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Bce ferma sulle sue posizioni

Nonostante le rassicurazioni della Bce, la crescita non appare ancora così solida. Mentre l’inflazione eccezionalmente bassa potrebbe essere l’occasione per introdurre strumenti fiscali per finanziare progetti di investimento di interesse europeo.

Politica monetaria immutata

Dalla riunione del Consiglio direttivo della Banca centrale europea del 13 settembre non ci si aspettava alcun cambiamento sostanziale di rotta nella conduzione della politica monetaria. Consiste, oggi, di tre componenti: tassi d’interesse ufficiali al minimo storico (immutati dal 16 marzo 2016); indicazioni verbali (spesso esplicitate proprio in occasione delle conferenze stampa) circa l’evoluzione futura dei tassi ufficiali (la forward guidance) e infine il programma di acquisto di importi rilevanti di titoli pubblici e privati (il Quantitative easing). E tuttavia, alla luce del recente calo dell’indice della produzione industriale dell’area dell’euro (a causa soprattutto della discesa della produzione tedesca e di quella italiana), si era affacciata l’ipotesi che la Bce rivedesse al ribasso le previsioni di crescita e di inflazione, riposizionandosi su un sentiero di più lenta e graduale uscita dalle politiche “non-standard”. È il rischio delle politiche accomodanti eccezionali: se è vero che intendono favorire la ripresa della domanda con la riduzione del costo del credito, rischiano però di comunicare ai mercati finanziari una prospettiva di scenario sfavorevole. Ci si espone cioè a una situazione in cui i mercati cominciano a chiedersi perché, se la politica accomodante eccezionale ha davvero avuto successo, si tarda a voltare pagina.

Su questo terreno sdrucciolevole, il presidente della Bce è riuscito a tenere assieme un quadro complessivo all’interno del quale è in grado di affermare il successo della propria azione, che anche in questa occasione ha confermato nelle sue componenti: i tassi non si toccano fino all’estate prossima (quando il suo successore si starà ormai preparando a subentrare al timone della Bce) e il programma di acquisti continua come previsto: 15 miliardi netti mensili a partire da ottobre e poi, da gennaio, un volume di acquisti pari ai titoli in scadenza.

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A condire la comunicazione della Bce sono stati tre elementi. Il primo è costituito dalle proiezioni macroeconomiche per l’area euro che si sono confermate sostanzialmente in linea con quelle di giugno (vedi figura 1), e non mostrano il peggioramento temuto.

Figura 1– Le proiezioni macroeconomiche della Bce per l’area euro

Per la Bce, la convergenza del tasso d’inflazione verso l’obiettivo è stata possibile grazie a un secondo elemento, e cioè la crescita dei salari al di sopra di quella della produttività (vedi figura 2), insieme a un terzo elemento che scaturisce dal secondo, e cioè un tasso d’inflazione che la Bce prevede graviterà attorno all’1,7 per cento fino al 2020. Secondo la Bce, il meccanismo di trasmissione ha operato prevalentemente attraverso una causalità che parte dalla riduzione del costo del credito (ottenuta con le politiche accomodanti “non-standard”), che a sua volta ha influenzato la domanda aggregata e quindi il monte salari, sia le ore lavorate che il salario orario. È d’altra parte assodato che non è dall’espansione quantitativa della liquidità bancaria di per sé che poteva scaturire un po’ più di inflazione, ma dalla crescita del costo del lavoro.

Figura 2– Costo unitario del lavoro nell’area euro negli anni delle politiche monetarie non-standard
(Fonte: Eurostat)

Mario Draghi è così riuscito a spostare la minaccia di nuvole nere sull’area euro al 2020, quando (ha affermato) il protezionismo tariffario americano e le tensioni sul commercio internazionale potranno ripercuotersi negativamente sull’Eurozona, per di più in un contesto di tassi d’interesse in crescita. Al netto dei possibili fattori di incertezza globale, questo il messaggio della Bce, la politica monetaria rimane “ampiamente accomodante” e “robusta”, come richiede l’azione finalizzata a onorare il mandato della stabilità dei prezzi.

Due perplessità

Il quadro così delineato dalla Bce desta due perplessità. La convergenza dell’area euro sul sentiero potenziale di crescita appare ancora fragile, a fronte di una crescita del credito moderata e un aumento dei salari ancora troppo timido per costituire un elemento di sostegno affidabile alla crescita, anche tenendo conto dell’accresciuta sperequazione nella distribuzione del reddito e della ricchezza nei dieci anni trascorsi dalla grande recessione.

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Infine, e a differenza di altri interventi svolti in passato, Draghi non ha voluto richiamare l’attenzione sull’orientamento della politica fiscale complessivo dell’area, che nessuna autorità europea è chiamata a sorvegliare e che risulta dalla semplice sommatoria di 19 politiche nazionali. La sommatoria mostra oggi un rapporto tra disavanzo pubblico e Pil vicino a zero: un rapporto disavanzo/Pil pari allo 0,1 per cento nel primo trimestre di quest’anno. Il che significa che il disavanzo fiscale di alcuni paesi è stato totalmente assorbito dall’avanzo fiscale di altri paesi dell’area. Si è detto che alcuni governi nazionali rischiano di perdere un’occasione irripetibile per mettere i conti pubblici in sicurezza in tempi di tassi d’interesse eccezionalmente bassi. Ma vale anche un’altra considerazione, e cioè che l’Unione europea rischia di perdere un’occasione altrettanto eccezionale per introdurre nuovi strumenti fiscali che consentano di finanziare progetti condivisi di investimento di interesse europeo, pro-quota, in tempi di inflazione eccezionalmente bassa.

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  1. Antonio Mascolo

    Ho condiviso.
    Se la crescita dei salari di fronte alla crescita del tasso di interesse non è accompagnato da un aumento effettivo dell’occupazione allora l’effetto espansione viene a mancare. Questa ad una prima lettura frettolosa…
    Secondo me ci vogliono investimenti in infrastrutture a livello del paese Italia e a livello europeo ed una politica fiscale orientata al contrasto all’evasione fiscale per avere due obiettivi: 1) la crescita economica in termini reali e non nominali e conseguente sviluppo occupazionale e creditizio; 2) la sterilizzazione dell’effetto investimenti pubblici sul debito pubblico a causa anche del recupero dell’evasione fiscale.

  2. ANTONIO MASCOLO

    Ho condiviso.
    Se la crescita dei salari (di fronte alla crescita del tasso di inflazione e ad una manovra del tasso di interesse) non è accompagnato da un aumento effettivo dell’occupazione allora l’effetto espansione viene a mancare. Questa ad una prima lettura frettolosa…
    Secondo me ci vogliono investimenti in infrastrutture a livello del paese Italia e a livello europeo ed una politica fiscale orientata al contrasto all’evasione fiscale per avere due obiettivi: 1) la crescita economica in termini reali e non nominali e conseguente sviluppo occupazionale e creditizio; 2) la sterilizzazione dell’effetto investimenti pubblici sul debito pubblico a causa anche del recupero dell’evasione fiscale

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