Il principale problema del reddito di cittadinanza sta nella fretta con cui si è voluto realizzarlo. Su un tema delicato e in un contesto difficile, sarebbe stato più saggio aumentare progressivamente gli importi e la platea del reddito di inclusione.
Così è cambiato il reddito di cittadinanza
Da anni il reddito di cittadinanza è il cavallo di battaglia del M5s, eppure la misura che è stata approvata il 17 gennaio dal Consiglio dei ministri è molto diversa da quella inizialmente immaginata dal movimento. Lo stesso nome ci ricorda questa evoluzione. Nel dibattito economico e filosofico, infatti, il reddito di cittadinanza è un trasferimento universale dato a tutti, ricchi e poveri, cioè un basic income incondizionato. Una misura ancora utopistica, pensata per un mondo in cui il progresso tecnologico avrà spazzato via molti posti di lavoro.
Il reddito di cittadinanza varato dal governo Conte è invece un reddito minimo molto selettivo: è riservato solo ai poveri in cambio di precisi impegni di reinserimento lavorativo e sociale. Da un reddito per tutti siamo quindi passati a un reddito solo per alcuni, come si fa negli altri paesi europei. Dal 2018 l’Italia ha già, per questo scopo, il reddito di inclusione (Rei), che in aprile cesserà di esistere. Anche sulla platea interessata ci sono stati molti cambiamenti negli anni. In un disegno di legge M5s del 2013, il target era la povertà relativa definita secondo le regole Eurostat (reddito inferiore al 60 per cento della mediana nazionale), cioè circa il 20 per cento delle famiglie italiane (5 milioni). L’obiettivo era portare tutti i redditi al livello della soglia di povertà relativa, che guarda caso per quell’anno valeva 780 euro al mese per una persona sola. Una misura del genere sarebbe costata però circa 30 miliardi, quindi si pensò a una riduzione del trasferimento per i tanti poveri che in Italia possiedono l’abitazione. E così la platea teorica si ridusse a 2,8 milioni di famiglie, per un costo di circa 15 miliardi di euro all’anno. Ma si trattava di una somma ancora superiore alle possibilità del governo, così dopo un lungo braccio di ferro con la Commissione europea siamo arrivati all’attuale stanziamento di 6 miliardi nel 2019 (circa 8 a regime negli anni successivi, quindi 6 aggiuntivi considerando i 2 del Rei).
È una spesa in deficit che l’anno prossimo richiederà l’aumento dell’Iva o altre misure restrittive equivalenti. Non avrà quindi un grande effetto espansivo. La platea prevista si è ristretta a 1,7 milioni di famiglie, che corrispondono al numero dei nuclei in povertà assoluta (non relativa) in Italia. Ma la soglia di accesso per una persona sola è rimasta a 780 euro al mese, un numero simbolico che non si poteva cambiare. Come si può mantenere una soglia calcolata secondo il criterio relativo (780 euro al mese) se si vuole però raggiungere una platea molto più piccola? Se si è molto generosi con i nuclei di una sola persona, lo si deve essere meno con quelli numerosi, e infatti la scala di equivalenza prevista è piuttosto bassa. L’importo del trasferimento non è comunque in sé eccessivo, in media circa 500 euro al mese per famiglia.
I dubbi sulla misura
Dopo la storia, vediamo i principali problemi.
C’è anzitutto la discriminazione a danno degli immigrati, con il vincolo di almeno dieci anni di residenza. Evidentemente i poveri non sono tutti uguali. Le famiglie degli stranieri sono quelle con il maggior numero di minori. Costringere in povertà molti bambini oggi significa avere più disagio sociale e meno lavoratori produttivi domani.
È poi evidente una certa confusione sulla relazione tra lavoro e povertà. In una completa giravolta concettuale, una misura concepita per accompagnare le persone verso una nuova società libera dalla dittatura del lavoro è ora invece interpretata proprio come uno strumento di accompagnamento al lavoro: hai diritto al trasferimento solo se sei disposto a lavorare. La condizione di povertà è vista come derivante dalla mancanza di lavoro.
Certo, il decreto prevede due percorsi di reinserimento, quello lavorativo e quello sociale per chi non può lavorare, ma resta molto forte l’impronta lavoristica. Si trascura il fatto che molti poveri già oggi lavorano e che molti disoccupati non sono poveri, perché inseriti in contesti familiari in cui vi sono altri redditi. La mancanza di lavoro è un connotato individuale, mentre la povertà è un fenomeno familiare. L’incertezza tra dimensione individuale e dimensione familiare resta nel decreto, con il rischio di produrre confusione tra politiche contro la povertà economica, politiche a favore dei working poor (lavoratori poveri), politiche attive e interventi contro la marginalità sociale dovuta ad altre cause (salute, devianze o altro).
Quante saranno davvero le domande? Circa 3 milioni di dichiarazioni Isee sono inferiori a 9 mila euro; non tutti faranno domanda, ma molte famiglie potrebbero presentare per la prima volta la dichiarazione Isee proprio per beneficiare della nuova misura. Il reddito di cittadinanza è definito come livello essenziale delle prestazioni, ma il decreto dice che se le domande supereranno le risorse disponibili tutti gli importi saranno abbassati, anche quelli dei primi beneficiari. Una bella contraddizione.
Il governo stima che quasi la metà delle domande proverrà dalle regioni del Centro-Nord, ma finora il 70 per cento dei beneficiari del Rei risiede nel Sud. L’esclusione di molte famiglie straniere accentuerà la distorsione a favore delle regioni meridionali. Il Rei va inoltre soprattutto a nuclei di una sola persona. Sarebbe un problema se il fenomeno si ripetesse per il reddito di cittadinanza, perché la povertà negli ultimi anni è aumentata soprattutto per i giovani (e per gli stranieri).
I centri per l’impiego saranno davvero in grado di gestire una tale massa di domande? O tutto finirà per risolversi in un semplice trasferimento monetario di fatto privo di condizioni, se l’amministrazione pubblica non riuscirà a controllare e attivare i beneficiari? La procedura per la gestione delle domande cambia radicalmente rispetto al Rei: si ridimensiona il ruolo dei comuni e del terzo settore, nonostante molte famiglie coinvolte abbiano bisogni complessi.
Tutti questi dubbi ci dicono che il principale problema sta nella fretta. Dall’anno scorso esiste il reddito di inclusione, molto meno generoso e con un costo di circa 2 miliardi. Su un tema così delicato e in un contesto così difficile come quello italiano, dove sono molto diffusi lavoro nero ed evasione fiscale, e dove l’amministrazione pubblica non ha certo un’efficienza tedesca, sarebbe stato più saggio incrementare per tappe successive gli importi e la platea raggiunta dal Rei, valutandone attentamente gli effetti nei tanti ambiti coinvolti. Nel giro di 3-4 anni si sarebbe potuto arrivare a tutti i poveri assoluti, contenendo il rischio di possibili effetti indesiderati. Invece si cerca di fare tutto in poche settimane.
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Savino
Può solo integrare politiche già esistenti di sostegno, a patto di abbandonare la spocchiosa espressione per cui si intenderebbe “abolire la povertà”. Per il resto, la misura è destinata a fallire, sia come politica attiva del lavoro, sia come riequilibrio distributivo, sia come incentivazione alla crescita. Non stanare i furbi genererà ulteriori disuguaglianze e potrebbe, per paradosso, migliorare la sensibilità generale in favore della legalità, facendo incrementare le segnalazioni degli onesti lavoratori, che non ne possono più di essere circondati da scrocconi e profittatori. Tuttavia, dall’incremento delle segnalazioni ad effettivi maggiori controlli ci passa un oceano di mezzo.
Michele
Non ci siamo. L’articolo nella fretta di voler criticare ad ogni costo un provvedimento politicamente non gradito si contraddice parecchie volte. Certamente non si può riticare il rdc contemporaneamente perché assistenziale e perchè ha impronta lavoristica, perché troppo esteso e anche perché lo è troppo poco, perché spende troppo e anche perché spende troppo poco, perché è uguale al REI e anche perché è diverso…
Massimo Baldini
L’Alleanza contro la povertà aveva tempo fa stimato che una misura contro la povertà assoluta costerebbe attorno ai 7 miliardi di euro. Il testo spiega che a questa cifra si è arrivati in modo un pò tortuoso. Non lo critico ad ogni costo, e non dico che spende troppo, ma che un percorso più graduale avrebbe dato modo di valutare cosa si sta facendo, riducendo il rischio di fare grossi errori. Poi si, lo critico perchè vuole fare tutto e rischia di buttare via quello che di buono si stava costruendo con il Rei.
Michele
Chi sta sotto la soglia della povertà assoluta non ha tempo di aspettare 3/4 anni di sperimentazione. Bisognava pensarci ben prima. Inoltre lo sa bene anche lei. Il Rei è un provvedimento nato morto. Un timido tentativo del PD, senza speranza, di rincorrere il M5S nel campo di uno schema generale di indennità di disoccupazione. Il Rei è stato giustiziato, suo malgrado, dal risultato elettorale. La storia non lo ricorderà e non susciterà nessun rimpianto. Sbiadita copia dell’idea “originale”
Federico Leva
La sbiadita copia è il decreto del 17 gennaio 2019, che cambia tutto per non cambiare nulla. Peraltro, se viene mantenuta la norma per cui gli attuali percettori di Rei continueranno a riceverlo finché non viene esaminata la pratica Rdc, il Rei potrebbe continuare a esistere per anni, no?
Amegighi
Esiste la visione “politica” che prevederebbe il scegliere tra la migliore (politicamente parlando) soluzione tra le numerose presentate.
Esistono poi quest’ultime, cioè le soluzioni. Cioè quella serie di risposte dettagliate, fattuali, reali e misurate (nel senso di misura aritmetica), prevedibili e ripetibili, che gli esperti (ESPERTI) propongono per risolvere il problema che si pongono i politici.
Ho letto con attenzione sia i documenti (ce ne sono di molto approfonditi da parte della UE accessibili in rete) sul futuro mondo del lavoro, sia, soprattutto, lo studio pilota sul basic income finlandese (kela.fi), sul cui sito abbondano chiare spiegazioni, sia le approfondite spiegazioni dei sostegni di welfare tedeschi spiegati sui siti dei loro Ministeri (per inciso, guardando i siti dei Ministeri tedeschi e quelli italiani, si capisce perchè i tedeschi sono precisi e noi no).
Senza essere un esperto, nè contro ideologicamente e per partito preso, mi ero fatto la stessa opinione dell’autore dell’articolo.
Provvedimenti del genere richiedono progettazione attenta (e qui mi chiedo cosa avessero prima progettato di realistico gli “esperti” dei M5S), e poi attenta, precisa e lenta applicazione. C’è il concreto rischio che tutto vada a catafascio, che la gente percepisca (qui al Nord è pensiero maggioritario; basta andare nelle Piazze all’ora dell’aperitivo) il progetto negativamente e che in caso anche di successo limitato, lo affossi definitivamente.
Michele
Ha ragione. Il tempo sciupato e perso dal 2013 al 2018 non ce lo restituirà mai nessuno. Purtroppo la situazione italiana è di grave emergenza e occorre la migliore soluzione possibile nel tempo dato, tenendo anche presente l’avversione generale di chi ha più voce sui media e più potere nei fatti contro la prima manovra economica redistributive e pre-distributiva da decenni. RdC non è certo esente da critiche, ma è un inizio, un segnale di una inversione di una tendenza che dura in Italia da più di 20/25 anni. Si rimedia in 6/12 mesi ai disastri di 25 anni? No di certo. Ci sono rischi che un fallimento vero o solo fatto percepire dai media (non indipendenti e non disinteressati porti a una reazione negativa? Si per certo. Ma l’alternativa è arrendersi al declino del paese, che i fatti dimostrano in accelerazione e che la vecchia classe dirigente di questo paese si illude di saper gestire a proprio vantaggio.
Claudia Villante
Gentile professore, si tratta di una evidente campagna propagandistica che nulla ha a che fare con le politiche di inclusione sociale. Per più di un anno ho avuto la possibilità di seguire l’attuazione della misura del SIA (Sostegno di inclusione attiva) previsto dal Programma Operativo Nazionale “Inclusione sociale” che sosteneva e sperimentava i percorsi su cui il REI è poi intervenuto. Uno dei punti cardine di attuazione riguardava proprio il collegamento con i CPI e lì cadeva tutta l’impalcatura. Come si fa a sperare che un CPI che, nel nostro Paese, riesce ad intermediare solo una piccola e residuale percentuale di incontro domanda/offerta di lavoro (negli ultimi monitoraggi ISFOL si faceva riferimento al solo 13%) possa magicamente balzare al primo posto dei canali di matching? E’ evidente che la manovra serve a convincere quel milione di votanti che riceveranno l’assegno, che, non a caso, lo potranno (forse) ricevere ad Aprile.
Stefano
Non sarebbe più corretto definirlo sussidio ai consumi di cittadinanza?
Henri Schmit
Direi che il problema è reale, l’idea giusta, il progetto ambiguo (fra garanzia contro la povertà e strumento di ricollocamento) e le misure confuse. Il risultato sarà probabilmente disastroso, l’idea sarà screditata, la povertà aumenterà, il lavoro decrescerà, la gente non saprà più a che santo votarsi.
antonio
Buongiorno, condivido l’articolo ed aggiungerei che alla fine il non-reddito di cittadinanza costerà/erogherà meno risorse del bonus di renzi, che va bene ma non provocherà nessuna rivoluzione dei consumi per rilanciare l’economia (8-9 miliardi sono il 2% dei consumi delle famiglie) come non ci riuscì, appunto, il bonus di 80€. Sarà di difficilissima attuazione e di fatto sarà un reddito senza quasi richiesta di controprestazione, visto che siamo in Italia. Ma la vera “manna” redistributiva sta sfuggendo ai più: è la flat tax che, lo ricordo prevede un’irpef secca del 15% fino a 65mila€ e poi del 20% fno a 100mila € di reddito!!! Questa ermetterà alla quasi totalità dei lavoratori autonomi di beneficiare di tagli di imposta draconiane, non so quanto costituzionali se confrontate con un reddito da dipendente. Ho stimato che di fatto scompariranno gli studi di settore, che riguardano circa 3 milioni di soggetti con partita iva. E già ora c’è la rincorsa a disarticolare società, ditte, ecc. per ridurre il reddito pro capite e rientrare nei parametri.
Marco Di Marco
Questa diatriba nominalistica fra ReI e reddito di cittadinanza è irrilevante: non è meglio metterla da parte per attirare l’attenzione dei lettori sui limiti più gravi del recente decreto? Che sono, come giustamente osserva l’autore, l’esclusione di una parte degli stranieri (i cui figli sono, con la cittadinanza o meno, gli italiani di domani) e, aggiungo, una certa imprecisione nel disegno (contributo per l’affitto e per le spese mutuo uguale per famiglie di diversa composizione). La vaghezza dell’impianto relativo all’inserimento lavorativo è forse un difetto inevitabile, vista la mancanza di esperienza precedente.
Claudio
Sono un operatore di un Centro per L’impiego e mi occupo tra le molte incombenze burocratiche anche di matching domanda offerta. Di solito lavoro in questo modo: seleziono candidati il piu’ possibile rispondenti a tre caratteristiche, per quanto ne sono capace e possa comunque commettere errori1) serieta’ morale 2) motivazione 3) competenze tecniche, psicologiche ecc. Da ora in poi cambiero’ metodo e individuero’candidati che 1) siano percettori del reddito di cittadinanza 2) abbiano il requisito formale richiesto dall’ azienda, ad esempio un titolo di studio. Obblighero’ l’azienda a convocare tutti i candidati e a compilare un bel modulo, denominato RdC, con l’indicazione dei risultati del colloquio. Es. Non idoneo, idoneo ma rifiuta ecc. Successivamente, incarichero’ il mio piccione viaggiatore di consegnare all’ Inps il modulo RdC per i provvedimenti del caso. Per accelerare le consegne, si consiglia pero’ di creare un sistema informativo ad hoc o di mettere in rete quelli esistenti, alla modica cifra di svariati milioni. Dimenticavo! Ci sarannk i navigators ad aiutarmi
Henri Schmit
Grande testimonianza!
Rino Ruggeri
Descrizione esemplare di come chi approva i provvedimenti conosce la realtà dell’agire quotidiano
Fabio Maria Ciuffini
L’impronta lavorista salva in parte questo pasticcio. Ma non basta. Al Sud il lavoro non c’è! Allora il tema era quello di creare nuovo lavoro finanziando in ogni comune le spese essenziali per sicurezza territorio, patrimonio edilizio, arredo urbano, ecologia urbana. Così quei soldi oltre ai beneficiari sarebbero stati utili a TUTTI.
Alfonso Salemi
Concordo completamente. Sono passati circa 20 anni da quando ho proposto una modalità concreta per realizzare questo obiettivo. Risultato: Nessuna risposta da parte delle “forze” politiche alle quali ho inviato ripetutamente il progetto.
Flavio Bonifacio
Alla presentazione del 52° rapporto Censis cui ho assitito, il direttore Dr. Valerii disse nel Dicembre scorso:
“in Italia c’è bisogno di una sola cosa, anzi tre: lavoro, lavoro,lavoro”.
Qui si parla di “una misura concepita per accompagnare le persone verso una nuova società libera dalla dittatura del lavoro”.
Io sono d’accordo con Massimiliano Valerii
Aram Megighian
Francamente trovo difficile comprendere la logica del suo pensiero.
Forse invece di parlare di cose astratte, e guardando invece le cose come sono, sulla base dei dati e dei fatti, delle proiezioni, delle trasformazioni, economiche e ambientali e sociali, si potrebbe iniziare a ragionare in modo concreto trovando soluzioni condivise e serie. Se Lei mi dice che le automobili elettriche sono ciò che dobbiamo usare in futuro io sono pienamente daccordo con Lei. Ma se mi dice che da domani dobbiamo usarle, la prima cosa che potrei fare è pensare che forse ha bevuto un po’. Forse prima bisognerebbe costruire un sistema che permetta di rifornirle di energia. E questo sistema dovrebbe basarsi, su di una produzione di energia che comprenda fonti alternative al petrolio o carbone, altrimenti quello che non utilizziamo in benzina o diesel lo utilizziamo per produrre energia elettrica per ricaricare le batterie delle macchine. O forse bisognerebbe cambiare il nostro modo di muoverci, magari considerando di doverci muovere velocemente con il treno (TAV ?).
Insomma, è chiaro a tutti (e non ci vuole certamente il guru Casaleggio a dircelo…..c’è scritto sui libri e sulle analisi economiche da anni….e sono accessibili a tutti, basta leggerle) che andremo verso un società diversa e che forse il basic income sarà usato. Ma forse considerare un mercato del lavoro di esperti laureati e consulenti a tempo definito, pagati di più, non le è venuto in mente ? Vada in Olanda e osservi.
Claudio
Cosa succedera’ tra un anno? Un imprenditore del nord sta cercando un impiegato contabile. Il navighetor di un Centro per L’Impiego del meridione telefona all’imprenditore: “Gentilissimo, domani ti mando con il primo aereo cinque candidati diplomati in ragioneria”. L’imprenditore: “carissimo, li aspetto domani verso le 14″ . Il navighetor:” mi raccomando, fammi sapere chi rifiuta la tua offerta, sono percettori del RdC. A presto”
Stefano Asterino
L’articolo denota un odio verso il governo che ha ben poco di scientifico.Primo: Si scrive che il M5s è passato da un reddito universale ad un reddito minimo garantito.. In realtà l’unica proposta di legge del movimento nella scorsa legislatura presentava già alcuni elementi dell’attuale decreto (richiesta ISEE, perdita del reddito al rifiuto di lavoro offerto, reddito solo ai poveri). Solo chi voleva criticare a prescindere non voleva leggere il ddl e parlava di soldi dati ai benestanti. Secondo: Si contesta che la misura non si applica ai migranti e che richieda un minimo di residenza.Premesso che regole simili esistono anche per i rmg erogati da altri Paesi europei, in ogni caso ve lo immaginate nelle coste nord africane cosa accadrebbe se si spargesse la voce che basta arrivare in Italia per avere 780 euro (da convertire poi nella valute dei paesi africani)?? migliaia di disperati proverebbero la traversata e non potremmo fermarli (e conosciamo la solidarietà europea..). Terzo: le clausole di salvaguardia IVA scatteranno dal 2020 a copertura di tutte le spese dello Stato. Legare questo possibile evento negativo solo a questa misura è mistificazione, accettabile da un politico meno da un economista. Quarto. si continua dire che il REI (182 euro al mese!!) era una misura valida. Cioè erogare un importo ridicolo che non faceva né uscire dalla povertà, né aiutava a trovare lavoro era una misura valida? Invito a leggere la Corte dei Conti sul NADEF sulla povertà in Italia
Rino
Non è questione di odio ma di realismo. Il sostegno alla povertà funziona se c’è una disoccupazione fisiologica al 5% e allora si investe in formazione e indicazione dei settori economici capienti. Con disoccupazione sopra il 10% è venuta l’dea di forzare l’inserimento lavorativo con uno strumento inadatto come descritto nell’articolo. Le imprese operano per la produzione di beni e servizi
Michele
100% d’accordo!
Marcomassimo
Esiste in tutti i paesi europei un sostegno ai redditi minimi o nulli; non di capisce per quale minorazione antropologica non debba esistere solo qui da noi ed in Grecia; se poi si vogliono accogliere decine di migliaia di migranti ogni anno, dandogli vitto ed alloggio non ci capisce come si possa evitare di sostenere prima quegli gli italiani che a ragione potebbero parlare di discriminazione razziale a rovescio; inoltre temo che ai più sfugga qualche semplice dato di fatto; 1) se non si torna a palesi politiche keynesiane i posti di lavoro non torneranno MAI; 2) in aggiunta c’è il fatto che ai tempi di Keynes c’era molta meno automazione e dunque per ricreare lavoro occorrerebbero politiche keynesiane elevate al cubo; ma siccome politiche keynesiano non sono alle viste, questo è solo l’inizio; nei prossimi decenni ci sarà bisogno di sussidi di massa e non solo per i poveri perchè l’occupazione sarà un lusso; e, come ci insegna la antica Roma, le masse sfaccendate ed impoverite sono un pericolo per lo Stato.
Klaus
Ma lei lo sa come funziona il Rei?? Prendere un appuntamento col comune dopo 3 mesi, figuriamoci aumentare la platea!! E dopo il colloquio aspetti l’erogazione che dopo un anno dall’i Della pratica ancora deve arrivare!! Ideona!!!
Alessandro Sciamarelli
Tra tutti i commenti, non ve ne e’ uno che sottolinei un argomento decisivo apportato dall’autore, e cioe’: mettendo da parte i problemi legati alla sua definizione e ale modalita’di applicazione, il RdC si finanzia in deficit. Questo di per se’ e’ sufficiente a mettere una pietra tombale sia 1. sull’opportunita’macroeconomica di una misura del genere, sia 2. sulla sua efficacia. Sul primo punto, che un paese che ha il tasso di crescita dell’economia e la produttivita’ del lavoro piu’bassi dell’intera area euro da due decenni, nonche’ un debito pubblico al 130% del Pil possa permettersi di aumentare il deficit e’cosa quanto meno discutibile (eufemismo), e la Commissione europea (altro che austerita’) e’stata di manica larga. 2. Sul secondo punto, legato al primo: i nostri magnifici alfieri del deficit spending da festeggiare al balcone evidentemente non conosco l’equivalenza ricardiana: se io metto in tasca alla gente – poniamo sia effettivamente vero – 780 euro di spesa corrente finanziata in deficit per un totale di 6 mld, quei 6 mld altro non sono che tasse future che andranno giocoforza a ripianare il maggiore deficit. L’effetto espansivo sara’ dunque nullo, anche assumendo una propensione marginale al consumo dei percettori del RdC molto elevata. Sarebbe stato molto piu’ saggio – ma meno redditizio elettoralmente – ampliare il REI con maggiori risorse ma trovando coperture vere e non chiedendole in prestito ai mercati.
Giuseppe Fumagalli
Mi sembra una buona analisi: i 5stelle hanno fatto promesse irrealizzabili in campagna elettorale (copiando dai pro-Brexit, che subito dopo il voto hanno bellamente dichiarato di avere falsato i numeri per acchiappare più voti … !!!) e giunti inopinatamente al Governo hanno iniziato una serie di giravolte per cercare di cavare almeno un topolino dalla tana dell’orso. Un malvezzo che cerca di mascherare incompetenza (l’uno vale uno all’opposizione … quando si governa, gli asini non sono equiparabili ai puledri) e mancanza di visione e strategia.
Davide K
Premesso che sono totalmente contrario al provvedimento, che da un lato disincentiva il lavoro e dall’altro esaspera i già insostenibili trasferimenti nord-sud (inclusi premi di massa per i furbi e per i lavoratori in nero, che sono appunto proporzionalmente molti di più al sud), trovo francamente ridicolo leggere le critiche contenute nell’articolo. Se si pensa che un po’ di sussidi a pioggia ai poveri siano una buona cosa, allora lo è anche questo provvedimento. Sembra di leggere le critiche “ad ogni costo” agli 80 euro di Renzi: per quanto fatta in modo discutibile, incoerente, discriminatorio verso i non dipendenti, nella sostanza era comunque una riduzione d’imposta non irrilevante per le persone normali, e quindi giusta. Questo, per quanto perfettibile e sbagliato in linea di principio (soprattutto oggi, che serve di sicuro meno spesa e meno stato), non è francamente così pessimo come lo dipingete, dati gli obiettivi che si propone.
Lasciando perdere per pietà la questione dell’esclusione degli immigrati di breve termine (ancora non avete capito che l’estensione del welfare al mondo intero a spese degli italiani produttori sia una follia), penso che, se volete mantenere un po’ di autorevolezza, vi convenga essere più obiettivi ed un po’ meno prevenuti.
Il problema vero del provvedimento è che non fa che aggravare uno dei principali problemi economici del paese: assistenzialismo al sud (che non si sviluppa) a spese del nord produttivo (che viene strangolato sempre più)
Giuseppe GB Cattaneo
Io spero che nasca un partito che abbia nel programma la separazione tra chi vuole un il Rei il reddito di cittadinanza alla grillina e le monetine alla Caritas e chi vuole reddito minimo universale e flat tax con abolizione del volontariato.