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Il rebus del mercato del lavoro*

I dati di dicembre confermano lo stallo occupazionale. Dovrebbe proseguire nel 2019: un discreto risultato, visti i segnali dell’economia. Ma ciò non significa immobilismo. All’interno della struttura dell’occupazione si registrano mutamenti significativi.

Le macrotendenze

La pubblicazione dei dati mensili Istat relativi a dicembre consente di valutare l’andamento del mercato del lavoro nel quarto trimestre 2018.
Essenzialmente le macrotendenze “sicure” sono quelle che via via si sono precisate nel corso dell’anno:

  • l’occupazione totale (dati destagionalizzati) è in stand by: ha raggiunto il livello massimo nel secondo trimestre 2018 e nel quarto si è assestata sul livello del secondo;
  • i livelli occupazionali sono sostenuti, da tempo, dalla dinamica dei posti di lavoro dipendente (tra l’altro nel 2018, nei primi 9 mesi sono diminuite le nuove aperture di partite Iva sia delle persone fisiche che delle società di persone): la crescita del lavoro dipendente, dopo tredici trimestri consecutivi di risultati positivi, si è incrinata nel terzo trimestre;
  • nel quarto trimestre riprendono, nei dati Istat, segnali di ricomposizione, all’interno del lavoro dipendente, a favore delle posizioni di lavoro a tempo indeterminato.

 

Tabella 1

Fonte Istat

Quest’ultima tendenza è più netta e, nel suo concreto sviluppo temporale lungo tutto il 2018, risulta meglio leggibile nei dati di fonte amministrativa – come del resto tutto ciò che ha a che fare con la definizione normativa dei rapporti di lavoro.

Infatti, emerge chiaramente dai dati ricavati dalle comunicazioni obbligatorie delle imprese su tutti i rapporti di lavoro, come si vede nella figura 1: i rapporti a tempo indeterminato dopo la grande crescita del 2015 sono tornati ad aumentare, leggermente, a partire dal primo trimestre 2018, mentre i rapporti di lavoro a tempo determinato hanno conosciuto un forte aumento nel corso del 2017 (anche per assorbire la chiusura dei voucher) e hanno iniziato a flettere nel terzo trimestre 2018.
E una storia del tutto analoga, pur nelle differenze che contrassegnano la fonte (diverso perimetro di osservazione, dati non destagionalizzati, cadenza mensile), emerge dai dati Inps dell’Osservatorio precariato aggiornati fino a novembre.

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Cosa accadrà nel 2019?

Ora gli interrogativi, dopo i recenti dati negativi Istat sulla produzione industriale e sul Pil, vertono sulle prospettive dell’occupazione nei prossimi mesi.
Sulla scorta dei dati disponibili si può intravvedere che, in assenza di segnali di ripresa economica, continuerà, nell’aggregato, lo stallo dei livelli occupazionali: e sarebbe già un discreto risultato. Ciò non significa immobilismo: all’interno dell’occupazione continueranno a prodursi dinamiche di ricomposizione, a volte significative, altre volte marginali (e a rischio enfatizzazione).
Tre sono, specificamente, le direzioni di analisi che saranno rilevanti.
La prima verte sugli effetti delle significative agevolazioni previste per le partite Iva fino a 65 mila euro: potranno generare ri-attrazione verso il lavoro autonomo? Verrà implicitamente assicurata l’inutilità delle politiche volte a contrastare le false partite Iva?
La seconda verte sulle diverse dinamiche territoriali: i dati Inps evidenziano che nel 2018 si sono distinte positivamente soprattutto le grandi regioni del Nord – Lombardia, Veneto, Emilia – sia per l’insieme del lavoro dipendente sia con riferimento specifico alle posizioni di lavoro a tempo indeterminato. Critica in particolare risulta la situazione in Sicilia. Cambierà qualcosa nel 2019 o il contesto politico-economico difficile rafforzerà il già fortissimo dualismo territoriale italiano?
La terza riguarda la continuità e la rilevanza della ricomposizione tra tempo indeterminato e tempo determinato. Analisi svolte a livello regionale hanno evidenziato che, con l’entrata in vigore il 1° novembre della legge 9 agosto 2018 (conversione del cosiddetto “decreto dignità”), la compensazione tra tempo determinato in calo e tempo indeterminato in crescita ha avuto un’ulteriore spinta, dopo quella già prodotta dagli esoneri contributivi della legge di stabilità 2018 (secondo i dati Inps 116 mila rapporti di lavoro a tempo indeterminato, soprattutto trasformazioni, risultano incentivati tra gennaio e novembre 2018). Le imprese stanno ora riducendo il ricorso al tempo determinato, in particolare per evitare il rischio della causale (di sicuro meno proroghe e meno rinnovi, ma anche un freno alle assunzioni cui si aggiungono le tante incertezze che hanno circondato il lavoro somministrato) e stanno rivolgendosi, in alternativa, a una pluralità di soluzioni: anticipazione delle trasformazioni a tempo indeterminato (fenomeno significativo tra dicembre e gennaio), ripiego sul lavoro intermittente, nuova attenzione per lo staff leasing, tentazioni di esternalizzazione (agevolate dalla cosiddetta flat tax per il lavoro autonomo).
Una pluralità di movimenti, in definitiva, che meritano di essere monitorati distintamente senza mai dimenticare, però, che abbiamo vitale bisogno innanzitutto di crescita dell’occupazione regolare.

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* Le valutazioni qui presentate ovviamente non impegnano in nessun modo l’Amministrazione di appartenenza.

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Il Punto

  1. Savino

    In qualità di lavoratori strettamente dipendenti vengono assunti prevalentemente i cinquantenni, mentre i più giovani sono un pò costretti e un pò abituati ad inventarselo un lavoro. Questo è il risultato della ristrettezza culturale e mentale del nostro sistema produttivo e della nostra società che, molto semplicemente, nutre pregiudizi e risentimenti nei confronti delle generazioni più giovani, pensando che esse non abbiano esperienza e quid necessari per un pieno inserimento nel mondo del lavoro. L’errore è tutto qua: bisogna avere più fiducia nei giovani e metterli nelle condizioni ottimali per operare e per farli sentire realizzati.

  2. Filippo de Cardona

    Giusto per avere una conferma, i dati della tabella 1 indicano il saldi tra nuovi contratti avviati e cessazione dei contratti non rinnovati?

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