Il fact-checking de lavoce.info passa al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca alle affermazioni di Matteo Salvini sulla “pace fiscale”.
Numeri sulla pace fiscale
La discussione sui provvedimenti inclusi nella legge di bilancio 2019 entra sempre di più nel vivo, e con essa anche la ricerca delle risorse necessarie per finanziare le importanti promesse elettorali del governo giallo-verde.
Tra i punti cardine, spicca la cosiddetta “pace fiscale”, ossia il tentativo di facilitare il pagamento dei crediti in pancia all’Agenzia delle entrate concedendo ai debitori un’aliquota vantaggiosa. Il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini ha cercato di presentare le cifre esatte la settimana scorsa a Porta a Porta (Rai 1), quando alla domanda di Bruno Vespa ha dichiarato:
“La pace fiscale riguarda quelli che sono in contenzioso con la cartella esattoriale, con la multa, con i contributi […]. Ci sono persone che tra sanzioni, more e contro more sono arrivate a cartelle esattoriali da alcune centinaia di migliaia di euro e pagano ancora gli stipendi ai loro dipendenti ma sono con l’acqua alla gola. Quindi io preferisco dire a queste persone: mi dai il 10 per cento e io stato incasso non i 3 miliardi che pensava il ministro Tria, ma così facendo lo stato può incassare almeno 20 miliardi di euro. C’è un montante di almeno 400 miliardi su cui si può ragionare.”
Secondo Salvini, quindi, la pace fiscale può coinvolgere un ammontare di crediti di circa 400 miliardi, da cui ricavare almeno 20 miliardi di euro. Una stima realistica?
Quanto possiamo ancora riscuotere?
Il primo punto da chiarire riguarda l’esatto ammontare dei crediti esigibili presenti nel “magazzino” dell’Agenzia delle entrate. Secondo l’audizione del 4 luglio presso la Commissione finanze dell’allora direttore dell’Agenzia, Ernesto Maria Ruffini, il totale dei crediti è di 871 miliardi di euro. Di questi, tuttavia, più del 40 per cento, ossia circa 360 miliardi, sono dovuti allo stato da soggetti falliti, deceduti o da imprese cessate; 47,8 miliardi non possono essere riscossi a seguito di provvedimenti giudiziari o perché sono già in corso forme di pagamento agevolato (rottamazione e rottamazione bis); mentre per 13,7 miliardi è in corso la rateizzazione. Ecco quindi che arriviamo alla cifra citata da Salvini, i 448,9 miliardi che sono ancora potenzialmente aggredibili per mezzo della pace fiscale.
È necessario ricordare però che, come afferma lo stesso Ruffini, oltre l’81 per cento della cifra, ossia 364,7 miliardi, si riferisce a contribuenti nei confronti dei quali l’Agenzia ha già tentato invano di intraprendere azioni di recupero. Sono crediti ancora teoricamente esigibili, ma il cui effettivo recupero è molto improbabile. Il restante 19 per cento, ossia 84,2 miliardi, è comprensivo anche di quei debiti per i quali l’azione di recupero da parte dell’Agenzia è limitata, ad esempio a causa della “soglia minima per l’iscrizione ipotecaria, l’impignorabilità della prima casa, nonché la limitazione alla pignorabilità di stipendi”. Dei 400 miliardi di credito ancora esigibili di cui parla Salvini, quindi, la somma che si può realmente aggredire è probabilmente addirittura minore di 84 miliardi.
Figura 1
E il tetto massimo?
Nel programma di governo della Lega si legge: “Il provvedimento esclude i grandi contribuenti, ma sarà efficace solo per coloro che a causa della pesante recessione economica non hanno potuto pagare in tutto o in parte le imposte fino a un tetto massimo di 200 mila euro comprensivo di sanzioni, interessi e more”.
Con questo vincolo, sembra che il valore dei crediti esigibili diminuisca ulteriormente. Nella tabella 1 si può osservare la composizione del “magazzino” dell’Agenzia delle entrate a seconda delle diverse fasce di debito. Su oltre 20 milioni di cartelle aperte, sono circa 11 milioni (oltre il 55 per cento) quelle con un valore inferiore a mille euro, a cui però corrisponde meno del 2 per cento del debito totale. Al contrario, il debito dell’ultimo percentile di contribuenti – quelli con cartelle aperte dal valore superiore a 500 mila euro – rappresenta il 66,5 per cento del valore dei crediti dell’Agenzia.
Tabella 1
Fonte: Audizione del direttore dell’Agenzia delle entrate e presidente dell’Agenzia delle entrate-Riscossione.
Secondo le regole sul tetto massimo definite nel programma della Lega (per semplicità consideriamo i debiti fino a 250 mila euro, il limite indicato dalla tabella 1 della quinta fascia di debiti dovuti all’Agenzia), gli evasori ai quali si rivolgerebbe la manovra sono sì circa il 98 per cento del totale, ma coprirebbero un debito pari a meno del 27 per cento.
Per avere un ordine di grandezza, assumiamo adesso che le proporzioni riportate nella tabella siano costanti tra le diverse categorie di debitori (nullatenenti, falliti, deceduti e così via), e che quindi possano essere applicate senza preoccupazioni anche al montante di crediti aggredibili che abbiamo calcolato nel paragrafo precedente. Degli 84,2 miliardi teoricamente esigibili rientrerebbero nella manovra della pace fiscale solo il 27 per cento, e quindi 22,68. È però necessario sottolineare che sotto questa assunzione si corre il rischio di sovrastimare i debiti di alto importo. Questi non si distribuiscono uniformemente tra le categorie di crediti e in larga parte ricadono nella classe di quelli difficilmente recuperabili, già esclusi dal nostro computo.
A differenza di quanto scritto nel programma, il 16 settembre il sottosegretario leghista al ministero dell’Economia e Finanza, Massimo Bitonci, ha dichiarato in un’intervista sul Corriere della Sera che il tetto massimo per poter beneficiare della “pace fiscale” non sarà più 200 mila euro, bensì un milione a contribuente. In questo caso, l’ammontare dei crediti esigibili aumenterebbe sensibilmente, ma si perderebbe completamente il senso della manovra: aiutare i piccoli debitori e non i grandi evasori.
Quanto si può ricavare dalla pace fiscale?
Dunque, quanto si può ricavare dalla pace fiscale? Bisogna premettere che qui ci addentriamo in un terreno alquanto scivoloso, perché è difficile stabilire a priori il livello di adesione dei contribuenti interessati, ovvero la percentuale dei debitori verso lo stato che decideranno di accettare saldo e stralcio pur di far pace col fisco. Inoltre c’è ancora molta confusione sull’aliquota che verrà applicata.
Con la ripartizione del debito riportata nella tabella 1, l’aliquota unica al 10 per cento menzionata da Salvini a Porta a Porta e il tetto massimo indicato nel programma elettorale della Lega, la cifra riscuotibile sarebbe pari a 2,2 miliardi di euro. Anche allentando il vincolo sul tetto massimo e facendo quindi rientrare nella manovra tutti i debitori con cartelle fino a 1 milione di euro, il gettito massimo ottenibile sarebbe pari a 5,6 miliardi. Cifra alquanto inferiore rispetto alle previsioni del vice-premier.
Tabella 2– Diversi scenari del gettito ottenibile dalla pace fiscale con una sola aliquota
Stando invece alla proposta originaria di Armando Siri, presentata nel programma elettorale della Lega, e alle ultime indiscrezioni giornalistiche, la “pace fiscale” dovrebbe essere modulata su tre aliquote (6, 10 e 25 per cento) a seconda del debito residuo verso lo stato. Basandoci su questo scenario ipotizziamo che l’aliquota del 6 per cento si applichi ai debiti fino a 10 mila euro, quella al 10 per cento ai debiti fino a 100 mila euro e quella al 25 per cento ai grandi evasori da 100 mila a 1 milione di euro, nel caso in cui il tetto massimo sia 1 milione di euro. In tal caso il gettito massimo ottenibile sarebbe pari a 11,6 miliardi. Con un tetto di 250 mila euro invece ipotizziamo che la ripartizione delle aliquote sia la seguente: 6 per cento per i debiti fino a 10 mila euro, 10 per cento per i debiti fino a 250 mila euro e 25 per cento per quelli da 100 mila a 250 mila euro. Secondo quest’ultimo scenario il gettito massimo ottenibile sarebbe pari a 3,1 miliardi di euro, una cifra non molto diversa dai 3 miliardi annunciati dal ministro Tria.
Una precisazione si rende necessaria: per la mancanza di dati sull’ammontare in percentuale dei debiti sopra 1 milione di euro, nella simulazione abbiamo arbitrariamente assunto che quelli compresi tra 500 mila euro e 1 milione di euro siano la metà del totale dei debiti superiori a 500 mila euro.
Da questi numeri appare chiaro che il governo voglia ampliare la platea soggetta alla pace fiscale per aumentare il gettito, benché un condono di tali proporzioni ai grandi evasori possa essere discutibile.
Comunque è evidente che tali stime sono molto ottimistiche, perché assumono un tasso di adesione del 100 per cento e un montante di crediti aggredibile superiore ai circa 50 miliardi quantificati da altri studi (qui e qui). Pertanto, anche considerando le previsioni più rosee, l’affermazione di Salvini che la pace fiscale possa coinvolgere un ammontare di crediti di circa 400 miliardi, da cui ricavare almeno 20 miliardi di euro, risulta lontana dalla realtà.
Tabella 3– Diversi scenari del gettito ottenibile dalla pace fiscale con tre aliquote
Il verdetto
Le aspettative di Matteo Salvini sulla cifra recuperabile dalla pace fiscale sono troppo ottimistiche. Non solo il vicepresidente del Consiglio assume che tutti i 448,9 miliardi esigibili dall’Agenzia delle entrate siano aggredibili, quando invece la somma è verosimilmente inferiore a 84 miliardi. Ma ipotizza anche un tasso di adesione del 100 per cento. La nostra simulazione mostra inoltre che, considerando un montante di 84 miliardi (anch’esso troppo ottimistico), il gettito ricavabile va da 2,2 a 11,6 miliardi, una cifra ben inferiore a quella prospettata da Salvini.
È poi opportuno sottolineare che un’entrata una tantum (la pace fiscale) verrebbe utilizzata dal governo per coprire una perdita di gettito permanente (flat tax), con i conseguenti squilibri per i conti pubblici.
Poiché anche le nostre affermazioni si basano su stime e ipotesi (benché più verosimili), la dichiarazione di Salvini è PARZIALMENTE FALSA.
Ecco come facciamo il fact-checking.
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B. Piertra
Se si trascura l’aspetto (im)morale dell’operazione bisogna almeno esigere il pagamento del danno economico subito dallo stato (spese per il recupero delle somme dovute, interessi passivi sul debito nazionale di cui circa un terzo è rappresentato dagli 871 miliardi evasi, ecc.) e quello subito dai contribuenti onesti che oltre ad essere costretti a pagare più tasse per colpa di chi non le paga devono anche finanziare i regali ai disonesti.