Lavoce.info

Dove nasce il successo delle start up innovative*

Una ricerca dedicata alle start up innovative nel territorio nazionale e lombardo ne fotografa le caratteristiche. Contiene anche suggerimenti utili su come aumentare la loro presenza in tutta Italia, a partire dal ruolo di università e incubatori.

Le start up innovative in Italia

Una ricerca dedicata agli esiti delle start up innovative in Italia e in Lombardia, coordinata da Polis Lombardia, mostra quali possono essere le caratteristiche che permettono la creazione di imprese di questo tipo e fornisce suggerimenti su come aumentarne la presenza sul territorio nazionale.

Secondo i dati delle Camere di commercio d’Italia, nella nostra penisola sono attive 7.568 start up innovative (dati aggiornati a luglio 2017), di queste circa un quarto è localizzato in Lombardia. Dai numeri sulle start up innovative nate ogni anno è possibile individuare un percorso di crescita: si è passati dalle 884 create nel 2013 alle 1.954 del 2016, un incremento di circa il 120 per cento.

Si tratta di realtà eterogenee di micro-dimensioni (team di 3-4 componenti che nel 60 per cento dei casi rimane invariato nel tempo), che a larga maggioranza operano nel settore dei servizi (da app/e-commerce a consulenza/ricerca e sviluppo), la cui tipologia di output finale è la vendita di un servizio (78 per cento dei casi) rispetto a un prodotto.

I fondatori di start up che hanno conseguito una laurea specialistica rappresentano la maggioranza del campione dell’indagine (circa 80 per cento) e circa la metà del campione (il 48 per cento) ha ricevuto una formazione nelle aree “tecnico/scientifiche”, segue l’area “affari, finanza e marketing” con il 24,5 per cento.

Il finanziamento deriva da proprie risorse per più della metà delle start up (il 57 per cento) e solo il 6 per cento ha ricevuto un supporto da società di venture capital; ridotto risulta anche l’utilizzo di fondi pubblici.

Opportunità ed esperienza il segreto del successo

È elevata la presenza di imprenditori senior: due terzi dei fondatori sono persone con una precedente esperienza nel settore e più della metà ha ricoperto posizioni manageriali.

Leggi anche:  Piani urbani integrati: quelli che restano nel Pnrr

Tabella 1 – Distribuzione secondo il numero di anni di esperienza manageriale (percentuale)

Fonte: Polis Lombardia, 2017, Esiti delle start up in lombardia e competenze di business nei giovani.

Più dell’80 per cento del campione ha lavorato in azienda o ha svolto attività da libero professionista. A ciò si aggiunge che circa il 15 per cento degli imprenditori ha lavorato come ricercatore in un’università o centro di ricerca prima di fondare la start up.

Sempre in tema di esperienze pregresse, nel 39,3 per cento dei casi gli intervistati hanno già fondato almeno una start up prima di quella attuale (e il 76 per cento di questi continua a mantenervi una partecipazione). In un quadro simile, non sorprende che l’età media dei fondatori sia pari a 40,5 anni, mentre solo il 30 per cento è nella fascia compresa tra i 18 e i 34 anni.

Il contenuto innovativo alla base delle start up appare principalmente orientato all’innovazione incrementale e alla rielaborazione di conoscenze tecnologiche già esistenti. La stragrande maggioranza viene fondata non per necessità di collocamento lavorativo o difficoltà economiche, ma per il perseguimento convinto di un progetto imprenditoriale innovativo.

Per favorire la capacità di innovazione, le imprese si impegnano sempre più in accordi di cooperazione con una vasta gamma di partner (soprattutto clienti e fornitori) per accedere a risorse esterne, ma solo il 5,5 per cento del campione ha una cospicua porzione del suo fatturato derivante da vendite all’estero.

Un dato che sorprende è il valore relativamente basso attribuito dalle start up all’insieme di incubatori e acceleratori: i risultati sintetizzano un grado di soddisfazione mediamente alto per la possibilità di accedere a un network di connessioni professionali, mentre meno soddisfacente è considerato il supporto amministrativo e strategico-gestionale.

Le università sembrano avere adottato una politica di stimolo all’imprenditorialità innovativa di matrice accademica (ovvero sviluppo di spin off universitari) che non prevede più la partecipazione azionaria nelle start up innovative. Queste ultime segnalano un vantaggio “reputazionale” derivante dall’associazione del proprio nome a quello dell’università, mentre lamentano una certa sofferenza in termini di supporto operativo ricevuto.

Leggi anche:  La Zes unica parte dal presupposto sbagliato

Infine, sulle strategie di uscita, gli imprenditori puntano alla possibilità di essere “assorbiti” da un’altra impresa, proprio in virtù del contributo che danno al processo di innovazione, mentre ritengono molto improbabile che la start up sia trasferita a un altro membro della famiglia.

Quali soluzioni per aumentarle

Nell’ottica di aumentare il supporto e la professionalizzazione delle nuove imprese innovative, si può suggerire un possibile ripensamento di alcune funzioni di incubazione, attraverso:

  • il disaccoppiamento tra la dimensione fisica e quella relazionale/formativa tramite forme di incubazione virtuale, assegnazione temporanea di spazi e uso di strumenti di formazione remota, per aumentare il numero di imprese accompagnate, oggi spesso frenate da costi o disinteresse per l’incubazione tradizionale
  • il coinvolgimento più strutturale di business school e aziende (per la promozione di tirocini imprenditoriali finalizzati alla creazione di nuova impresa innovativa) per aumentare il livello di managerializzazione e supporto amministrativo e gestionale.

Sempre in quest’ottica, è possibile pensare a meccanismi di incentivazione al coinvolgimento di “business angel” (ovvero investitori informali), portatori non solo e non tanto di capitale finanziario, quanto di competenze manageriali e strategiche, identificato come uno dei possibili fattori che limita la crescita delle start up innovative.

Sarebbe anche interessante pensare a percorsi di formazione e stimolo imprenditoriale all’interno delle imprese e studiati con le aziende stesse (all’interno dei percorsi di formazione continua), per favorire nuove forme di ricaduta a beneficio dei lavoratori con attitudini imprenditoriali e delle stesse imprese esistenti.

* Le opinioni espresse non coinvolgono l’istituzione di appartenenza.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Una via d'uscita dal vicolo cieco del Superbonus

Precedente

Senza soldi giornali meno liberi

Successivo

Grandi annunci di rilancio della Pa, ma le risorse sono poche

  1. Ermes Marana

    Magari si potevano anche spendere due paroline sul fatto che il “progetto imprenditoriale innovativo” della maggior parte delle “startappe all’italiana” é fregare al ribasso un contratto di servizio che veniva gestito dal brillante startappatore in un’impresa precedente (che poi “scopre” di non avere le risorse per assolvere il contratto e finisce per assumere i suoi ex dipendenti a condizioni peggiori)

    Visto come gli stessi dati possano raccontare un’altra storia? Ma d’altronde perché parlare della realtá in un articolo che vuole dare la colpa all’Universitá?

  2. bob

    La Lombardia è prima pure nei ” corsi di formazione” !! Tiremm innanz!

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén