Nella trattativa tra UE e Regno Unito sono stati fissati alcuni punti fermi. E se nessuno vuole un’uscita senza accordo, la soluzione potrebbe essere la rinuncia dell’Unione al backstop in cambio della rinuncia di Londra all’indipendenza doganale.
Le cinque certezze raggiunte
Non è corretto, ed è ingeneroso nei confronti dell’antica e gloriosa democrazia britannica, affermare che il Regno Unito è riuscito a rendere il “pasticciaccio brutto” della Brexit un inestricabile rompicapo. In realtà, lentamente, alcuni punti fermi stanno emergendo.
Primo, né il Regno Unito, né l’Unione europea vogliono una Brexit senza accordo (il cosiddetto no-deal) ed entrambi non vogliono, in particolare, ciò che tale scenario comporterebbe automaticamente, ossia una frontiera fisica tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord, perché avrebbe conseguenze molto negative, non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello sociale e politico.
Secondo, il rifiuto espresso dal parlamento britannico dell’intesa concordata a dicembre da Theresa May con la UE è motivato soprattutto dalla contrarietà al cosiddetto backstop che vi è previsto. Si tratta di un controllo doganale per le merci da e per la Repubblica d’Irlanda effettuato sul territorio dell’isola maggiore, ossia prima dell’ingresso nell’Irlanda del Nord. Lo strumento servirebbe a evitare la frontiera tra le due “Irlande”, ma il parlamento inglese vi ha visto, forse non a torto, un pericolo per l’integrità territoriale del Regno.
Terzo, il differimento temporale della Brexit non è solo nelle mani inglesi, ma richiede, a norma dell’articolo 50 del trattato UE, l’unanimità di tutti gli altri 27 stati membri. Questo significa che, per ottenerlo, il Regno Unito deve proporre qualcosa che l’Unione può accettare senza mettere in pericolo i suoi fondamenti giuridici ed economici e in particolare la sacralità del mercato unico.
Quarto, anche con la proroga stabilita all’unanimità, la Brexit non può essere posticipata oltre la fine di giugno, ossia quando il nuovo Parlamento europeo si riunisce per la prima volta. Infatti, le elezioni del 23-26 maggio sono state organizzate sul presupposto che gli inglesi non vi partecipino; in concreto, i seggi inglesi sono stati in parte cancellati e in parte redistribuiti agli altri stati. Pertanto, se il Regno Unito uscisse dopo il suo insediamento, avremo il paradosso istituzionale di una UE cui ancora partecipano i britannici e di un Parlamento europeo senza parlamentari britannici. L’ipotesi alternativa di rimodificare le modalità di elezione del Parlamento europeo, per consentire agli inglesi di partecipare, sembra ancora più istituzionalmente strampalata, perché dopo il recesso, la presenza dei parlamentari britannici sarebbe assurda e intollerabile.
Quinto, e ultimo, il Regno Unito, se lo desidera, può revocare unilateralmente la decisione di lasciare l’Unione. Ciò è quanto è stato stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza Wightman, il 10 dicembre 2018. Tuttavia, ha affermato la Corte, la revoca deve essere “univoca e incondizionata”, nel senso che pone definitivamente fine alla procedura di recesso, senza condizioni e senza la prospettiva di poter tra qualche tempo ripresentare una nuova notifica di Brexit.
Gli scenari possibili
Sulla base di questi punti, sebbene consapevole di fare un esercizio di tipo circense, provo a declinare gli scenari futuri della Brexit, sulla scorta della loro probabilità di avveramento.
1) L’ipotesi meno probabile è il recesso no deal, per le ragioni indicate nessuno lo vuole e dunque entrambe le parti si sforzeranno fino all’ultimo di scongiurarlo.
2) Più probabile, ma non troppo, è il secondo referendum, che potrebbe essere organizzato sfruttando il principio della revoca unilaterale affermato dalla Corte e ottenendo la proroga temporale dell’articolo 50, fino a fine giugno. Le difficoltà che questa soluzione incontra internamente al Regno Unito sono però formidabili. Politicamente, vi ci si può opporre affermando che si tratta di un tradimento della volontà popolare già espressa. E non è affatto detto che l’elettorato non riconfermi la sua volontà di uscire dall’Unione: a quel punto il no deal sarebbe la prospettiva più realistica e temibile. Dal punto di vista giuridico e istituzionale, non poi è chiaro quale quesito si dovrebbe porre agli inglesi: si domanderebbe di riconsiderare la Brexit (Brexit/No Brexit) o quale tipo di Brexit vogliono (deal/no deal)? Va infine detto che un “remain” deciso con un secondo referendum a maggioranza probabilmente molto risicata, riconsegnerebbe all’Unione un Regno Unito ancora più diviso e ancora più iracondo nei confronti dei progetti comuni europei, che certo non farebbe bene alla UE.
3) L’ipotesi che mi pare più realistica è pertanto l’adozione di un nuovo deal, obiettivo cui May, dopo il voto di fiducia del parlamento, sta già lavorando e che pare avere qualche riscontro nelle capitali europee che contano. La soluzione potrebbe essere la rinuncia della UE al backstop in cambio della rinuncia del Regno Unito all’indipendenza doganale. In tal modo, quest’ultimo non riacquisterebbe la possibilità di concludere autonomamente accordi commerciali con i paesi terzi, ma ciò non sarebbe veramente pregiudizievole; infatti, data la sua dimensione, la UE è normalmente in grado di spuntare termini e condizioni pattizie che nessun stato membro individualmente riuscirebbe a ottenere.
Certo, si potrà pensare che un Regno Unito che rimane soggetto a numerose e qualificate regole dell’Unione, ma che è escluso da tutte le istanze decisionali, esce dalla vicenda con le ossa rotte. Ma tant’è, il popolo ha parlato e il resto deve seguire. È la democrazia diretta, bellezza!
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Savino
Il gioco o il cammino della democrazia deve prevedere anche la salvaguardia rispetto al fatto che il popolo può non avere ragione e sbagliare. Brexit finora è stato questo: un grande abbaglio, frutto di una generale ignoranza e illusione popolare Con Brexit, gli indigeni hanno rifiutato gli stranieri, compresi noi italiani, compresa la nostra competenza e la nostra manovalanza. Chi dice “prima gli italiani” si dimentica che oggi ci sono centinaia di migliaia di connazionali che vivono da fantasmi lontano migliaia di chilometri dalle loro origini, pagando sulla propria pelle l’effetto dei sovranismi e dei nazionalismi contemporanei.
Claudio
Assolutamente d’accordo.
Brexit è il prodotto di ignoranza, impreparazione, arroganza, isolazionismo, nostalgia e demagogia – il tutto condito con una buona dose di senso of superiorità, ontologicamente inspiegabile. Inoltre vi è, in Brexit, un ironico paradosso: un referendum indetto “to deliver” alla dignità della legge il risultato di un quesito che divideva il Paese – quindi per unire un Paese diviso – ha in effetti finito per dividere un Regno Unito.
Henri Schmit
Si, la permanenza dell’UK nel mercato comune (stare alle regole UE, pagarne il prezzo, senza avere diritto di voto) sembra ormai l’unica soluzione possibile al di fuori di un disastroso hard Brexit e di un improbabile remain.