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Anas-Fsi, un matrimonio che si può ancora fare

L’annunciata fusione tra Anas e Ferrovie dello stato non piace al nuovo governo. Arrivati a questo punto, però, sarebbe meglio andare avanti, secondo la vocazione originale del piano, per creare un unico polo infrastrutturale separato dai servizi ferroviari.

La fusione non piace più

Anas e Ferrovie dello stato, che si sono scambiati intense promesse di matrimonio, finiranno per dirsi di no una volta giunti sull’altare? Si sono pronunciati in questo senso sia il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, sia il titolare dei Trasporti, Danilo Toninelli, spalleggiato dai sottosegretari leghisti Armando Siri e Edoardo Rixi. L’azzeramento del CdA di Fsi – pur se ispirato probabilmente a molti altri fattori più o meno confessabili – viene giustificato anche su questa base.

Quando la fusione venne ipotizzata, anche noi eravamo molto scettici, condividendo gli argomenti espressi, tra gli altri, da Mario Sebastiani. Tuttavia, avversare un’operazione prima che venga realizzata è diverso dal chiederne l’abbandono una volta che il percorso di integrazione sia stato avviato. Nei mesi scorsi, Anas e Fs hanno infatti intrapreso numerosi passi e il contesto nel quale agiscono è almeno parzialmente mutato. Il cambiamento non riguarda solo gli assetti proprietari delle due società. C’è stato un aumento di capitale di 2,86 miliardi di euro per il gruppo Fsi e il conferimento da parte del Tesoro del pacchetto azionario di Anas.

Sulla carta, la fusione dovrebbe essere resa pienamente operativa nella prossima assemblea delle Ferrovie, anche se l’esito dell’operazione è quanto mai incerto. In ogni caso, proprio la prospettiva di integrazione negli scorsi mesi ha reso politicamente possibile l’adozione di un contratto di programma pluriennale analogo a quello previsto per le ferrovie per la pianificazione degli investimenti sulle strade statali. In tal modo Anas può contare – ed essere valutata – su una maggiore certezza dei finanziamenti e degli obiettivi. Se è vero che Anas è stata un problema per sua organizzazione interna, è altrettanto vero che la sua incapacità di operare in modo efficiente è stata legata anche alla impossibilità di programmare interventi e disporre di risorse certe, e alla sua natura per molti versi più simile a un’Amministrazione pubblica che a un’azienda vera e propria. Per certi versi, il contratto di programma per la rete Anas vale molto di più delle possibili sinergie tra i due gruppi, che secondo molti non erano altro che un modo, da parte dei rispettivi vertici, di ammantare un’operazione di finanza pubblica con giustificazioni industriali. In sé e per sé questo risultato avrebbe potuto essere raggiunto indipendentemente, ma il dato di fatto è che solo l’avvio di un percorso di fuoriuscita dal perimetro della PA attraverso il merger con Fsi ha creato le condizioni perché ciò potesse verificarsi.

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In ogni caso, ingranare la marcia indietro – per quanto la fusione debba ancora realmente entrare nel vivo – implica uno sperpero di risorse umane e materiali, quelle che sono state impiegate per rendere possibile l’unione delle due società.

Un’opportunità di vero cambiamento

Al tempo stesso, molte insoddisfazioni per gli effetti della concentrazione sono giustificate: Fs è un gruppo dal perimetro molto ampio, che accogliendo Anas diventerebbe ancora più vasto, potente e meno focalizzato sui propri specifici business. Alcuni guru del management raccomandano di trasformare i problemi in opportunità. E forse esiste un modo per non sacrificare il lavoro fatto e nello stesso tempo cogliere almeno alcune delle critiche alla fusione: anziché tornare indietro, andare avanti.

Le potenziali sinergie tra Anas e le Ferrovie, se ci sono, riguardano essenzialmente il monitoraggio, la manutenzione e l’ingegneria delle rispettive infrastrutture, che nel caso di Fs sono in pancia alla controllata Rfi. Invece di scorporare Anas da Fs, allora, si potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di perseguire la vocazione originale del piano di fusione, che consisteva nella creazione di un unico polo infrastrutturale, e far uscire quest’ultimo dal perimetro di Fs. La manovra, nell’ambito del gruppo Fsi, è stata più volte invocata – tra gli altri – dall’Autorità dei trasporti e dall’Antitrust, con l’obiettivo di limitare i conflitti di interessi ed evitare commistioni tra la gestione dell’infrastruttura e l’erogazione del servizio. Oggi, questo non riguarda solo il settore ferroviario – dove Rfi convive all’interno del medesimo gruppo societario di Trenitalia e Mercitalia – ma anche quello stradale, visto che Anas si trova fianco a fianco di Busitalia. Proprio la dilatazione del gruppo Fs suggerisce che sia necessario un intervento nel segno della semplificazione, ma dovrebbe essere teso a mettere le capre nel recinto e i cavoli nel paniere, non ad alimentare la contiguità tra le capre (le aziende di servizi) e i cavoli (i concessionari infrastrutturali).

Oltre tutto, l’Italia dovrebbe essere uno dei pochi paesi europei a capire quanto questo passaggio sia importante, almeno nel comparto ferroviario. La liberalizzazione dell’alta velocità rappresenta senza dubbio una storia di successo, ma per arrivare ai risultati di oggi si sono dovuti superare innumerevoli ostacoli che, almeno in parte, erano legati anche all’integrazione verticale delle Ferrovie (che infatti hanno richiesto svariati interventi sia del regolatore dei trasporti sia del Garante della concorrenza).

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Il laborioso e comunque incompleto superamento dei colli di bottiglia ha consentito un ampliamento della libertà di scelta per i consumatori, il miglioramento della qualità del servizio e la riduzione dei prezzi. Ma tutto ciò sarebbe arrivato prima e meglio se non avesse implicato una lunga e complessa guerriglia regolatoria.

I ministri Di Maio e Toninelli hanno oggi l’opportunità di cavare il bene dal male: approfittare della fusione con Anas non già per tornare allo status quo (che comunque era insoddisfacente), ma per modernizzare il paese e il settore dei trasporti. Vedremo se sceglieranno la retorica dello status quo ante, che finora sembrano aver accarezzato, oppure la politica del cambiamento.

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Ma Marchionne ha creato posti di lavoro?

  1. Savino

    Non si modernizza il Paese facendo incetta di poltrone.
    Cominciamo a fare le pulci a Toninelli, come lui le fa ad altri.

    • Sandro Faleschini

      Purtroppo non si tratta solo di poltrone. Questi vogliono distruggere tutto ciò che è stato fatto dalla “casta” venuta prima di loro, senza badare alle conseguenze per i cittadini. Per poi trasformarsi nella nuova “casta”.

      • Simone

        Purtroppo sembra proprio così. Non hanno idea di cosa voglia dire campare con un solo stipendio visto che loro ora hanno quello da parlamentare (con pensione annessa)

  2. Quanti piccoli ragnetti-elettori verrebbero snidati dai loro comodi buchetti nell’ANAS. E quante potrone di sottogoverno salterebbero?

  3. Michele

    Se la strada è sbagliata perche mai andare avanti? Solo perché se ne è gia percorso un tratto? Argomentazione esilarante che non regge. La fusione Anas-Fsi non ha nessuna logica industriale. Si smonti al più presto il tutto e si persegua per danno erariale chi l’ha decisa.

    • Didielle

      Problema: devo andare da Roma a Milano. Ad un certo punto mi accorgo che la strada è sbagliata: sono arrivato ad Ancona. Cosa faccio torno a Roma e poi prendo la strada giusta per Milano, o approfitto dell’opportunità per fare una sosta nel centro dorico e continuo per la strada (corretta) per Milano? Si diverta in modo esilarante a rispondere alla domanda.

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