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Al digitale italiano serve un “piano Marshall”

Diego Piacentini lascia la carica di commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale. In due anni di attività ha avviato processi importanti. Da non abbandonare, perché sono indispensabili per la crescita economica e sociale del paese.

Piacentini lascia

Diego Piacentini lascia la sua posizione di commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale, un incarico assegnatogli dal governo Renzi per dare un’accelerazione al digitale in Italia.

La digitalizzazione è sulla bocca di tutti ed è giusto che sia così visto che è una rivoluzione sociale ed economica che o gestiremo o subiremo. L’idea poi di promuovere la digitalizzazione della pubblica amministrazione è ottima.

La pubblica amministrazione copre una grande fetta della nostra economia e oltre a garantire un impatto importante (efficienza dei servizi, semplificazione delle procedure e così via), è un moltiplicatore perché promuove investimenti in nuove tecnologie attraverso il procurement e migliora l’efficienza delle nostre imprese producendo semplificazioni, vantaggi di costo e aumenti di produttività.

L’addio di Piacentini non ha né una dimensione polemica né sottende qualche nuova scelta politica. Semplicemente, aveva un mandato di due anni e al suo termine ha ritenuto di chiudere l’esperienza. Certo, lavorava senza compensi e dunque non ci si poteva aspettare una generosità infinita. Però, il fatto di lasciare un incarico di prestigio, che poteva avere altre ricadute personali, gli fa onore, specie in un paese in cui non è comune rinunciare a queste posizioni.

Il suo mandato prevedeva poteri e interventi per attuare l’agenda digitale in Italia. Da una persona con la sua esperienza (ha lavorato per Apple e poi per Amazon) era naturale aspettarsi anche qualche disegno più generale su come e dove può andare il digitale in Italia. E, in effetti, è stato così. Detto questo, promuovere il digitale nella Pa, e in particolare in un paese come il nostro, significa dover cambiare contemporaneamente così tante cose che neanche un commissario straordinario con pieni poteri può avere tutta la forza per farlo.

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Un’Agenda complessa

Digitale significa infatti avere competenze diffuse all’interno della Pa, altrimenti, anche quando investiamo, useremo tecnologie avanzate in maniera minimale perché non ci sono le competenze per farlo. Il che non significa mera capacità di usare le tecnologie, ma anche di individuare da parte degli utenti (cittadini, o impiegati e dirigenti della Pa) modi e innovazioni organizzative per utilizzarle nel modo migliore; significa diffusione di buone pratiche all’interno della stessa pubblica amministrazione; significa promuovere comunità di utenti e software developer che interagiscono sistematicamente fra loro e con gli utenti, per migliorare e diffondere nuovi servizi, nuovi modi di usarli e nuove soluzioni. Il digitale trae infatti la sua linfa proprio da queste interazioni fra comunità aperte.

Le strozzature vengono poi dal fatto che il digitale mette a repentaglio processi e situazioni stratificate da anni. Il punto non è neanche tanto dire che c’è chi “rema contro” (che pure c’è), quanto sottolineare che il solo mettere a posto il sistema ingarbugliato di vincoli, regole, strutture, burocrazie, richiede una trasformazione profonda.

Proprio perché era consapevole del fatto che neanche un commissario con pieni poteri poteva rovesciare in due anni un sistema simile, Piacentini ha cominciato dalle cose che già erano in pista, in particolare l’identità digitale e l’anagrafe nazionale della popolazione residente. Siamo ancora lontani dalla diffusione capillare in tutto il paese, ma il processo è in moto e va accelerato. Ha anche lanciato nuove idee, come la creazione di piattaforme di developer e altre iniziative volte proprio ad alimentare quelle comunità di utenti e sviluppatori che sono la linfa dei processi di digitalizzazione. Piacentini ha poi mostrato cosa vuol dire avere una squadra di persone super-competenti dentro la pubblica amministrazione. I curricula dei suoi collaboratori devono diventare un esempio delle persone che si potrebbero attrarre ed entusiasmare, con progetti originali e innovativi, all’interno del nostro sistema pubblico. Da questo punto di vista, è stato un precedente fantastico.

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Bisogna a questo punto capire cosa succede ora. Il digitale è una priorità, proprio per il suo impatto sulla crescita economica e sociale del paese – a maggior ragione in questo momento in cui abbiamo bisogno di rilanciarla. Lo spazio di intervento c’è e l’Agenzia per l’Italia digitale è lo strumento. Andrebbe potenziata, le andrebbero offerti poteri di intervento e autonomia analoghi a quelli dati al commissario straordinario e le andrebbero date le risorse. I problemi in Italia sono tanti e c’è molta competizione per aggiudicarsi le poche risorse del paese. Ma il digitale è il futuro e un futuro importante. Senza un piano Marshall del digitale rischiamo di rimanere al palo per anni.

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  1. Henri Schmit

    Diffido dei super-competenti. Piacentini e la sua squadra sono bravissimi (ho sentito pochi mesi fa la relazione di uno di loro in una conferenza) ma anche fortunati di potersi occupare di un progetto importante, ampio e complesso, ma relativamente evidente proprio perché la PA italiana è così arretrata nel digitale. Basta navigare fra siti pubblici italiani e siti similari di altri paesi, diciamo F, D è CH per rendersi conto dell’immenso divario. Non super-esperti, ma esperti ordinari ci vogliono, e un impegno chiaro e costante della PA di investire in progetti digitali validi, user-friendly, efficienti, non in imprese faraoniche auto-referenziali, alla gloria di coloro che l’ordinano, al prestigio di coloro che la realizzano e al beneficio di coloro che dall’esterno ne forniscono gli elementi. Perché è quello il solito rischio. Era evidente con il governo Renzi. Con l’attuale governo diviene forse più acuto. L’abbandono di Piacentini non rassicura.

  2. Roberto Bellei

    Ho letto il Suo articolo ma, a parte le considerazioni sulle vicende personali e professionali di Piacentini e sulle “buone intenzioni” dell’Agenda Digitale, mi sembra che in concreto n questi 2 anni non sia stato fatto nulla di concreto per migliorare i rapporti tra l’Amministrazione e i cittadini. Per la mia esperienza personale per decenni ho compilato e spedito in busta il mio UNICO (il tutto in pochi minuti). Ora, nell’Italia “digitalizzata”, spedire Unico (non quello precompilato) è un vero e proprio Calvario che sembra fatto apposta per costringere il contribuente a rivolgersi ad un CAF o a un Commercialiista. Inoltre hanno obbligato tutti i professionisti ad avere una PEC, che però non può essere utilizzata per l’invio di UNICO.

    • Carlo

      quanto a UNICO non scherziamo: adesso che anche tutte le spese detraibili compaiono già nei dati precompilati fare la dichiarazione dei redditi per un lavoratore dipendente è quasi un divertimento, e francamente non si capisce proprio chi possa aver bisogno di un commercialista o addiritura avere nostalgia della spedizione cartacea (peraltro abolita da anni)

  3. bob

    All’ Italia serve un piano Marshall ma servirebbero uomini della levatura di De Gasperi ! Digitalizzare un Paese come questo è come il geometra che poggia una trave di cemento armato ultima generazione su un muro di sassi di fiume di 300 anni fa

  4. Andrea

    Siamo lontani è un eufemismo: Carta di Identità Digitale: legge del 1997 siamo ancora l’unico paese in Europa a non averla. Anagrafe Nazionale della popolazione residente: solo 600 comuni su 8000 (seicento su ottomila!!) hanno aderito.

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