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Quanta autonomia in più alle regioni?

A forza di provocazioni, veti e rinvii, l’Italia rischia di perdere una buona occasione per rendere più efficienti i servizi sul territorio. Un dibattito serio sul federalismo dovrebbe tenere conto sia degli aspetti di equità sia di quelli di efficienza.

Statuti speciali e maggiore autonomia

Uno dei tanti rebus che la maggioranza Lega-Movimento cinque stelle si troverà prima o poi ad affrontare è quello del rapporto tra stato e regioni e, più nello specifico, del destino che avrà il cosiddetto federalismo differenziato. Si tratta di un tema presente nel punto 20 del contratto di governo ma sul quale, per il momento, i rinvii prevalgono sulle decisioni effettivamente prese. Qual è dunque lo stato dei lavori? E davvero sono realistiche le paure di chi vede nel federalismo differenziato l’anticamera della secessione? L’impressione è che, alla fine, la montagna partorirà un topolino. Ecco perché.

Il cosiddetto “federalismo differenziato” in Italia esiste già ed è previsto dall’articolo 116 (commi 1 e 2), in quanto 15 regioni a statuto ordinario coesistono con 5 regioni a statuto speciale (di cui una, il Trentino-Alto Adige, composta da due province autonome). Nel 2001, la riforma costituzionale ha aggiunto all’articolo 116 il comma 3, che prevede “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” anche per le regioni a statuto ordinario. Tuttavia, lo statuto speciale è una legge che ha valenza costituzionale (in alcuni casi anche di trattato internazionale) mentre l’autonomia aggiuntiva del terzo comma è approvata attraverso una semplice legge rinforzata (approvazione a maggioranza assoluta).

Il problema è che, a quasi vent’anni dalla sua introduzione, il legislatore non si è mai preoccupato di approvare una legge di attuazione del comma 3, in particolare per chiarire metodologie di attivazione delle richieste di federalismo differenziato, tempi di realizzazione e di verifica dei risultati, costituzione di un organo per il calcolo e la determinazione dei fabbisogni finanziari. Ciononostante, nel corso della passata legislatura, il procedimento è stato attivato per tre regioni (Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto), arrivando alla firma di una pre-intesa tra governo e regioni interessate. Il metodo scelto, in maniera ragionata ma arbitraria, è stato appunto quello dell’intesa, un procedimento analogo a quello utilizzato per le confessioni religiose: in questo modo il Parlamento sarebbe tenuto a un voto del tipo “prendere o lasciare” sull’intero accordo, senza possibilità di modifiche. Nelle pre-intese (una per ciascuna regione), le materie discusse sono solo 5 tra le 23 possibili (sanità, istruzione, ambiente, lavoro, rapporti con l’Europa) e le competenze cedute si caratterizzano principalmente come amministrative, più che come legislative: gli ambiti di applicazione non sono quindi generali (per esempio, l’intero comparto dell’istruzione), ma molto specifici. L’orizzonte temporale è decennale: alla scadenza, lo stato potrebbe riprendersi le competenze cedute. La questione del finanziamento è invece rimandata all’attività di una diversa commissione, che non è mai stata nominata. In ogni caso, il comma 3 non esclude né elimina gli statuti speciali: in teoria, ma solo in teoria, il paese potrebbe essere costituito da 20 regioni che operano secondo regole personalizzate.

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Uno, nessuno o centomila federalismi?

Quel compromesso, ritenuto dalle parti un buon accordo per la fine della legislatura, è ovviamente diventato obsoleto una volta che gli equilibri sono cambiati con le elezioni del 4 marzo 2018. In questo momento sembra che il governo abbia definitivamente archiviato la pre-intesa e che stia discutendo su un progetto di legge presentato dalla Regione Veneto. I contenuti della proposta sono dirompenti: il Veneto chiede il trasferimento delle competenze legislative su tutte le 23 materie possibili e il trattenimento del 90 per cento del gettito delle imposte territoriali per finanziare le maggiori spese. Una proposta del genere è chiaramente non estendibile a tutte le altre regioni (il 90 per cento del gettito fiscale territoriale è molto diverso a seconda delle basi imponibili e quindi le risorse a disposizione sarebbero differenti) e irricevibile per ogni governo che voglia garantire l’unità nazionale. Anche a livello elettorale, qualunque partito interessato a difendere un proprio bacino di voti nel Centro-Sud del paese (sicuramente il Movimento cinque stelle, ma ormai anche la Lega) non approverebbe mai una proposta di questo tipo.

Ma a suon di provocazioni, veti e rinvii, il paese rischia di perdere una buona opportunità per rendere più efficienti i servizi sul territorio. Non perché il federalismo sia la panacea di ogni male: ma un dibattito serio in materia dovrebbe tenere conto tanto degli aspetti di equità (i cittadini devono ricevere gli stessi servizi ritenuti irrinunciabili su tutto il territorio nazionale) sia di quelli di efficienza (un euro in più speso in una regione potrebbe generare un aumento di benessere maggiore dello stesso euro speso in un’altra regione). Visto lo stato del dibattito e le posizioni in campo, il “no deal” sembra tuttavia l’opzione più probabile.

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14 commenti

  1. Savino

    Da quando si parla incessantemente di federalismo è solo aumentata la corruzione. La gestione delle competenze sanitarie ha dimostrato che, dove prima mangiava uno solo (da condannare), ora ne mangiano in ventuno. Più autonomia delle Regioni a Statuto speciale non ci può essere, eppure le distorsioni hanno modificato profondamente il rapporto con i cittadini di quei territori anche in quelle aree.

    • Robin Hood

      E chi l’ha detto che è aumentata la corruzione? Il sentimento popolare? Gli articoli di giornale di Sergio Rizzo? Meglio dire che si è contro il federalismo, si fa prima e si è più onesti. Sul punto “i cittadini devono ricevere gli stessi servizi ritenuti irrinunciabili su tutto il territorio nazionale” siamo quasi alle barzellette: cosa vuol dire? La qualità dei servizi dipende principalmente dai dipedenti pubblici che offrono il servizio e dalla qualità dell’ambiente nel quale si trovano ad operare: se ho assunto un incapace, sia che la gestione sia regionale sia che la gestione sia dello Stato, è sempre un incapace che mi offre il servizio. Se l’ambiente nel quale opera un dipendente onesto e laborioso è degradato il servizio farà comunque schifo, nonostante l’impegno del poveretto, che cercherà di andarsene appena può. L’eguaglianza la puoi scrivere in Costituzione ma per passare dalle parole ai fatti ci sono persone che fanno delle scelte.

      • Savino

        Non mi pare oggi ci siano ambienti locali virtuosi. La Lombardia delle “spese pazze” di Renzo Bossi, Nicole Minetti ed altri notabili leghisti non mi pare un ambiente sano, cui affidare altre risorse per ingigantire la torta delle spartizioni. Malgrado il suo nickname, mi pare che il suo concetto di eguaglianza sia più simile a quello del Marchese del Grillo.

        • Robin Hood

          Piccola storia a beneficio di chi non vuole capire: un neo-laureato trova un posto di lavoro nella amministrazione di una regione. Ha degli amici in altre regioni che gli parlano di programmi per la gestione della contabilità, ma lui non ne ha mai visto uno. Sa che le fatture le deve mettere in uno scatolone nel sottoscala. I suoi amici gli parlano di uffici e computer. Lui talvolta non ha nemmeno la sedia dove sedersi, perchè sono in tanti e non hanno postazioni a sufficienza. Non è nemmeno chiaro per lui cosa debba fare, quale sia il suo lavoro. I suoi amici hanno delle mansioni precise, lui no. Ma sta arrivando il cambiamento: il Parlamento modifica la Costituzione e adesso è a Roma che si deciderà tutto. Festa di piazza: saremo tutti uguali. Subito dopo il Parlamento vara una legge (che già c’è, ma questa è migliore) che impone a tutte le regioni di adottare il programma di contabilità X, il più avanzato. Ma nella sua regione i computer non sono in grado di reggere il programma X. Bisognerà cambiare i computer. Nell’attesa si assumono altri contabili per registrare le fatture perchè si è in emergenza. E si leggono sui giornali articoloni che nella regione R ci sono molti più amministrativi che in tutte le altre: spese folli nella regione R, bisogna cambiare. E’ questa la sua eguaglianza? Se lo riveda il Marchese del Grillo; lei mi ricorda la scena del carbonaio.

          • Savino

            Anche in Lombardia (che fa finta di essere la più evoluta) le fatture le mettono in uno scatolone nel sottoscala.

  2. vincenza

    L’articolo è fuorviante.
    Il Veneto aveva inizialmente presentato una proposta di legge ma le trattative hanno preso tutt’altra piega.

    • Paolo Balduzzi

      E’ corretto: il Veneto aveva presentato questa proposta di legge subito dopo il referendum del 2017. Abbandonata in corso di trattative col precedente Governo, sarebbe stata ora riproposta come base per le nuove negoziazioni

  3. Nicolò

    Temo anche io che più federalismo significhi più stato e più spesa pubblica. Oggi la politica è promessa di spesa. In più bisogna considerare come funziona oggi la Pa che non è per nulla efficiente nemmeno nelle regioni del
    Nord ( vedi 118 posto del trentino in Europa. )

  4. Michele

    I fatti dimostrano che il decentramento ha prodotto solo maggiore collusione e corruzione. A livello locale le cose peggiorano. Occorre rapidamente fare una completa marcia in dietro

    • Robin Hood

      Quali fatti? Formigoni in Lombardia? Visto che parla di fatti, sa dirmi quanto pesa sulla spesa sanitaria lombarda le corruzione di Formigoni? Se lo ricorda Poggiolini o è troppo giovane? Può fare tutte le marce indietro che vuole ma i suoi servizi saranno sempre forniti a livello locale. E non arriveranno i marziani. Ci saranno gli stessi che vede oggi. E se sono dei babbei o dei corrotti rimarranno babbei o corrotti.

  5. Andrea Marini

    Leggo tante critiche alle iniziative di maggior autonomia delle Regioni del Nord.
    Io da dipendente pubblici del Nord, dico che sono alibi di una classe dirigente e intellettuale che ritiene normale che sulla stessa funzione amministrativa al Nord siamo almeno un terzo di meno dei dipendenti del Sud e anche pagati di meno rispetto ai colleghi delle regioni a statuto speciale.

  6. Henri Schmit

    Per me l’articolo è molto istruttivo; mi sembra pure neutro ed obiettivo. Vedo però un problema a monte di quanto discusso. Paragonando la democrazia nelle regioni a quella nei Länder tedeschi e nei cantoni svizzeri, l’Italia mi sembra molto in deficit, dalla riforma Tattarella degli anni 90, usata poi da Berlusconi e da Renzi per replicarla al livello nazionale. Un altro problema è la pessima devolution con la riforma dell’articolo V nel 2001. L’ultimo progetto di revisione intendeva giustamente correggere gli errori, ma è stato bocciato per altri motivi. Senza vera democrazia (trasparenza, controllo, responsabilità) sarà difficile migliorare altri aspetti del non-federalismo (abuso di parola). Il Trentino è un modello vincente anche perché ha saputo conservare autentiche forme democratiche.

    • bob

      Il Trentino è un modello vincente anche perché ha saputo conservare autentiche forme democratiche. Mi perdoni che sappia Lei in Abruzzo c’è la dittatura?

      • Henri Schmit

        No, ma la legge elettorale Tattarella ha sancito un basso livello di democraticità nelle regioni a statuto ordinario. Si tratta di un tipo di democrazia “ducale” del governatore, la quale in Lombardia per ssempio ha consentito la presenza nell’assemblea rappresentativa di una persona come la Minetti (conta più il ruolo nella cerchia privata dell’allora premier che non le altre caratteristiche) Provi ad informarsi come funziona in Germania e in Svizzera dove i Länder e i Cantoni sono autentiche democrazie. Provi a pensare se quello che abbiamo qua fosse in Sudamerica o in Africa, che cosa diremmo? (Rispondo con reticenza a commenti anonimi).

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