi realizzati negli Stati Uniti mostrano che, anche se le norme relative all’identità di genere si sono allontanate dal modello tradizionale, molta strada resta ancora da fare. Questi studi rivelano che molta della forte penalità che le donne subiscono sul mercato del lavoro a seguito della nascita del primo figlio è dovuta al fatto che gran parte delle attività di cura ricade sulle loro spalle. La rappresentazione sociale delle donne come casalinghe e principali responsabili della cura dei figli potrebbe influenzare le loro scelte poiché se deviassero dal comportamento “appropriato” entrerebbero in conflitto con la categoria sociale a cui si sentono di appartenere. Come sostenuto da Marianne Bertrand (2018), alcune prescrizioni sociali iniziano a diventare empiricamente rilevanti solo quando la posizione delle donne nel mercato del lavoro migliora. È il caso, per esempio, della norma sull’identità di genere che stabilisce che l’uomo dovrebbe guadagnare più di sua moglie. Marianne Bertrand, Emir Kamenica e Jessica Pant al. (2015), utilizzando dati amministrativi statunitensi, mostrano che, coerentemente con questa norma (che induce un’avversione verso una situazione in cui la moglie guadagna più di suo marito), la distribuzione della quota del reddito familiare guadagnata dalla donna ha un forte calo immediatamente prima di aver raggiunto il valore di 0,5, cioè quando la moglie inizierebbe a guadagnare più del marito. Gli autori mostrano poi che quando vi è una elevata probabilità che il reddito della moglie superi quello del marito, tende ad aumentare anche la probabilità che la moglie non partecipi alla forza lavoro e quando decide di lavorare si osserva una forte discrepanza tra reddito percepito e reddito potenziale (ad esempio perché decide di lavorare meno ore).
Norme di genere di tipo tradizionale sembrano essere rilevanti anche per le nuove generazioni. Ad esempio, in un interessante studio che ha coinvolto gli studenti iscritti a un corso Mba d’élite negli Stati Uniti si mostra che le donne tendono a conformarsi a comportamenti stereotipati. Gli autori della ricerca hanno condotto un esperimento in cui chiedevano agli studenti di rispondere a una serie di domande sulle proprie preferenze e ambizioni di carriera (stipendio desiderato, volontà di viaggiare e di lavorare ore extra, ambizione e così via). Lo scopo dichiarato del questionario era quello di agevolare l’organizzazione di stage estivi (un buon trampolino di lancio per trovare lavoro dopo la laurea). I ricercatori hanno suddiviso gli studenti in due gruppi e mentre a uno è stato detto che le risposte sarebbero state visionate solo dai responsabili delle attività di stage, all’altro è stato comunicato che le risposte sarebbero state condivise con i compagni di corso. Quello che si riscontra è che le donne tendono a minimizzare le loro ambizioni di carriera quando credono che i loro compagni di classe osserveranno le loro risposte. Invece, le donne che pensano che le loro risposte saranno visionate solo dal “personale stage” esprimono la stessa disponibilità a lavorare ore extra e a viaggiare di frequente (due importanti requisiti per l’accesso a posizioni ben retribuite) manifestata dai colleghi uomini.
Una possibile interpretazione è che le donne potrebbero non voler apparire professionalmente troppo ambiziose per il timore di essere meno attraenti nel mercato matrimoniale (i compagni di classe potrebbero essere possibili futuri mariti). Potrebbe anche essere che queste donne quando sanno che le loro risposte saranno condivise con i compagni di classe avvertano maggiormente il conflitto con il modello “socialmente accettato”. Si tratta tuttavia di scelte che hanno un costo poiché riducono la probabilità di accedere a una buona occupazione.
Quindi, niente di male a postare foto che ci ritraggono mentre stiriamo camicie, ma meglio farlo consapevoli che le norme sociali che influenzano i nostri comportamenti sono importanti e che l’arretramento rispetto ad alcune posizioni faticosamente ottenute non è esente da costi.
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davide
Interessante.
Luca Neri
“Pur essendo vero che i talenti di uomini e donne possono essere diversi, […] una maggiore presenza femminile nelle posizioni apicali potrebbe accrescere la produttività grazie agli effetti positivi della diversità.” Questa asserzione è molto tirata per i capelli. Quegli studi dimostrano che le aziende in cui esiste una maggiore quota di donne in posizioni apicali, sono quelle più produttive. Il che non significa che se forziamo le aziende ad assumere manager di sesso femminile (i.e. quote rosa), allora avremo aziende più produttive. E’ molto probabile che il nesso di causa sia inverso: aziende più esposte alla concorrenza e che sviluppano politiche di gestione del personale competitive tendono ad avere un minor sbilanciamento dei generi nelle posizioni apicali e miglior produttività. Se così fosse dovremmo puntare a una maggior liberalizzazione dei mercati e una deregulation dei rapporti di lavoro, invece che politiche attive per la gender equality. Le interpretazioni di questi studi socio-economici sono sempre molto speculative. Ad esempio: “Una possibile interpretazione è che le donne potrebbero non voler apparire professionalmente troppo ambiziose per il timore di essere meno attraenti nel mercato matrimoniale” e se invece fosse un modo di evitare il costo immediato della competizione? Evitare rivalità? Infine, mi perdoni, ma l’idea che si debba intervenire sul sistema valoriale delle persone (peggio dei popoli) mi ricorda sempre la rivoluzione culturale di Mao.
Virginia
Sottoutilizzare competenze e potenziale è inefficiente dal punto di vista del singolo e della collettività. Sarebbe quindi interessante sapere se nei luoghi di maggiore investimento in capitale umano (e.g. gli MBA) siano state poi adottate politiche per accrescere la consapevolezza nelle studentesse delle conseguenze delle proprie scelte in base alle aspettative sociali; appropriate iniziative in questo senso sarebbero peraltro coerenti anche con l’obiettivo degli stessi corsi.