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Il reddito di cittadinanza è più importante dei calcoli elettorali

Il reddito di cittadinanza è una occasione da non sprecare nella lotta alla povertà in Italia. Per questo vanno evitati alcuni rischi. Primo fra tutti, quello di fare scelte decisive per il futuro pensando solo a trarne vantaggi in vista delle europee.

Una fase decisiva

Chi dice che a giocarsi molto sul reddito di cittadinanza sia il Movimento cinque stelle dimentica qualcuno: i poveri. Siamo infatti in una fase decisiva innanzitutto per loro, poiché è irreale aspettarsi nei prossimi anni un’altra legge di bilancio con una dotazione per la lotta alla povertà paragonabile a quella in via di definizione, a meno di non immaginare che le molteplici istanze che premono sulla spesa pubblica possano scomparire. Ciò è vero qualunque sarà lo stanziamento effettivo, tra i 7 o i 4 miliardi di euro annui addizionali di cui si parla. Il massimo sinora raggiunto sono i 2,7 miliardi per il reddito d’inclusione (Rei), previsti dal precedente governo a partire dal 2020. Oggi si presenta un’occasione unica per rafforzare il nostro welfare. In attesa di conoscere le proposte dell’esecutivo, però, le ipotesi che circolano contengono alcuni rischi da evitare.

Non confondere le politiche contro la povertà con le politiche per il lavoro

Le politiche contro la povertà sono rivolte a chi è in povertà assoluta, cioè privo delle risorse per assicurarsi uno standard di vita appena decente: nel nostro paese sono i 5 milioni d’individui nelle condizioni economiche peggiori. Si eroga un mix di contributi monetari e servizi alla persona con l’obiettivo principale non tanto di incrementare direttamente l’occupazione, bensì di contrastare la povertà nelle sue molteplici sfaccettature (economiche, relazionali, familiari, lavorative, psicologiche, abitative e così via). Spesso si agisce sulle competenze dei numerosi utenti a bassa occupabilità per migliorarle progressivamente, ma solo in alcuni casi li si (re)introduce nel mondo del lavoro. Negli altri paesi europei – mediamente con minore disoccupazione e centri per l’impiego più strutturati rispetto all’Italia – queste politiche riescono a condurre a un’occupazione stabile il 25 per cento dei beneficiari.

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Il pericolo è che quelle contro la povertà vengano trasformate in politiche per il lavoro, da indirizzare invece a persone disoccupate, ma non in povertà assoluta, che generalmente hanno maggiore occupabilità. Una simile scelta danneggerebbe, innanzitutto, i poveri di oggi, privandoli di quell’insieme di risposte di cui l’inclusione lavorativa è solo una parte. Dunque, rafforzare i centri per l’impiego è certo necessario, ma sarebbe sbagliato assegnare loro la responsabilità complessiva della misura. Non solo perché attualmente non avrebbero la forza per gestirla, e ci vorrà tempo prima che il potenziamento previsto dia i suoi frutti, ma anche perché i servizi sociali comunali sono gli unici a detenere le competenze necessarie ad affrontare la multidimensionalità della povertà. Ma la scelta danneggerebbe anche i poveri di domani: alimentare adesso aspettative irrealistiche sulla capacità delle politiche contro la povertà di generare inclusione lavorativa significa spianare la strada a chi vorrà delegittimarle in futuro, quando quelle attese non si saranno realizzate.

Non dare la priorità ai penultimi

Oggi hanno diritto al Rei 2,5 milioni di persone sui 5 in povertà assoluta e ricevono in media 206 euro mensili. Secondo le stime dell’Alleanza contro la povertà, per assicurare a tutti i poveri assoluti una misura di importo adeguato a uscire dall’indigenza (in media 396 euro mensili) servono altri 5,8 miliardi annui. Una cifra compatibile con gli ordini di grandezza indicati dal governo.

Non è chiaro, però, quanto dei nuovi stanziamenti sarà effettivamente destinato a questa fascia. L’esecutivo, infatti, ha dichiarato l’intenzione di partire dalle pensioni di cittadinanza. Benché anche tra loro vi siano sacche di indigenza da combattere, gli anziani sono coloro che meno soffrono la povertà in Italia, dove il fenomeno aumenta progressivamente al ridursi dell’età. Investire in modo significativa sulle pensioni di cittadinanza significherebbe farlo a discapito di chi è in povertà assoluta.

Interventi sulle pensioni ben disegnati potranno raggiungere fasce di popolazione che, pur non indigenti, vivono comunque forme di disagio economico. Ma poiché le risorse non sono infinite, il criterio più equo da seguire consiste nell’assegnare priorità a chi sta peggio, al di là dell’appartenenza a specifiche categorie. Altrimenti, perché non dare la precedenza, ad esempio, alle famiglie con figli non povere ma comunque in difficoltà, oppure a quelle con disoccupati?

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Non far decidere il futuro del welfare dall’approssimarsi delle elezioni europee

Sullo sfondo c’è la paura che scelte decisive per il futuro vengano influenzate da pressioni elettorali di breve periodo. L’avvicinarsi delle elezioni europee potrebbe spingere a introdurre con troppa fretta risposte nuove, ma deboli, dimenticando i tempi più lunghi richiesti da interventi realmente riformatori. Un esempio consisterebbe proprio nell’investire in modo massiccio sulle pensioni a scapito del reddito di cittadinanza, solo perché le prime sono semplici contributi economici, distribuibili su larga scala in tempi ben più rapidi rispetto al secondo, più complesso da realizzare in quanto prevede anche il coinvolgimento dei servizi locali. Oppure potrebbe esserci la tentazione di mettere in campo un reddito al ribasso, fondato sostanzialmente sul mero trasferimento monetario. Una cosa è certa: le elezioni passeranno, mentre da decisioni di questa natura sarebbe impossibile tornare indietro.

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14 commenti

  1. Savino

    Luigi Di Maio è evidentemente l’uomo che sfascerà i conti dello Stato e consegnerà l’Italia al commissariamento della troika. Ma è anche l’uomo che sfascerà la coesione e l’armonia sociale, con la creazione di nuove disuguaglianze, oltre alla mancata risoluzione di quelle già esistenti. Dopo i tempi delle “Cattedrali nel deserto”, il reddito di cittadinanza passerà alla storia come il classico esempio di come vengano buttati nel cestino dello sperpero dei fondi pubblici, perarltro acquisiti in deficit. Senza una precisa definizione al millimetro dello “stato di bisogno”, quella parte d’Italia che, a prescindere dalla geografia e dalla professione, quotidianamente suda e sgobba non potrà mandare giù il fatto di mantenere persone “vanamente povere” a 780 Euro al mese esentasse. Si sta assolutamente sottovalutando le furberie e le carte false che gli italiani sono pronti a fare per ottenere il sussidio, mentre appaiono ridicoli gli annunci del signor Di Maio tanto sulla galera per chi sgarrerebbe quanto sulla perfetta funzionalità in massimo tre mesi dei Centri per l’Impiego. Ove fallisse, il signor Di Maio dovrebbe rispondere in prima persona del danno erariale provocato. Il m5s si è fissato con la promessa di questa misura assistenziale, ai limiti penali del voto di scambio, che cuba 10 miliardi di Euro da finanziare ogni anno (letteramente buttatti nel cestino), in assenza della quale la manovra potrebbe essere sostenibile.

    • Aram Megighian

      Ecco, quello che Lei ha tirato fuori è proprio il punto critico del provvedimento. Ogni anno bisogna tirare fuori 10 miliardi o giù di lì per finanziarle il reddito di cittadinanza.
      O lo si fa, ogni anno, chiedendo soldi in prestito, e quindi incidendo sul debito e sulle generazioni future, oppure si decide di agire strutturalmente, con tasse o tagli.
      A me sembra che questa generazione di DiMaio, pur giustamente protestando per il fatto che si trova a gestire un debito creato dalle generazioni precedenti, nei fatti fa la stessa cosa, proiettando il tutto sulle generazioni future, cioè i nostri figli. Oltre che poco seria (rispetto alle future generazioni) mi pare che comunque tutte queste idee (siano esse condivisibili o meno) pecchino sempre di una visione progettuale a lungo termine. Insomma, per mio figlio, sarebbe molto difficile comprendere dove vogliamo a parare fra 15-20 anni, quali saranno i lavori e le scelte del futuro del nostro paese, cosa vuole fare lo Stato, e quale sarà, nello specifico, il futuro welfare. Sicuramente non domande a cui rispondere in due minuti o con un twitter, nè certamente con risposte generiche (riformeremo l’Europa….UE o Europa ? E come ? Con quali provvedimenti ?)

      • Savino

        Ci sono in giro troppe aspettative di soldi facili. Una cosa è intervenire per stanare la povertà, ma come dice la Caritas la povertà non è solo mancanza di reddito o di lavoro, bensì è condizione di sofferenza sociale (dalla solitudine alla necessità di cure mediche), altra cosa è far piovere sussidi per tutte le clientele possibili.
        Gli italiani con il reddito di cittadinanza e senza la Legge Fornero hanno trovato la loro pacchia e dato sfogo al loro DNA di furbastri.

  2. Riccardo

    L’idea che 780€ a Enna siano uguali a 780€ a Milano è follia pura. A Enna con 780€ si campa più che decentemente, a Milano si fa veramente la fame.

    • Alberto

      Concordo con questa obiezione. Se non sbaglio, 780 EUR sono stati decisi in base ad un livello definito dall’ISTAT, il quale però definisce i livelli di povertà per le diverse aree del Paese. Perché non usare questi quindi?

  3. Marco La Colla

    Condivido pienamente il commento, aggiungendo solo che, così come nelle società private, esiste una Azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, una cosa analoga dovrebbe esistere nei confronti dei governanti che, con le loro scelte demagogiche, portano un paese al default.

  4. Claudio Martinelli

    Benissimo la distinzione tra politiche per la poverta’ e politiche per il lavoro. Invito “La Voce” ad approfondire questi temi

  5. Federico Leva

    Secondo notizie di stampa, per finanziare il reddito di 780 € “si aggiungeranno i 2,6 miliardi che sarebbero altrimenti stati destinati al Reddito di inclusione del governo Gentiloni”.

    Come nota Cristiano Gori, si elimina una misura rivolta specificamente alle situazioni di povertà in favore di una rivolta agli occupabili. Negli USA Krugman descrive i Repubblicani come il partito dell’odio contro i poveri, speriamo che non si vada nella stessa direzione.

  6. Ma bisogna anche conteggire i costi della gestione del srvizio che non comprende solo chi aminisitra, ma anche ad. es. chi scopre gli abusi e chi risolve il contenzionso. e per tutto ciò bisogna avere del personale competente ed efficiente.

  7. Stefano Asterino

    Concordo pienamente con l’autore dell’articolo. Finalmente si parla del RC senza preclusioni ideologiche. E’ un Reddito minimo garantito, non un reddito universale !!! Ritengo che nella versione finale scopriremo che il reddito di cittadinanza non è cumulabile con la NASPI o altre misure assistenziali (come in altri Paesi europeo). Il REI era più uno slogan politico che altro perché con 200 euro al mese non si includeva nulla…Con importi così modesti sarebbe stato più utile dare tali somme agli Enti del Terzo Settore (Caritas, S.Egidio, ecc.) o ai Comuni per delegare loro l’attività assistenziale. Con un RC di 780 euro, invece, l’obiettivo di contrasto alla povertà appare possibile anche se l’importo è ancora troppo elevato rispetto alla media europea

  8. Savino

    Chiunque si approfitterà del reddito di cittadinanza pur non avendone bisogno non sarà un italiano, ma, come scriveva Goldoni, un “italianaccio senza creanza”.

  9. Carmine Meoli

    Una grande confusione regna nella mia testa . Oltre 5 milioni i disoccupati e oltre 5 milioni gli occupati non nativi ! 5/6 milioni le persone in poverta assoluta ma almeno 2,5 milioni sarebbero i lavoratori in nero ,al netto dei pensionati minimi ( che comprendono anche evasori ) e i ragazzi e i lavoratori in nero quanti poveri restano ?vero è che esistono famiglie povere tra gli occupati a basso salario ma non poche perplessità accampagnano la necessita ed equità di questo cosiddetto RDC.

  10. Giuseppe Condello

    Penso sia corretto il discorso del professor Gori: il tema della lotta alla povertà non va confuso con le politiche per il lavoro e andrebbe affrontato nella sua multidimensionalità Ad esempio rafforzando il concetto di reti territoriali di servizi, che includono i servizi sociali, ma non solo.

  11. bob

    ..ma non costa molto meno permettere a tante piccole aziende e artigiani di assumere ? Senza una contribuzione folle e una tassazione fuori dalla logica? Fatta questa prima scrematura potremmo parlare di reddito di cittadinanza. O no??

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