Nel corso della crisi molte banche europee hanno registrato improvvise cadute di redditività, che ben poche sono riuscite a recuperare. L’analisi dei fattori macroeconomici e aziendali che le hanno determinate non è incoraggiante per quelle italiane.
Le cause delle crisi di redditività
La redditività delle banche europee rimane complessivamente sotto pressione, come ha ribadito anche un recente Report dell’autorità di vigilanza bancaria europea. L’individuazione di strategie e di modelli di business la cui redditività risulti sostenibile nel medio lungo periodo, ancorché verosimilmente inferiore a quella registrata nel periodo pre-crisi, rappresenta dunque la principale sfida per le banche.
Peraltro, la situazione è piuttosto diversificata: alcune hanno ormai recuperato soddisfacenti livelli di redditività, ma ve ne sono altre che ancora stentano. I dati del Report indicano che i livelli più bassi si riscontrano mediamente tra gli istituti il cui modello di business è più orientato all’offerta di credito, e cioè la tipologia più diffusa in Italia. Appare perciò importante comprendere quali siano stati i principali fattori che hanno portato numerose banche europee ad affrontare vere e proprie crisi di redditività e quali sono le condizioni che hanno consentito solo ad alcune di superare la crisi.
Una prima risposta viene dai risultati di un nostro recente lavoro che esamina, per il periodo 2006-2016, un campione di 109 grandi banche – prevalentemente orientate all’offerta di credito – di 14 paesi europei. All’interno del campione abbiamo isolato gli istituti che nel periodo successivo allo scoppio della crisi finanziaria internazionale hanno subito un declino della redditività improvviso, rilevante e anomalo se confrontato con la media delle altre banche. Si tratta di 55 banche o gruppi bancari che costituiscono circa il 50 per cento del campione.
I risultati delle nostre analisi indicano che le caratteristiche specifiche delle singole banche sono determinanti, così come alcune variabili di natura macroeconomica. In particolare, i dati confermano un aspetto tristemente noto: la crisi di redditività ha le radici nel deterioramento del portafoglio prestiti causato da una forte propensione al rischio non controbilanciata da adeguati accantonamenti a fondo rischi su crediti e grado di capitalizzazione. È emersa anche un’altra conferma, che può avere valenza nella scelta del modello di business: la diversificazione dei ricavi (una maggiore incidenza dei ricavi non da interessi) riduce la probabilità di crisi di redditività. Quanto ai fattori macroeconomici, un livello elevato dei tassi di rendimento dei titoli di stato a dieci anni accresce la probabilità di una crisi di redditività, presumibilmente come conseguenza di eventuali perdite in conto capitale del portafoglio titoli e dell’aumento del costo della raccolta, soprattutto per le banche più attive sui mercati.
Chi ha recuperato
Tra le 55 banche in crisi di redditività, solo 16 sono state in grado, nei tre anni successivi, di tornare ai livelli di redditività precedenti. I risultati sottolineano che le condizioni macroeconomiche hanno giocato un ruolo più rilevante dei fattori aziendali nel determinare il mancato recupero di redditività. In particolare, per le banche dei paesi più colpiti dalla recessione e dalla crisi del debito sovrano (Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia) si rileva una probabilità molto più bassa di recupero. Gli aiuti di stato e la presenza di schemi di garanzia pubblica sulle obbligazioni emesse dalle banche hanno solo parzialmente compensato gli effetti negativi del contesto macroeconomico. Tra i fattori aziendali è significativo che il recupero di redditività sia più frequente per quelle banche che hanno adottato velocemente una politica di riduzione dei rischi, in particolare una politica del credito più restrittiva, e che hanno gestito in modo più efficace i crediti deteriorati, attuando rapidamente cospicui accantonamenti.
Le prospettive per le banche italiane
Le indicazioni sin qui emerse sembrano descrivere particolarmente bene la situazione di gran parte delle banche italiane del nostro campione. Per questi istituti, i problemi di redditività si sono concentrati nel triennio 2011-2013, e cioè dopo la crisi del debito sovrano che ha ulteriormente inasprito la recessione economica, e di fatto quasi nessuna è finora riuscita a ritornare a livelli soddisfacenti.
Per banche caratterizzate da un modello di business ancora oggi fortemente orientato al credito e poco diversificato, che in più hanno necessità di effettuare continui accantonamenti a causa degli elevati crediti deteriorati, il fragile contesto macroeconomico e soprattutto il rendimento dei titoli di stato in crescita potrebbero allontanare ulteriormente il recupero di redditività, ostacolando così anche i programmi di rafforzamento patrimoniale e la conseguente capacità di erogare credito al sistema paese.
In ogni caso, l’esperienza delle altre banche europee che sono riuscite a uscire dalla crisi di redditività suggerisce l’opportunità di rivedere il modello di business, puntando a una maggiore diversificazione dei ricavi ancor prima che a una riduzione dei costi.
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Henri Schmit
Trovo la ricerca molto interessante; peccato che il “lavoro” allegato come link sia un articolo a pagamento presso Elsevier. Più che l’incidenza del mix dei ricavi fra interessi e commissioni, sarei curioso capire se emerge un’incidenza negativa del portafoglio di titoli di stato e della quota di titoli domestici sul volume di credito erogato e sui margini d’interesse praticati (se questi parametri rientrano nello studio).
Giuseppe GB Cattaneo
La domanda è interessante, qual’è l’incidenza del portafoglio di titoli di Stati italiani sulla redditività delle banche italiane, in primo luogo