La crisi ha reso ancora più persistente il divario tra il Mezzogiorno e le altre Regioni italiane. La conseguenza è una mobilità del lavoro molto più alta. Perché le imprese del Sud soffrono di una intrinseca debolezza dovuta a scarsa competitività. Dove agire per ridurre la disoccupazione.
LA MOBILITÀ DEL LAVORO IN TEMPO DI CRISI
La crisi sta aumentando oppure riducendo i divari già profondissimi fra il Mezzogiorno e il resto del paese? In un recente articolo, suggeriamo che la crisi economica colpisce in modo proporzionale tutte le Regioni italiane e quindi contribuisce a rendere persistente il dualismo nord-sud. (1) Cerchiamo dunque di spiegare le ragioni sottese al divario strutturale fra Nord e Mezzogiorno.
La crisi economica ha incrementato i movimenti degli individui fra gli stati del mercato del lavoro (occupazione, disoccupazione e inattività), la cosiddetta mobilità del lavoro. Per vedere come il fenomeno si caratterizza nelle Regioni italiane, anche alla luce della recente crisi economica, si sono utilizzati i dati sui movimenti annuali medi fra gli stati del mercato del lavoro relativamente al periodo 2004-2010. In aggiunta ne è stata studiata la relazione con il tasso di disoccupazione regionale, riportata in figura 1. Si evince che la mobilità del lavoro è maggiore nelle Regioni del Mezzogiorno, dove già più alta e radicata è la disoccupazione.
Figura 1: Mobilità del lavoro e disoccupazione regionale, media periodo 2004-2010
Fonte: nostra elaborazione sui dati longitudinali Istat.
Il Mezzogiorno presenta una mobilità del lavoro più alta rispetto al Nord nel corso dell’intero periodo per il quale i dati sono disponibili. La crisi dunque contribuisce a rendere persistenti le differenze geografiche nella mobilità e quindi anche nei tassi di disoccupazione. Infatti, sia prima (media 2004-2007) che durante (2008-2010) la crisi, la mobilità del lavoro al Centro-Sud supera in media il 20 per cento, contro circa il 10-11 per cento del Nord. La recessione ha avuto quindi l’effetto di aumentare la mobilità in misura proporzionale in tutte le aree geografiche.
IL RUOLO DEI PROCESSI DI RISTRUTTURAZIONE
La presenza di maggiore mobilità del lavoro nelle Regioni meridionali potrebbe essere considerata una sorpresa da quanti sono abituati a pensare al fenomeno come alla semplice conseguenza di maggiore flessibilità del lavoro, vale a dire la quota di lavori temporanei di vario genere e altri fattori di tipo istituzionale, quali costi di assunzione e di licenziamento.
In realtà, la mobilità del lavoro è spiegata solo in parte dalla flessibilità. Più importante è il ruolo delle ristrutturazioni industriali che nel contesto di crisi attuale causano una forte distruzione dei posti di lavoro esistenti, generando quindi movimenti fra gli stati del mercato del lavoro. La maggiore mobilità del lavoro nel Sud potrebbe essere la conseguenza di una ristrutturazione industriale permanente nel Mezzogiorno che comporta una nascita e una morte molto veloce delle imprese. In altri termini, la maggiore mobilità del Sud potrebbe dipendere dalla sua difficoltà a far sopravvivere le imprese, soprattutto di piccola e media dimensione.
A conferma di questa intuizione, la figura 2 rappresenta la mappa delle Regioni italiane divise per grado di ristrutturazione industriale. (2) Più è forte, più scuro è il colore con cui si denota la Regione. Si va dai valori più bassi in grigio, all’azzurro, al blu cobalto, al blu notte. Il rosso denota la ristrutturazione industriale più profonda, in Abruzzo. La mappa mostra chiaramente che nel Mezzogiorno c’è un più intenso processo di ristrutturazione industriale, più forte che nel Nord.
Figura 2: La ristrutturazione industriale per regione, 2004-2010
Fonte: Nostra elaborazione sui dati longitudinali Istat
I motivi per cui la ristrutturazione industriale è più intensa nel Mezzogiorno sono tanti, alcuni di natura temporanea e altri di natura permanente. I primi includono una maggiore apertura al commercio internazionale da parte di nuovi concorrenti e l’introduzione di nuove tecnologie che causano l’uscita dal mercato di produzioni più tradizionali. La concorrenza dei paesi emergenti colpisce di più le imprese meno competitive e, quindi, in proporzione toccano di più il Mezzogiorno. Vi sono però fattori più di lungo periodo in grado di spiegare perché alcune Regioni presentano una particolare debolezza di fronte alle crisi economiche, causandone una minore competitività e attrattività agli investimenti dall’estero. Vale la pena ricordare: a) il basso livello di capitale umano e fisico; b) gli alti tassi di criminalità, in specie quella organizzata; c) la riduzione nei flussi migratori come meccanismo di aggiustamento; d) la dipendenza economica dalle Regioni più sviluppate. Rendendo le imprese del Sud meno competitive, questi fattori ne causano l’uscita dal mercato, con conseguente riallocazione del lavoro, un processo che richiede tanto più tempo quanto meno sviluppate sono le agenzie pubbliche e private di collocamento al lavoro e le agenzie di formazione professionale, che dovrebbero consentire ai lavoratori in uscita dai settori tradizionali di acquisire velocemente le competenze necessarie al reimpiego nei settori in espansione.
LA CONCENTRAZIONE DELL’OCCUPAZIONE NELLE IMPRESE
Un ulteriore fattore di debolezza del Mezzogiorno è la scarsa concentrazione di occupazione nelle imprese. (3) Come dimostra la figura 3, la concentrazione dell’occupazione tende a essere maggiore, a livello di ripartizione geografica, nel Nord rispetto al Centro-Sud. In altri termini, al Nord vi è maggiore densità di industrie. Come suggeriva Alfred Marshall, il grande economista di Cambridge, vi sono vantaggi anche occupazionali dei distretti nelle fasi di ristrutturazione industriale poiché le competenze acquisite dai lavoratori licenziati in un settore possono essere riutilizzate in un altro settore. Così, se un settore è in crisi, ce ne sono altri che sopravvivono o emergono dal niente, assorbendo la mano d’opera espulsa dai settori colpiti. Questo è vero quando le aree industriali considerate sono sufficientemente ampie.
Figura 3: Grado di ristrutturazione industriale, 2004-2010
Fonte: Nostra elaborazione sui dati longituinali Istat
LE COSE DA FARE
In conclusione, dalla nostra analisi emerge che le imprese del Mezzogiorno sono caratterizzate da un’intima debolezza dovuta a una scarsa competitività. Ciò suggerisce che oltre a politiche dal lato dell’offerta, che aiutino ad aumentare l’occupabilità dei disoccupati, occorrono politiche dal lato della domanda, che siano in grado di ridurre i fattori di debolezza delle imprese meridionali.
Dal lato dell’offerta, occorre accrescere il capitale umano dei giovani del Mezzogiorno, combattendo l’alto tasso di abbandono in ogni grado della formazione scolastica e universitaria. Occorre anche favorire politiche di intermediazione più efficaci fra domanda e offerta di lavoro, potenziando i centri pubblici e privati per l’impiego (un altro articolo di Giubileo e Pastore pubblicato da lavoce.info). Anche le politiche attive per l’impiego dovrebbero essere potenziate con maggiori risorse. L’apprendistato dovrebbe diventare la norma come contratto di inserimento, accelerando gli interventi di supporto alla loro diffusione.
Dal lato della domanda, occorre rimuovere i fattori che riducono la competitività delle imprese nel Mezzogiorno, in primo luogo la carenza di infrastrutture materiali e immateriali. Ciò dovrebbe consentire di ridurre di conseguenza la mortalità delle imprese.
(1) Mussida, C. e F. Pastore, “Is there a Southern-Sclerosis? Worker Reallocation and Regional Unemployment in Italy”, IZA discussion paper, n. 6954, ottobre 2012.
(2) La ristrutturazione industriale è misurata dall’indice di Lilien. Per dettagli si veda Mussida e Pastore (2012).
(3) In genere, il tasso di concentrazione industriale è misurato dall’indice di Herfindahl. Per dettagli si veda Mussida e Pastore (2012).
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Carlo Salone
Osservo che la lettura delle carte pubblicate non conferma affatto la diagnosi proposta dagli autori. Le regioni del Mezzogiorno non si comportano in modo omogeneo, né per quanto concerne la mobilità interna della-forza lavoro né sotto il profilo della concentrazione dell’occupazione industriale. Regioni caratterizzate dal fenomeno distrettuale si comportano in modo difforme – vedi Toscana, da un lato, ed Emilia-Romagna dall’altro -, così come il Nord appare omogeneo solo per le due regioni maggiori, Piemonte e Lombardia, e lo stesso vale per un Mezzogiorno che, rispetto a questi indicatori, non “esiste” in quanto tale.
Sono convinto che le due macro-aree si comportino globalmente in modo divergente, ma non credo che l’interpretazione dualistica sia la lente migliore per leggere questi dati. Il mosaico italiano va letto a grana più fine.
bob
questo Paese soffre solo di mala-politica. Esclusa una esigua minoranza di cervelli liberi la gran parte si adegua ( tengo famiglia). Il solo pensiero che MPS la 3° banca italiana venisse gestita dal consiglio comunale di una cittadina come Siena e tutto dire. Sono 25 anni e oltre che in questo Paese non si parla di distretti (Beccantini docet) che è la vera unica realtà industriale del Paese e che come, giustamente, sottolinea Solone l’analisi deve essere più minuziosa. Invece si preferisce dualismo Nord- Sud la statistica usata con “biada per il popolino” . Chi come me sta sulla breccia da 50 anni nell’impresa sentire questi numeri e statistiche gli viene da ridere per non piangere. Del resto in un Paese che nel 2013 ha ancora una percentuale di analfabeti del 15-20% della popolazione, si può dire di tutto e di più. Appunto numeri piatti da statistica, scienza per menti fini! Quanti sanno che il 50% della ceramica bianca si produce a Civita Castellana (VT) e mille altri esempi potrei fare. In pratica lo studio dei distretti che è l’unica cosa reale e tangibile di questo Paese non viene menzionato in questo studio. Molto meglio il “pollo di Totò”
enzo
Ok per la prima tabella ma le due carte non credo mostrino alcuna correlazione particolare che distingua il Sud. Ma venendo alle soluzioni proposte : formazione, infrastrutture, informazione mi sembra che sia quello che si è sempre fatto (quando c’erano i soldi) e con scarsi risultati. Il limite del sud sta principalmente nella carenza di produzione industriale. C’è da chiedersi non solo perché il sud non genera abbastanza imprenditori di successo, ma perché gli imprenditori extrameridionali sia italiani che stranieri non trovino conveniente investire nel sud ma delocalizzare in tante altre parti del mondo con vantaggi competitivi differenti tra loro ma sempre preferibili al sud. Persino la camorra preferisce riciclare al nord piuttosto che al sud. Credo che il prblema del sud sia di avere tutti i difetti del sistema Italia amplificati, più altri specifici senza offrire nessun vantaggio competitivo alternativo.
giuseppe faricella
Il fenomeno è reale anche se – secondo me – il panel è un po’ corto (7 anni) per poterne trarre lezioni universali. In più, credo che il Sud Italia (così come Grecia, Portogallo, gran parte della Spagna) sconti molto più del Nord la moneta unica: possono questi territori condividere moneta e politica monetaria e fiscale con l’Europa centroccidentale? questa condivisione non indebolisce i meccanismi di aggiustamento automatico di lungo periodo (recupero di competitività attraverso valuta e prezzi)? Penso che sia arrivato il momento di cominciare a pensare a una Eurozona a 2 velocità che permetta alle regioni povere di guadagnare un po’ in attrattività rispetto a quelle ricche. La BCE potrebbe tranquillamente gestire 2 monete diverse, così come Consiglio e Parlamento potrebbero gestire 2 politiche fiscali differenti. Tra l’altro le ‘2 velocità’ renderebbero più facile convergenza e unione progressiva. E’ solo una questione di volontà politica e – lo so, la sparo grossa – di solidarietà fra i popoli europei.
anonimo
mi sembra non citiate anche il fatto che non pochi politici e sindacalisti hanno la tendenza ad aiutare parenti, amici e conoscenti. Anziché fare politica a favore di tutta la comunità.
Con queste logiche “da buon padre di famiglia” le persone si sentono incoraggiate non a votare per chi fa qualcosa, ma per “chi capita”. Sapendo di avere l’amico che le aiuta.
marco
Per aiutare il sud occorrebbe creare occupazione attraverso politiche di deficit-spending da parte dello Stato italiano, cosa impossibile visto che il nostro Stato ha ceduto la sovranità monetaria ai burocrati europei, i quali usano la moneta stampata per salvare le banche ( acui hanno regalato 1000 miliardi), ma non gli stati tenuti volontariamente sotto ricatto dei mercati – per tornare competitivo il sud dovrebbe, secondo il nostro genio della finanza nonchè presidente della BCE Mario Draghi, svalutare gli stipendi sul modello cinese cioè tornare al terzo mondo – Mi dispiace per i giovani preparati e onesti che vengono dal sud, ma considerando anche che lo Stato è endemicamente ricco di mafiosi di ogni setta e che quindi una lotta vera alla mafia e al pizzo che brucia l’economia per il momento non verrà fatta, penso che l’unica soluzione sia emigrare, magari all’estero visto che la ricca Italia è stata devastata dall’Euro
marco
Per aiutare il sud occorrebbe creare occupazione attraverso politiche di deficit-spending da parte dello Stato italiano, cosa impossibile visto che il nostro Stato ha ceduto la sovranità monetaria ai burocrati europei, i quali usano la moneta stampata per salvare le banche ( a cui hanno regalato 1000 miliardi), ma non gli stati tenuti volontariamente sotto ricatto dei mercati – per tornare competitivo il sud dovrebbe, secondo il nostro genio della finanza nonchè presidente della BCE Mario Draghi, svalutare gli stipendi sul modello cinese cioè tornare al terzo mondo – Mi dispiace per i giovani preparati e onesti che vengono dal sud, ma considerando anche che lo Stato è endemicamente ricco di mafiosi di ogni setta e che quindi una lotta vera alla mafia e al pizzo che brucia l’economia per il momento non verrà fatta, penso che l’unica soluzione sia emigrare, magari all’estero visto che la ricca Italia è stata devastata dall’Euro
Federico (estero)
Le persone a rischio di povertà o di esclusione sociale in Italia sono 15 milioni, una persona su quattro (il 24,7 per cento): una percentuale più elevata anche della media dei 27 paesi dell’Unione Europea (23,1 per cento). con le regioni del Sud con rischi di povertà o esclusione prossimi a quelli che si registrano in Romania. sic!
Nelle regioni del Sud la spesa media pro capite è pari a 52 euro (di cui 6 per la lotta alla povertà), a fronte di una media nazionale di 111 (di cui 9 per il sostegno ai poveri) e una media nel Nord-Est di 155 euro.(fonte Istat)
senza lotta seria alla corruzione, alle mafie e all’illegalita’ devastanti (di cui gli oltre 40 anni della Salerno Reggio Calabria sono solo una manifestazione), valorizzazione delle imprese (specialmente nell’ambito turistico-alberghiero, agricoltura) rimaste, mi sembra francamente un pia illusione auspicare un reale miglioramento delle zone del sud Italia. l’impresa del sud no muore – evidentemente – solo per la carenza di infrastrutture. uno dei fattori che storicamente spiegano il ritardo delle regioni meridionali
IL tema, in breve, è la pervasiva presenza delle organizzazioni criminali: CFR. Paolo Pinotti, I costi economici della criminalità organizzata, 2010. Servizio Studi Banca d’Italia. l’analisi della situazione Puglia ne costituisce immediata conferma empirica. abbandono e ‘ndrine.